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    NINO BENVENUTI, 80 ANNI SUL RING! LE OLIMPIADI DI ROMA, LA POLEMICA CON MAZZINGHI, L’AMICIZIA CON I RIVALI GRIFFITH E MONZON, LA STORIA D’AMORE CON NADIA SECONDA MOGLIE, I MESI IN INDIA CON LE SUORE A LAVARE IL CULO AI LEBBROSI, IL MITO DELLA BOXE SI RACCONTA: “SONO STATO UN MODESTO PUGILATORE CHE HA AVUTO QUALCHE SUCCESSO, UN PO' CHIACCHIERONE. IL PIU’ GRANDE DI TUTTI? E' STATO..."- VIDEO


     
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    OTTANT'ANNI, UNA FAVOLA. TUTTI VOGLIONO NINO BENVENUTI

    Marco Lobasso per www.leggo.it

     

    Ottant'anni, una favola. Tutti vogliono Nino Benvenuti, tutti lo cercano, tutti lo glorificano per un compleanno storico. Oggi il più grande pugile di tutti i tempi diventa ottuagenario; eppure il sorriso è di un eterno ragazzo che però, con semplicità e senza fronzoli, non le manda mai a dire.

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    Sul pugilato italiano non è mai stato tenero. Benvenuti, perché non ci sono più grandi campioni, come ai suoi tempi?

    «Manca qualcuno che scopra il campione, il suo carisma; che ponga attenzione verso il talento. Perché le qualità vanno intercettate e, dove esistono, ci si lavora sopra, con disciplina e passione. Con il talento si superano gli ostacoli dentro se stessi, ancor prima di salire sul ring; anche quello della vita».

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    Campioni si nasce o si diventa?

    «Campioni si nasce, lo si è già in culla. Bisogna, però, che qualcuno se ne accorga. Oggi, rispetto a un tempo, manca un po' il senso di famiglia sportiva attorno al campione. Una volta c'era chi ti conosceva davvero; che ti ricordava chi eri e soprattutto cosa potevi fare (e come). Ti scrutava. Un tempo ci si guardava negli occhi».

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    Benvenuti in tv con la Rai aveva provato spesso e volentieri a spiegare il problema dell'assenza di grandi campioni in Italia. Le manca la tv?

    «Sarò sincero: non mi manca la tv e nemmeno la Rai, perché, oggi, non è più la protagonista assoluta di riferimento rispetto allo sport, ma soprattutto della boxe. In passato il ruolo della Rai (parlo per la mia generazione) era quello di una seconda famiglia. Si intersecavano relazioni umane oltre che professionali. Ma i tempi son cambiati».

     

    La sua vita è ricca di sensibilità. Ai giovani consiglia ancora di essere persone sensibili?

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    «Intanto, a loro dico di fare sport con lo sguardo sempre puntato ai migliori, ciascuno nella disciplina propria. E poi - sono un po' di parte? Mi scuserete...- vorrei scegliessero il pugilato. Lo ritengo, al di là di tutto, lo sport più completo, che coinvolge, armonicamente, il movimento totale di tutto il corpo. Senza esagerazioni. Nella boxe tutto è bilanciato, dalla punta dei piedi alle spalle».

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    Roma, l'oro olimpico del 1960. Cosa porta nel cuore della Capitale?

    «Roma incarna quello che ho sognato fin da ragazzo, fin da quando ho iniziato il pugilato. A Roma è saldamente legata la mia vita; Roma mi ha adottato con tutta la mia istrianità e qui ho disputato tanti match importanti. Certo, fa un po' a cazzotti con il mio bisogno di rigore e di ordine ma, nonostante tutti i suoi difetti (e sarebbe da prenderla a pugni, ogni tanto), non riesce a non farsi amare».

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    È' vero che avrebbe voluto disputare un incontro con il grande Sugar Ray Robinson e magari anche perdere pur di affrontarlo?

    «Diciamo che solo nominare Robinson è come vivere un sogno. E' il più grande peso medio della storia. Tutti noi abbiamo attinto a qualcosa di suo».

     

     

     

    Da ansa.it

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    "Sono nato per fare il pugile". A 80 anni, li compie il 26 aprile, Nino Benvenuti è "felice, ho fatto quel che volevo, la vita mi ha dato tanto, più di quanto avrei pensato". Vinse l'oro alle Olimpiadi di Roma e avrebbe potuto perfino fermarsi, "ero pago di quel successo, dice. Se non avessi fatto il pugile, non so cosa avrei potuto fare".

     

    Ai suoi match c'era più pubblico che ai concerti dei Beatles o alle finali di Coppa campioni. "Ora la boxe non è passata di moda, dice, ma è uno sport per intenditori, che amano il bello e l'armonia.

     

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    C'è meno gente, ma la bellezza resta. Il più grande di tutti noi? Sugar Ray Robinson, era l'esecutore migliore dell'arte classica del pugilato, di quel che doveva essere la boxe, un esempio per tutti; Alì ha portato qualcosa che non conoscevamo e faceva ciò che altri non sapevano fare". Di se stesso, il vecchio campione dice: "Sono stato un modesto pugilatore che ha avuto qualche successo, un po' chiacchierone, mi seguivano sui giornali".

     

    In realtà Benvenuti era vincente, simpatico, un bel ragazzo sempre allegro, era il fidanzato d'Italia negli anni del boom e del ritrovato orgoglio nazionale. Un personaggio copertina, un'icona. Milioni di italiani si alzavano di notte per seguire alla radio i suoi match con Griffith a New York. Ma non fu tutto oro, e Nino pagò a caro prezzo - lui sposato e con 2 figli - la storia d'amore con Nadia, che sarebbe poi diventata la sua seconda moglie. Dopo la vittoria mondiale fu ricevuto al Quirinale e anche il Papa lo aspettava, ma le polemiche sulla sua vita privata spinsero Paolo VI, o chi per lui, a cancellare l'udienza, e lui incassò in silenzio.

     

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    La sua boxe era elegante e intelligente; vinceva usando la testa per stanare l'avversario spingendolo ad aprire la guardia. Alle Olimpiadi si trovò di fronte il gigante sovietico Radonyak, più alto e più grosso, che però finì atterrato da un gancio sinistro improvviso. In tanti faranno i conti con quel gancio, Griffith e Mazzinghi certo, ma anche il cubano Rodriguez, un picchiatore durissimo, che nel 1969 stava per togliere il titolo a Benvenuti, ma il triestino lo fulminò a sorpresa, facendogli addirittura perdere i sensi. Quel gancio non funzionò con Carlos Monzon, l'argentino selvatico, montagna di muscoli e violenza. "Diventammo amici, andai a trovarlo in carcere, aveva ucciso la moglie; al suo funerale portai la bara a spalla" ricorda. "Veniva da una infanzia poverissima, tra violenza e sofferenza"

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    . Il vecchio combattente si commuove per il destino di uno dei suoi tanti avversari, Jupp Elze, l'olandese dallo sguardo perso: "Vedendolo pensai avesse un destino segnato". Nel 1968 Elze, colpito duro da Duran, va in coma e muore. Era dopato, il fisico stremato non solo dai pugni. "La fine di Jupp mi fece pensare, lo immaginai debole e solo" dice Benvenuti che nel 1995 sentì il bisogno di fare qualcosa per i deboli e soli, e andò 3 mesi in India a servire in un lebbrosario con le suore di Don Bosco. "

     

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    Ho avuto tanto dalla vita, volevo restituire qualcosa" dice, "lavavo il culo a persone che stavano malissimo". Affiora la malinconia mentre Benvenuti rivanga il passato, l'amicizia col rivale di sempre Griffith, al quale pagò le cure in vecchiaia, la mai sopita polemica con Mazzinghi, il dolore per vicissitudini familiari. Ma nelle parole del campione non c'è negatività, lui resta fedele alla sua immagine di eroe positivo, "ringrazio la vita che mi ha dato tanto e il dopo non mi fa paura"

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