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    LA CANNES DEI GIUSTI - È ARRIVATO UNO DI QUEI FILM INASPETTATI E COMMOVENTI CHE AVRÀ SICURAMENTE LUNGA CARRIERA. C’È TUTTO. UNA BAMBINA DI SEI ANNI PROTAGONISTA INDIMENTICABILE, UNA MADRE SVITATA, TATUATA E FATTONA, MA DI BUON CUORE, WILLEM DAFOE IN VERSIONE BUONA, E I MOTEL PER POVERI TOTALMENTE ASSURDI, CRESCIUTI ATTORNO A DISNEYLAND. E’ “THE FLORIDA PROJECT” DI SEAN BAKER


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

    the florida project the florida project

    Cannes sesto giorno. Tra Nicole Kidman dilagante supersexy e sempre nuda, che passa da punk queen nella Londra del 1977 a moglie provocante di un chirurgo pronta a giocare al dottore, e i critici che seguitano a dividersi sul bellissimo film di Michael Haneke e ancor di più su quello di Yorgos Lanthinos, alla fine è arrivato uno di quei film inaspettati e commoventi che avrà sicuramente lunga carriera.

     

    C’è tutto. Una bambina di sei anni protagonista indimenticabile, una madre svitata, tatuata e fattona, ma di buon cuore, Willem Dafoe in versione buona, e i motel per poveri totalmente assurdi, con tanto di pink flamingos, cresciuti attorno a Disneyland.

     

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    E’ The Florida Project di Sean Baker, regista di Starlet e Tangerine, girato in un meraviglioso 35 mm, presentato ieri sera alla Quinzaine, frutto di uno studio accurato sul quartiere, chiamato Magic Island, una sorta di catena di motel degradati di gusto sotto-Disneyland nella Florida dove poveri, mignotte, fattoni abitano tutti assieme, dovendo solo far finta di non essere residenti. E spostandosi quindi ogni tanto di camera. E’ una terra di nessuno cresciuta all’ombra del grande sogno americano dove brillano gli outlet dei prodotti Disney, i resti delle paludi della Florida, il gran traffico dei turisti di tutto il mondo che vanno a Disneyland.

     

    “Siamo finiti in un motel per poveri!” grida con orrore una coppia di brasiliani caitati lì perché era tutto pieno. Reginetta della zona, come la Quvenzhané Wallis di Re della terra selvaggia, è la piccola Monee, interpretata da Brooklynn Prince, una specie di baby fenomeno sempre in movimento e con la battuta pronta, che attraversa con il suo amico Scooty e la sua amica Jansey ogni angolo del motel inventandosi ogni tipo di gioco più o meno pericoloso. Da sbirciare le tette cadenti di una vecchia in piscina a dare fuoco a una casa abbandonata.

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     Monee vive con la mamma, Hally, una notevole Bria Vinaite al suo primo film, che per pagare l’affitto a Bobby, Willem Dafoe, a volte si fa prestare i soldi da un’amica, altre volte invita qualche maschio della zona nella sua stanza. Non c’è una vera e propria storia, a parte le piccole avventure di Monee e la fatica di Hally per trovare i soldi, il film è quasi un viaggio in quest’America assolutamente poco trumpiana dove amicizia, vitalità, amore scorrono negli slum della Florida. Ieri sera i critici internazionali sono impazziti e hanno visto nel film una sorta di realismo pasoliniano.

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    Sean Baker è molto affettuoso con i suoi personaggi, a cominciare da Monee e dalla sua mamma, non osa nessun moralismo e nessun melodramma. Non ci sono lezioni, se non una grande attenzione al posto, a renderlo con la grandezza del cinema e ai suoi abitanti. Più che possibile che il film abbia una lunga vita da Oscar, perché ha tutte le carte in regola. Alla proiezione attori, registi, spettatori piangevano tutti.   

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