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    ALITALIA, ULTIMA CHIAMATA. IL GOVERNO CON LA MANOVRA ASSICURA LA GARANZIA PUBBLICA ALLE BANCHE E METTE IN CAMPO INVITALIA. SE AL REFERENDUM SCORSOIO VINCESSERO I “NO” LA COMPAGNIA “RISCHIA LA LIQUIDAZIONE”. CON I “SI” GLI AZIONISTI DICONO CHE METTERANNO 2 MILIARDI


     
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    Francesco Di Frischia per il Corriere della Sera

     

    ALITALIA ETHIAD ALITALIA ETHIAD

    Arriva, con il decreto legge sulla manovra, la garanzia pubblica per il salvataggio di Alitalia: l' ok ad un aumento del capitale sociale di Invitalia nella misura massima di 300 milioni. Si tratta della parte del contingent equity da 400 milioni (200 li dovrebbe mettere Etihad) per tutelare il piano di ristrutturazione da imprevisti. In questo clima da ultima spiaggia, ieri gli oltre 12mila lavoratori Alitalia hanno iniziato a votare nel referendum per accettare o bocciare il pre-accordo siglato il 14 aprile da azienda e sindacati: urne aperte fino al 24 aprile.

     

    REFERENDUM ALITALIA REFERENDUM ALITALIA

    Sul fronte aziendale, il presidente in pectore della compagnia, Luigi Gubitosi, e uno degli azionisti, l' ad di Unicredit, Jean Pierre Mustier, lanciano gli ultimi appelli: serve una «soluzione sostenibile in una prospettiva di lungo periodo», sostiene Mustier che ricorda: «Abbiamo perso nel sostegno ad Alitalia 500 milioni in 3 anni, una somma grande. Cosa altro possiamo fare? Continuiamo a lavorare, ma non possiamo perdere altro denaro». E nella ricetta dei vertici della compagnia su come uscire dalla crisi si punta sul piano industriale per una «forte discontinuità con il passato».

    GUBITOSI GUBITOSI

     

    In pratica si prevedono «l' apertura di nuove rotte di lungo raggio - spiega Gubitosi sul Messaggero -, l' arrivo di nuovi aerei e il rafforzamento delle destinazioni internazionali che portano profitti». Ma per dar seguito a questi propositi e tentare di nuovo di salvare Alitalia è necessario il via libera dei lavoratori col referendum. In caso contrario si aprirebbe uno scenario carico di incertezze.

     

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    Il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, i vertici di Cgil e Cisl, Susanna Camusso e Annamaria Furlan, e lo stesso Gubitosi sono convinti che non ci siano alternative al «sì» sul piano che prevede pesanti tagli ai costi del personale (con una riduzione in media dell' 8% sulle retribuzioni e 1.300 esuberi). Con il voto positivo, infatti, gli azionisti (Etihad e le banche Unicredit e Intesa San Paolo) hanno promesso di investire 2 miliardi.

     

    Se al referendum prevalesse, invece, il «no» la società chiederebbe la procedura di amministrazione straordinaria con la nomina di un commissario che avrebbe 6 mesi di tempo «verso la liquidazione e il fallimento», sottolineano governo e sindacati.

    ALITALIA ALITALIA

     

    Su questo tema abbiamo chiesto chiarimenti a due esperti: «L' amministrazione straordinaria apre tre strade - spiega Vincenzo De Sensi, che insegna Diritto delle crisi d' impresa alla Luiss -: l' arrivo di un nuovo imprenditore che decide di acquistare in blocco Alitalia, con il vantaggio di averla ripulita dai debiti, oppure l' ingresso di nuovi finanziatori. Due ipotesi tutte da verificare. La terza opzione è il fallimento e la liquidazione della società, ma questa terza via non è affatto automatica».

     

    SCIOPERO ALITALIA SCIOPERO ALITALIA

     «Bisogna vedere, se vincesse il no al referendum, quali sarebbero le reazioni degli azionisti - precisa De Sensi -. Se decidessero, come hanno annunciato, di non ricapitalizzare, di certo avrebbero delle perdite importanti. Se poi si arrivasse al fallimento della compagnia, le perdite future sarebbero maggiori». Parole condivise da Cesare Cavallini, professore di Diritto fallimentare alla Bocconi, che aggiunge: «Anticipare il piano industriale, come si propone ai lavoratori, velocizza e favorisce il rilancio, con più chance di uscire dalla crisi decennale. E il fallimento, comunque, non arriva in tempi rapidi».

     

    E per i lavoratori che cosa cambia? «Se i lavoratori bocciassero la pre-intesa, in pratica sfiducerebbero il management, ma la società rimarrebbe in piedi. Se però si arrivasse al fallimento, dopo 2 anni di cassa integrazione e la Naspi (sussidio di disoccupazione), sarebbe drammatico: rimarrebbero tutti disoccupati».

     

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