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    SOS CORRIERE - DOPO LA FUGA DEGLI AGNELLI, CHI SARA’ IL CAVALIERE BIANCO CHE SALVERA’ L’RCS DAL RISCHIO DEFAULT? – BAZOLI E MEDIOBANCA INCASSANO IL “NO” DEI ROCCA E MALACALZA – COME LA FIAT HA MAL GESTITO IL CORRIERE SECONDO IL MOTTO AUREO DI CORSO MARCONI: FARE PULIZIA IN CASA PROPRIA E RIFILARE I BIDONI DELLA SPAZZATURA NEL CORTILE DEL VICINO


     
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    DAGOANALISI

                                       

    gianni agnelli 1 gianni agnelli 1

    E’ trascorsa quasi settimana dall’annuncio ufficiale che l’ex Fiat avrebbe abbandonato la corazzata Corriere incagliata in un mare di debiti e con una plancia di comando che fa correre il pensiero agli ammutinati del Bounty. E nel giorno che il primo ufficiale Sergio Marchionne e il guardiamarina Kaky Elkann passavano armi e bagagli sul veliero rivale armato da Carlo De Benedetti (Espresso-Repubblica), la notizia choc non ha trovato spazio nella prima pagina del quotidiano diretto da Machete Fontana, che festeggiava i 40 anni di vita del giornale fondato da Eugenio Torelli Viollier.

    SEDE CORRIERE DELLA SERA SEDE CORRIERE DELLA SERA

     

    Uno zelo peloso (tramutatosi nell’ennesimo infortunio giornalistico) affezione che, secondo Michel de Mointagne, colpisce principianti e inesperti. Ma nel suo comunicato del giorno dopo la redazione sosteneva invece, un po’ ribalda, “che non sono sempre i migliori quelli che se ne vanno”. E, lasciava intendere che morto un papa-padrone se ne trova sempre un altro disponibile a tappare le falle del Corriere.

     

    luciano fontana luciano fontana

    Come a dire? Guardiamo avanti senza chiedersi nemmeno delle ragioni (alcune reali) per le quali i nipoti dell’Avvocato hanno fatto fagotto. Ma all’orizzonte di via Solferino stavolta non sembra esserci quel Cavaliere bianco pronto a rimettere sulla rotta la corazzata che affonda. Da mesi, infatti, sia il pio Abramo Bazoli sia la Mediobanca di Nagel e Pagliaro (mediatori fallimentari), a conoscenza delle intenzioni dell’azionista di maggioranza Fca, hanno sondato alcuni grossi imprenditori (la famiglia Rocca e Vittorio Malacalza in primis) per capire se erano interessati al progetto di rilancio dell’Rcs.

    BAZOLI BAZOLI

     

    La risposta secca è stata “no, grazie”. Anche perché s’imbarcherebbero su un bastimento da cui tutti voglio scappare: da Mediobanca, secondo azionista, a Banca Intesa poiché l’angelo custode del Corriere avrà in futuro poteri marginali nella nuova governance dell’istituto. A causa soprattutto della crisi bancaria. gli eventuali nuovi azionisti avrebbero ben poco da barattare com’è avvenuto in passato nei “patti di sindacato” e nei “salotti buoni” di cucciana memoria. Tanto amati anche da Gianni Agnelli che si è servito del Corrierone – come vedremo - per scopi ben diversi e meno aristocratici dal suo “amore” dichiarato per la carta stampata.    

     

    MARCHIONNE ELKANN 3 MARCHIONNE ELKANN 3

    L’Avvocato poi amava ripetere che a guidare l’auto era sempre lui, per abitudine. E non soltanto. “Quando si andava a cavallo – aggiungeva nella sua metafora da ex soldato della scuola equestre di Pinerolo - c’è chi preferisce stare a cassetta e chi sceglie di sedersi comodamente in carrozza. Io preferisco stare a cassetta”. A differenza del nonno, i suoi giovani eredi Elkann hanno scelto di affidare le redini dell’azienda al postiglione elvetico Sergio Marchionne, che nel giro di qualche anno li ha scarrozzati brutalmente fuori da quella Torino dove tutto, come già osservava Friederich Nietzsche a metà dell’Ottocento, “era stato imposto un unico gusto, quello della Corte e della noblesse”.

     

    Già, la Torino della Dinastia degli Agnelli, pur senza lombi nobili, e della loro Fiat che adesso depone il suo scettro appannato, comprese le posate di famiglia – il quotidiano la Stampa scippata dal nonno fondatore ai Frassati -, per consegnarle nelle mani del suo storico rivale sabaudo Carlo De Benedetti.

     

    Gianni Agnelli e Heidi von Salvisberg, 1967 - Capri Gianni Agnelli e Heidi von Salvisberg, 1967 - Capri

    “Per me la Stampa e la Juventus vogliono dire moltissimo sentimentalmente”, aveva sempre dichiarato l’Avvocato. E in più occasioni aveva spiegato che per lui anche il Corriere della Sera “era un simbolo”. In realtà, il giornale milanese era soltanto uno strumento di potere per il suo tornaconto personale nei giochi (sporchi) della politica e della finanza (marcia).

     

    Tant’è che gli Agnelli sono entrati e usciti dalle stanze di via Solferino ben tre volte neanche si trattasse di un albergo diurno da utilizzare per bassi servizi. E l’hanno fatta da padroni sia nel breve interregno con i Crespi e i Moratti (1972-74) sia, attraverso la finanziaria Gemina-Mediobanca, nel lungo periodo che va dal 1989 al 1998.

     

    SCALFARI DE BENEDETTI SCALFARI DE BENEDETTI

    “L’entrata nella Rizzoli (post crac P2, nda) è un’operazione di pulizia. Si è trattato di una purificazione ambientale, un dovere di disinfestazione”, dichiarò l’Avvocato con parole crude (e ingenerose) che oggi sembrano riecheggiare (sinistramente) quelle del nipote Yaki (terzo ingresso della Fiat con toccata e fuga) al momento del suo abbandono dall’Rcs. Gruppo decotto di cui l’ex Fiat con il 16% era il primo azionista.

    libmaz 27 debortoli x suni agnelli libmaz 27 debortoli x suni agnelli

     

    “Tentennavamo e il più riluttante a prendere il Corriere era Cuccia”, ha raccontato Cesare Romiti nel suo libro di memorie raccolte da Giampaolo Pansa. Ma alla fine di quel decennio, dove alla presidenza dell’Rcs si alternarono Giorgio Fattori e Alberto Ronchey, nonostante un fatturato record (3 mila miliardi di vecchie lire) i debiti del gruppo si erano più che raddoppiati (600 miliardi); gli oneri finanziari da 30 miliardi annui nel 1992 sfioravano i 90. Alla fine dell’opera di “pulizia” (sic) annunciata da Agnelli il buco di bilancio del gruppo superava 1.300 miliardi.

     

    DISEGNO DI FABIO SIRONI - CESARE ROMITI GIANNI AGNELLI ENRICO CUCCIA E DE BENEDETTI DISEGNO DI FABIO SIRONI - CESARE ROMITI GIANNI AGNELLI ENRICO CUCCIA E DE BENEDETTI

    Un “rosso” da lasciare in eredità, ovviamente, al secondo “patto di sindacato” (1997-2013) che subentrerà ai torinesi in fuga. Ma gli “utili” (politico-aziendali), ovviamente, resteranno nella cassaforte della famiglia Agnelli. Nell’anno di grazia 1995, la stagione nera dell’espansione e dei raggiri finanziari in Italia e all’estero dell’Rcs agnellesca, le case editrici Fabbri, Sonzogno, Etas, Bompiani e Adelphi, sono rifilate dalla finanziaria degli Agnelli (Ifi) all’ex Rizzoli per oltre 307 miliardi di lire contro gli scarsi 100 milioni di euro che dovrebbero essere incassati oggi per la cessione dell’intera Rcs libri (gli stessi marchi) alla Mondadori. E nel 1993, con l’aiuto di Mediobanca, attraverso un’Opa oscura su cui hanno indagato Consob e magistratura, vengono rilevate anche tutte le azioni dell’ex gruppo Ifi-Fabbri ancora in optate.

     

    Tutto, insomma, secondo il motto aureo di Corso Marconi: fare pulizia in casa propria e rifilare i bidoni della spazzatura nel cortile del vicino. Altro che derattizzazione al Corriere! Un anno dopo Luca Cordero di Montezemolo, neo amministratore delegato per il settore audiovisivo, pagava 20 milioni di dollari per il 3,6% della casa di produzione americana Carolco Pictures; viene acquistato il 5% della Carlton Television e il 46% di Unedisa, proprietaria del quotidiano spagnolo El Mundo.

    gianni agnelli e marellla agnelli gianni agnelli e marellla agnelli

     

    La tragica espansione in terra iberica ha inizio, infatti, nel 1991 e si completerà nel 2007 con la conquista, a caro prezzo, di Recoletos (investimento perfezionato a 1,1 miliardi di euro).

    Non finisce qui, però, la sequela delle scorribande disastrose e degli errori commessi dall’Rcs Editori targata Fiat e dei suoi manager fidati di cui soltanto oggi si ricordano giornalisti e operai del Corriere: acquisizione del portafoglio della pubblicità Rusconi in Grecia; joint venture con la francese Hachette; 77 miliardi buttati negli audiovisivi; altri 78 milioni bruciati per sanare la Carolco.

    de bortoli de bortoli

     

    Di sicuro nei brevi e lunghi soggiorni al Corriere la Fiat degli Agnelli e i suoi proconsoli titolati, non hanno fornito prova di buona e capace amministrazione. Anzi. Tant’è che l’Avvocato si è preso pure il lusso, oltre  a nominare i direttori d’intesa con Dc-Psi (Stille, Ostellino, Mieli) di lasciare l’Rcs - poi diventata Hdp -, a Cesare Romiti al momento di liquidarlo da presidente della Fiat. E anche l’avventura dell’ex numero uno della Fiat si è terminata con un clamoroso fallimento. Già, la solita maledizione del Corriere!   

    luca Cordero di Montezemolo con Susanna Agnell luca Cordero di Montezemolo con Susanna Agnell

     

    Il resto, di là delle balle del giovane Yaky Elkann, è storia nota. Nell’ultima gestione Fiat dell’Rcs, quella conclusasi qualche giorno fa e anticipata in novembre da Dagospia, oltre a far vittime tra i dipendenti e svendere i libri e alcune gloriosi settimanali (il Mondo, l’Europeo, Novella2000 etc) è stata alienata anche la sede storica di via Solferino nel silenzio pavido di quella borghesia milanese e di una classe intellettuale e professionale che già aveva rotto il suo ultracentenario rapporto con il Corrierone.

     

    montezemolo agnelli montezemolo agnelli

    “A mio parere il Corriere della Sera, sia pure con i mutamenti portati dai vari direttori, ha sempre avuto un sottofondo liberale-liberista e conservatore o moderato”, ha scritto domenica Eugenio Scalfari nel tentativo (parziale) di confrontare il vecchio Corriere con la sua progressista la Repubblica. La verità è che il quotidiano post Albertini - da Mussolini al cazzaro Renzi - è stato sempre filogovernativo. E nel celebrare il primo sorpasso della Repubblica sul rivale milanese (1986) il sommo Eugenio non fa cenno allo scandalo della P2-Rizzoli che mise in ginocchio il concorrente. Né ricorda il “patto di non belligeranza” che fu firmato a Castel Fibocchi, in casa del massone deviato Licio Gelli, tra Carlo Caracciolo e Bruno Tassan Din, l’anima nera di Angelone Rizzoli.  

     

    agnelli rossana podesta montezemolo01 agnelli rossana podesta montezemolo01

    Ma se Torino ha le sue colpe e anche le sue ragioni (altro che salvatori delle rotative di via Solferino!) i responsabili del dissesto editoriale ed economico del Corrierone sono – senza eccezione alcuna – anche i Lor signori dei poteri marciti, spesso in conflitto d’interessi, che hanno usato il loro giornale per proteggersi sotto quella testata, fregandosene bellamente dei bilanci in rosso profondo, delle imprese rischiose e se le azioni Rcs crollavano in Borsa.

     

    CARLO CARACCIOLO CARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERA CARLO CARACCIOLO CARLO DE BENEDETTI E CORRADO PASSERA

    E sotto l’ombrello dell’impunità (a mezzo stampa), sia pure ottenuta a caro prezzo, troviamo il pio Abramo Bazoli (Banca Intesa), la Mediobanca di Cucia, Maranghi, Nagel e Pagliaro, i Pesenti, i Merloni, i Romiti, i Della Valle, i Ligresti, i Geronzi e il probo notaro Marchetti che decantava in pubblico la bontà dell’operazione-truffa Recoletos.

     

    Ps

    licio gelli licio jedi licio gelli licio jedi

    Due parole sulle rappresentanze sindacali del Corriere. Nel primo comunicato (4 marzo) il comitato di redazione scrive che “non sempre i migliori se ne vanno” (Fiat-Fca) accusando gli Agnelli di aver “impoverito” il giornale “con scelte industriali disastrose”. Ma negli anni della seconda direzione di Flebuccio de Bortoli (2009-205), abile mediatore tra proprietà e redazione, tutte (dico tutte, compresa la vendita della sede di via Solferino) le “scelte disastrose” dell’ad Scott Jovane hanno ricevuto - anche per via referendaria - il  via libera dei giornalisti.

     

    Gianfelice Rocca intervistato Gianfelice Rocca intervistato

    E si trattava di tagli dolorosi alle testate, dei pre pensionamenti, della cassa integrazione, degli orari di lavoro triplicati, della vendita del palazzo storico di via Solferino… Neppure un giorno di sciopero. E il discorso vale anche per i sindacati dei lavoratori (Cgil, Cisl, Uil) che, bontà loro, adesso rivendicano di avere fatto “accordi dolorosi” con la proprietà e di essere stati ingannati dagli Agnelli. Già, la pax sindacale ha fatto molte vittime in via Solferino ma c’è anche qualche sindacalista che ha fatto carriera sia in redazione sia in tipografia.

     

     

     

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