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Un mese fa il primo ministro britannico David Cameron – tra polemiche e battage mediatico – è riuscito a convincere l’Unione europea a eliminare la tassa sugli assorbenti igienici: una regolamentazione comunitaria che imponeva il cinque per cento in più al prezzo al dettaglio dei presidi usati durante il periodo mestruale, ritenuti “merce non essenziale”.
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Le inglesi ne avevano fatto una battaglia di civiltà: è vero che servono solo alle donne, ma per loro sono molto più che essenziali. Insomma, l’abolizione della tampon tax non è solo un balzello in meno, è il riconoscimento di un principio: non è l’uguaglianza, ma sono le differenze a dover essere considerate quando si parla di salute e Sanità. Mentre il mondo celebrava la “giornata della terra” (qualunque cosa significhi) ieri in Italia si è istituita la prima Giornata della salute della donna, che tutto è tranne che una di quelle vaghe e svilenti autocelebrazioni di cui è già pieno il nostro calendario.
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Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, ha presieduto una giornata di studio (su Twitter seguite l’hashtag #SD16) rendendo più chiaro ai non addetti ai lavori perché il “gender”, parola ormai mostrificata dalla campagna tutta ideologica degli ultimi anni, sia in realtà alla base della medicina scientifica.
Per anni abbiamo creduto che la biologia di uomo e donna fosse uguale, e invece no. A promuovere una giornata dedicata allo studio della salute femminile ci ha pensato la Fondazione Atena e il comitato Atena Donna, che ha presentato il progetto al governo che celebrava ieri anche l’anniversario della nascita del premio Nobel per la Medicina, Rita Levi Montalcini.
“Parlare della Giornata della salute della donna non ha semplicemente il significato di affermare una parità sociale, come avviene per le quote rosa”, dice al Foglio Carla Vittoria Maira, vicepresidente della Fondazione Atena e presidente di Atena Donna. “Significa prendere atto del fatto che donna e uomo hanno anatomia e fisiologia diverse – basti pensare alla differenza ormonale, elemento di differenziazione enorme – e ciò determina differenze anche nel modo di manifestare le malattie e nelle terapie alle stesse. Significa garantire a ciascuno, uomo o donna che sia, il miglior trattamento possibile sulla base delle migliori evidenze scientifiche. Cosa che fino a non molti anni fa non è stato fatto, visto che la maggior parte degli studi scientifici sono stati realizzati su uomo medio in buona salute, con buona pace delle donne e degli anziani”.
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Altro che quote rosa, sembra quasi una discriminazione scientifica. Ma le quote rosa sulla salute funzionerebbero? “Oggi la sanità va verso la terapia personalizzata”, spiega Maira, “cioè la cura adattata alla persona e non semplicemente alla malattia. Questo perché in tanti campi si è visto che malattie uguali possono avere un diverso modo di manifestarsi in persone diverse, con diverse alterazioni biomolecolari che sottendono alla stessa malattia. E compito della medicina deve essere quello di interessarsi a queste diversità per trovare la cura più efficace. Se questo concetto è vero, viste le differenze tra uomo e donna, non si può prescindere dal ricercare quali siano le differenze nelle loro malattie e cercare di curare ognuno con la terapia più adeguata. Terapia personalizzata e terapia di genere sono pertanto fortemente interconnesse”.
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Sta dicendo che il vecchio luogo comune delle donne con il mal di testa in realtà è basato su prove scientifiche? “Nei vari incontri di Atena Donna di volontariato sanitario, in cui trattiamo tutti gli argomenti dedicati alla salute femminile, il mal di testa è sicuramente quello che più capta l'attenzione delle donne”, dice Maira. “Spesso abbiamo parlato di mal di testa con il prof. Francesco Di Sabato, luminare nel settore. Da questi incontri è emerso, per esempio, che l’emicrania è donna mentre la cefalea a grappolo è appannaggio maschile”.
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“L’aumentata consapevolezza delle differenze di genere nelle malattie”, prosegue la presidente di Atena Donna, “deve servire a suscitare un nuovo interesse nei progetti di ricerca e programmi di salute pubblica, orientati sulla specificità delle malattie femminili”. Ma secondo lei questo c’entra col fatto che le donne, soprattutto quelle italiane, fanno sempre meno figli? “Più che dalla salute forse dipende dalle condizioni in cui una donna viene tutelata quando aspetta un figlio. Oggi le donne tendono sempre di più a fare i figli da adulte, perché è più difficile trovare stabilità nel lavoro e la maternità è ancora discriminante. Anche per quanto riguarda le donne straniere che vivono nel nostro paese si sta riscontrando un dato che dimostra negli ultimi anni un rilevante calo di nascite”.
GIULIO E CARLA MAIRA