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    “SESSO, MARACAS Y CHIHUAHUAS” - ARRIVA IL DOCUMENTARIO SULLA PAZZA VITA DI XAVIER CUGAT, IL “RE DELLA RUMBA” - CINQUE MOGLI, UNA VITA TRA SPAGNA, CUBA E USA - GRAN CAZZARO, INTERPRETO’ 25 FILM NEL RUOLO DI SE STESSO, USAVA IL PARRUCCHINO E AL SESSO PREFERIVA FARE IL VOYEUR - IL SUO MOTTO? “MEGLIO SUONARE 'CHIQUITA BANANA' E AVERE UNA VILLA CON PISCINA CHE ESEGUIRE BACH E CREPARE DI FAME”


     
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    Marco Cicala per “Il Venerdì - la Repubblica”

     

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    Come la più totale mancanza di espressività, anche l'eccesso di espressione può trasformare la faccia di un uomo in una maschera indecifrabile. In quasi tutti i filmati che ci sono rimasti di lui Xavier Cugat se la ride di gusto, alle brutte se la sorride. Qualunque sia la situazione, qualsiasi cosa dica. Ma chi c'era dietro quella smorfia perennemente ilare? Un genio? Un parassita? Un paraninfo? Un romantico? Un simpatico perverso? Te lo chiedi dopo gli 87 minuti di Sexo, maracas y chihuahuas, il documentario che il regista Diego Mas Trelles ha dedicato al "Re della Rumba".

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    Cugat, all'anagrafe Francesc d'Asís Xavier Cugat Mingall de Bru i Deulofeu, compose pochissimi pezzi, ma con le sue orchestre ne rese leggendari a vagonate. Vendette 48 milioni di dischi, ma nel 1990 morì piuttosto spiantato: «Ho regalato una casa a ognuna delle mie mogli» raccontava.

     

    Le consorti erano state cinque: la cubana Rita Montaner, la messicana Carmen Castillo, l'americana Lorraine Allen, la spagnola Charo Baez e, sopra tutte, l' incantevole Abbe Lane, sex bomb ed emblema del ritmo latino che però era un'ebrea di Brooklyn. Cugat era invece un catalano di Girona che con famiglia emigrò a Cuba nei primi del Novecento. Ai Caraibi imparò il violino e nelle foto giovanili che lo mostrano in frac, occhialini e chioma fluente, sembra un compositore russo. Negli Stati Uniti perderà i capelli, ma troverà tutto il resto.

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    Cominciò con una band dal nome concepito per mandare su di giri le signore: Los Gigolos. In seguito lavorò come disegnatore di comics al Los Angeles Times e fino all' ultimo fu un formidabile caricaturista - specie di se stesso. Quando tornò alla musica aveva intorno l' America degli anni che ruggivano. Nel 1919 inaugura il primo casinò a Las Vegas. O almeno, così raccontava. Aggiungendo: «Quella sera c' erano solo quattro persone. Si temevano attentati mafiosi». Giurava pure di aver cenato con Capone quando a Chicago Al era considerato una specie di filantropo: «Mi pagava puntuale ogni sabato».

     

    Cugat ricamava parecchio sui ricordi. Se lo poteva permettere, ne aveva di invidiabili. Ma nelle sue memorie affiorano punte di mitomania. Cugi - (pronunciare Cughi) come presero a vezzeggiarlo negli States - sosteneva essere approdato in America su incoraggiamento di Enrico Caruso; diceva di aver ispirato a Charlie Chaplin la colonna sonora di Luci della città; di aver scoperto Frank Sinatra facendogli incidere il primo disco con la canzone My Shawl; di aver consigliato a un' avvenente ragazzina mezza spagnola di cambiarsi il nome da Margarita Cansino in Rita Hayworth. Cose così.

     

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    Per l' America Wasp "latino" era un' etichetta tanto eccitante quanto generica a bordo della quale venivano imbarcati senza troppi distinguo spagnoli, italiani,cubani, messicani, brasiliani e giù a seguire nel Continente Sud. Perciò, al motto di «Meglio suonare Chiquita Banana e avere una villa con piscina che eseguire Bach e crepare di fame», Cugat entrò presto nel giro grosso. A colpi di rumba, mambo, marimba, cha cha cha, La Cucaracha e Tico Tico, si contendeva il palco del Waldorf-Astoria con Glenn Miller e Harry James; si esibiva in privato per il tycoon Howard Hughes; ubriacava di sonorità esotiche i già ebbri festini del magnate della stampa Randolph Hearst.

     

    il documentario su xavier cugat il documentario su xavier cugat

    Magari portandosi dietro, all inclusive, drappelli di ragazze estroverse, nel caso beveroni e ritmo tropical non fossero bastati a pepare la soirée. Valentino, Douglas Fairbanks, Fred Astaire, Errol Flynn... Cugi conosce tutti, consiglia tutti e se ne fa aiutare. Da buon catalano, ha il senso degli affari e delle pubbliche relazioni. Non per niente James Ellroy ha intitolato Perfidia - forse la hit fra le hit di Xavier Cugat - uno dei suoi ultimi nerissimi romanzoni sull'America che fu. Cioè un incastro irripetibile di capitalismo sparviero, show business tritatutto, malavita e dolce vita.

     

    A Hollywood Cugat interpretò venticinque film, sempre nel ruolo di se stesso. Elegantissimo, dirigeva l'orchestra usando l' archetto del violino come bacchetta. Però al momento giusto si faceva da parte affinché l' attenzione fosse interamente catturata dalle sue partner. Pupe che con certe curve non sarebbero comunque passate inavvertite. Col solito cinico candore e gli occhietti topeschi sotto il parrucchino, nel film lo sentiamo dire: «Mi sono sposato cinque volte con ragazze che nei miei spettacoli presentavo come vedette. Si sono servite di me e io di loro».

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    Le preferiva forti di seno, ma pare che nel sesso prediligesse la posizione contemplativa del voyeur. Il sodalizio con Abbe Lane - all' anagrafe Abigail Francine Lassman - durò dal 1952 al '64. Tra le coniugi, lei fu l'unica in grado di fare ombra al suo pigmalione. Con un certo fragore irruppe anche nell'Italia delle maggiorate girando film per l'epoca piccantini come Totò, Vittorio e la dottoressa e Totò, Eva e il pennello proibito.

     

    Le orchestrazioni di Cugat sono magnifiche appropriazioni, scippi con destrezza. Dilatano, comprimono, sincopano, rifrullano i brani altrui fino a dargli nuova vita, spesso l'unica di cui resti memoria. Per esempio: chi si ricorda più del povero Alberto Dominguez, messicano, che scrisse Perfidia nel 1939?

     

    diego mas trelles e il documentario su xavier cugat diego mas trelles e il documentario su xavier cugat

    Perfidia è di Cugat. Ancora si discute se il vero Rey de la Rumba sia stato lui o il rivale Pérez Prado. Al limite, chi se ne frega. Di sicuro gli astri di entrambi iniziano a declinare alla fine degli anni Cinquanta. Ma Cugat tiene botta reinventandosi imprenditore: apre una catena di ristoranti messicani, alleva spaventosi cagnetti chihuahuas e ne vende all'America non meno spaventosa che adora quei cosi fino a vestirli come cristiani. Cugi ha sempre sguazzato nel kitsch come il sorcio nel cacio, da subito ne ha colto l' anima struggente, sentimentale, perfetta per moltiplicarsi in merce.

     

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    All'America doveva tutto. Però alla fine, come spesso gli animali morenti, decise di riguadagnare la tana delle origini: dagli States ritorna a Barcellona, vive all' Hotel Ritz e si sposta in Rolls-Royce, accompagnato a braccio da nuove vallette tanto prorompenti quanto ormai oscure. Firma quadri e caricature; grazie ai buoni contatti pregressi porta in concerto in Spagna Barbra Streisand, Liza Minnelli, perfino Sinatra che detesta quel Paese perché gli ricorda i tormenti appresso ad Ava Gardner.

     

    «C'è chi colleziona francobolli, a me piace collezionare soldi» confessava El Rey. Ma pare che, elegiaco, di notte si facesse riportare in limousine a Girona per contemplare l' anonima casupola dov' era nato. Negli anni 90 i ritmi di Cugat conobbero una riesumazione con l' insopportabile Generazione cocktail e i revival della lounge music.

     

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    Però era pura necrofilia commerciale. Il sound di Cugat aveva stregato tutti come un sogno di felicità. Ma quell' epoca sarebbe franata sotto il peso di nuove rabbie. «Il mio tempo» riconosceva Cugi, «è tramontato con l' avvento del rock». E il rock trasmetteva tante cose belle e importanti, ma la felicità no. Quella per favore no.

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