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    IL “DIAVOLO” JIMI HENDRIX – NEL MAGGIO 1968 IL “NEGRO CON LA PERMANENTE” ARRIVÒ PORTANDO SESSO, BLUES, VOODOO IN UN’ITALIA DOVE IL ROCK ESISTEVA SOLO NEI PROGRAMMI RADIO DI ARBORE E BONCOMPAGNI – TRA ORGANIZZATORI IN DIFFICOLTÀ E POLIZIOTTI TERRORIZZATI, IL RACCONTO DEL LIBRO “HENDRIX ‘68”…


     
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    Roberto Brunelli per “il Venerdì – Repubblica

     

    Apparentemente, un inferno. Qualcosa di simile all'apocalisse, come forse era ovvio nel maggio del Sessantotto. C' era gente ovunque, anche nei corridoi dei bagni, anche a ridosso del palco. Un assedio.

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    Il locale - il Piper di Milano - era minuscolo, Hendrix quasi non si poteva muovere, eppure in qualche modo riuscì a suonare. L' impianto audio era infame, e Jimi urlava al suo tecnico del suono: «Eric, che stai facendo? Perché non funziona niente?». E quello, disperato: «Non lo so, non lo so». Non c'era servizio d' ordine, nessuno parlava l'inglese, il primo concerto, quello del pomeriggio, era stato annullato perché gli strumenti erano stati bloccati alla dogana di Linate, si rischiò la sommossa. Leo Wächter, il proprietario del locale, «era isterico e urlava». Quasi quasi pareva di essere in Vietnam. O sulle barricate di Parigi: esattamente in quegli stessi giorni, sui boulevard divampavano gli incendi, le auto bruciate, le vetrine spaccate. Il Sessantotto: ce n' est qu' un début.

     

    jimi hendrix al piper jimi hendrix al piper

    Eppure, al tempo stesso fu una specie di miracolo. All'Italia di quello scorcio di secolo - pare un secolo fa - all'Italia del Cantagiro, dei musicarelli, di una classifica discografica guidata da Antoine (La tramontana) e da Patty Pravo (La bambola), Hendrix apparve come un alieno, «un mostro», come scriveva allarmata la stampa dell'epoca. Pezzi come Hey Joe, Purple Haze, Manic Depression, Foxy Lady in Italia erano un segreto totemico per pochi iniziati. Ma quella sera a Milano, e poi a Roma e a Bologna, per tanti furono la rivelazione. Chi c'era non poteva credere ai propri occhi e alle proprie orecchie. Desiderio, sudore, blues, psichedelia, voodoo, improvvisazione jazz, musica che sembrava piombata da un inspiegabile altrove sonoro.

     

    jimi hendrix al titan jimi hendrix al titan

    «Suonò dietro la testa, con i denti, tra le gambe, la strapazzò veramente quella povera chitarra», racconta oggi il fotografo Renzo Chiesa, che era là. «Fu stratosferico. Jimi faceva di tutto con la Fender, sfregandola sull' asta del microfono a simulare l'atto sessuale, ricavando suoni incredibili» conferma Alvaro Fella, poi leader di un complesso chiamato i Jumbo. Tre date - al Piper di Milano, al Brancaccio di Roma, al Palasport di Bologna, maggio '68 - passate dal Belpaese come una scossa elettrica, scombinando esistenze, percorsi artistici, destini amorosi. La prima e unica volta della Jimi Hendrix Experience nello stivale.

     

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    Se oggi sappiamo (quasi) tutto di quella manciata di giorni vissuti pericolosamente lo dobbiamo al critico musicale Enzo Gentile e al collezionista Roberto Crema e al loro Hendrix '68. The Italian Experience, che il 26 aprile uscirà in libreria con Jaca Book e che dal 16 maggio sarà anche una mostra alla Triennale di Milano con un'apposita selezione dei materiali contenuti nel libro. Che è una specie di scrigno dei miracoli: locandine, biglietti, foto rare e spesso straordinarie, contratti, menù di ristoranti autografati, ritagli. E soprattutto: testimonianze.

     

    Una miriade di testimonianze. Racconti di chi c' era: musicisti come Maurizio Vandelli, Fabio Treves, Dodi Battaglia e Ricky Gianco, appassionati anonimi ma sinceri scovati non si sa come, le ragazze (una per ciascuna notte) che si accompagnarono a Jimi tra un concerto e l'altro, future celebrità come Carlo Verdone (a cui dobbiamo l' introduzione al libro e che si definisce segnato in maniera «indelebile e indimenticabile»). Ricordi struggenti, come quello del bluesman Roberto Ciotti: «Jimi mi lasciò esterrefatto. Mi cambiò la vita. Trascurai lo studio, mollai il calcio, imparai a suonare la chitarra».

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    Racconti che trasformano la cronaca di quei giorni in un ritratto allucinato e per certi versi tenero di quel che era l'Italia in quell'ultimo pezzo di anni Sessanta.

    Un affresco di contrasti: era l'Italia con la Dc al 39,1 per cento e il Pci al 26,9, il rock esisteva quasi solo nei programmi di Renzo Arbore (lui c' era, al Brancaccio, e raccontano che «moriva dalla paura»), in radio regnava Avevo un cuore di Mino Reitano, la canzone d' autore era dominata da De André e dai più "politici" Fausto Amodei, Giovanna Marini, Paolo Pietrangeli.

     

    jimi hendrix al brancaccio di roma jimi hendrix al brancaccio di roma

    È questa l'Italia, ancora scombussolata dal boom, che accoglie del tutto impreparata la "tempesta perfetta" di Hendrix, portato ai nostri lidi grazie alla geniale intuizione dei promoter italiani Massimo Bernardi e Oscar Porri. Con esiti che visti con l'occhio di oggi appaiono a tratti sconcertanti, tra impianti audio insufficienti, la pressoché totale assenza di organizzazione, l' impossibilità di effettuare un sound-check. E poi tanti piccoli scorci di vita, spesso esilaranti. Tal Pierino che nella confusione totale del Piper ruba la camicia viola di Jimi, fradicia di sudore (e lui urla furioso «motherfuckers!»); le escursioni notturne del nostro sulla Fiat 500 di Albertino Marozzi, leader dei Fholks, con i quali gli Experience improvviseranno ben due jam session al Titan Club; la fuga "segreta" di Jimi in taxi fino al Colosseo. Qui è una misteriosa Claudia a rivelare i dettagli più segreti dell'ultima notte di Hendrix nella città eterna: «Jimi mi trasse in disparte, mi disse che gli piacevo e mi baciò. Era molto gentile e dolce, pieno di attenzioni. Più tardi ci dirigemmo tutti al parco di Villa Borghese, io e Jimi ci appartammo per fare l'amore tutta la notte». Non fosse che ad un certo punto arriva una volante della polizia, come narra un'amica di Claudia, Dana: «Jimi spunta con la sua testa da dietro i cespugli spaventando gli agenti. Li abbiamo sentito gridare: "Il diavolo!". Erano terrorizzati».

    JIMI HENDRIX JIMI HENDRIX

     

    Sì, un cortocircuito di mondi. I concerti al Brancaccio (i biglietti costavano dalle 800 lire per gli spettacoli pomeridiani alle 2.000 della sera) sono preceduti dall' esibizione del cantante Pierfranco Colonna con i Boa Boa, della Doctor K' s Blues Band e dal balletto Franco Estill Group' s, tra i cui danzatori figurano i giovanissimi Renato Zero e Loredana Bertè. Ma soprattutto sono i giornali a mostrarci l'abisso che correva tra gli squarci di futuro prodotti dalla prodigiosa musicalità dell'alieno Hendrix e la percezione che ne poteva avere il Belpaese dei musicarelli.

    Hendrix Experience BY GERED MANKOVITZ Hendrix Experience BY GERED MANKOVITZ

     

    "È in arrivo il negro che suona la chitarra con i denti", titola la rivista Giovani sul numero del 23 maggio '68. "Orrore al Brancaccio", è la sintesi di un giornale non identificato, per il quale Hendrix "è soprattutto un diabolico brutalizzatore della chitarra". E ancora: "Il brutto con la permanente", è il verdetto del rotocalco Sogno, mentre per Ciao Big le fan sono "Pazze per il mostro". "Il diavolo (nero) in corpo", conclude Men. Quello che rimane, oggi, è la musica.

     

    Narrano che la versione romana di Red House - oltre dieci lentissimi minuti - sia stata una delle più belle mai eseguite da Jimi. Sempre nella capitale, Hendrix suonò una fulmicotonica Sgt Pepper' s dei Beatles, nonché una lancinante Wild Thing che citava, ad un certo punto, Strangers in the Night di Frank Sinatra. «Percepivo un'energia tellurica, selvaggia, anche un po' spaventosa» ricorda l'allora giovanissimo Filippo La Porta, oggi stimato critico letterario e saggista. «La sua musica mi rivelò un mondo intero di cui fino a quel momento avevo avuto solo un vago presentimento». Qualcosa che a qualcuno doveva apparire come l'apocalisse. Ma era solo l'alba di un nuovo giorno.

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    ROBERTO BRUNELLI

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