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    FEMMINICIDIO DA SCHIANTO - SI LANCIA COL FURGONE CONTRO UN TIR PER UCCIDERE LA MOGLIE - INCIDENTE STRADALE CON 3 MORTI PER OMICIDIO-SUICIDIO A PORDENONE – L’IPOTESI DELLA PM: FEMMINICIDIO MASCHERATO DA INCIDENTE - LA DONNA UCCISA ANDO’ IN UN CENTRO ANTI-VIOLENZA


     
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    Elena Tebano per il Corriere della Sera

     

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    "Mi ammazza, aiutami": Jamir me lo ripeteva di continuo. Aveva fatto di tutto per evitare che si arrivasse a quello che è successo». Maria De Stefano è la presidente dell' associazione Voce Donna che gestisce il centro antiviolenza di Pordenone. Jamir Temjenlenmla, 37 anni, indiana naturalizzata italiana, «una donna bella e piena di forza, si rialzava sempre», aveva cercato aiuto lì, preoccupata per ciò che il compagno Cristiano Dipaolantonio, 45 anni, avrebbe potuto fare.

     

    Aveva ragione: lunedì mattina l' imprenditore l' ha prelevata all' ospedale di Treviso con il furgone della sua ditta, ma invece di andare a prendere le figlie a scuola a Cordenons, il loro paese, ha imboccato la bretella per Sequals, una strada nota per il gran numero di incidenti. Lo hanno visto correre a tutta velocità, un sorpasso azzardato dopo l' altro, fino a quando si è scontrato con il camion guidato da Florindo Carrer, 52 anni, di Cessalto (Treviso), che ha cercato invano di evitarlo. Sono morti tutti e tre.

     

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    Sull' asfalto non c' erano segni di frenata: su quello che all' inizio ero sembrato un incidente ieri la Procura di Pordenone ha aperto un' inchiesta per omicidio volontario. L' ipotesi della pm Maria Grazia Zaina è che si sia ripetuto quanto successo il 9 marzo a Gambellara (Vicenza): un femminicidio «mascherato» da scontro automobilistico.

     

    Jamir era ricoverata perché già domenica Dipaolantonio aveva provocato un incidente: era uscito di strada a Cappella Maggiore, nel Trevigiano, dopo aver abbattuto un muretto. Lui non si era fatto niente, Jamir era stata trasportata d' urgenza con l' elisoccorso all' ospedale di Treviso per un trauma cranico.

     

    Era rimasta una notte in osservazione. Lunedì sembrava che il pericolo fosse scampato.

    Poi ha accettato un passaggio dall' uomo con cui aveva due bambine, di 8 e 14 anni. De Stefano non sa spiegarsi come lui l' abbia persuasa a salire: «Ne aveva paura». Ma forse la spiegazione è semplice: Jamir parlava l' italiano ancora con difficoltà ed era da sola a Pordenone, i parenti sono in India.

     

    Si era trasferita 15 anni fa proprio per stare con Dipaolantonio, che aveva conosciuto a una conferenza umanitaria indiana. Si era rivolta prima a uno psicologo, poi al centro antiviolenza perché il marito aveva atteggiamenti sempre più persecutori. «Non abusi fisici, ma psicologici: il suo è uno dei rari casi di maltrattamenti, meno del 10%, in cui la violenza è frutto di disturbi psichici- spiega De Stefano -. Perseguitava non solo lei, ma anche altri, si contraddiceva, dava per certe cose che non erano mai accadute».

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    Dipaolantonio era noto in tutta Pordenone per le sue campagne polemiche: prima con i Forconi, poi in un comitato contro le scie chimiche, infine con il gruppo Appleface, che si era tra l' altro schierato contro l' educazione all' effettività nella scuola della figlia.

     

    Di recente le sue condizioni erano peggiorate: «Le aveva detto che voleva togliersi la vita, poi che avrebbe ucciso anche lei e le figlie». Jamir a febbraio si era decisa a denunciarlo. «Doveva trasferirsi nella nostra casa protetta con le figlie. Poi è saltato tutto». Proprio quella mattina i servizi sociali del Comune, visto il suo stato di salute, gli avevano imposto il ricovero con un trattamento sanitario obbligatorio.

     

    Era stato dimesso dopo 15 giorni, sembrava stesse meglio ma non era tornato a casa.

    «Jamir si era tranquillizzata e non si era più fatta sentire con noi» dice De Stefano. Invece lui l' ha convinta a seguirlo un' ultima volta.

     

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