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    “CRISTIANO, SE LASCIA IL REAL, VUOLE VENIRE ALLA JUVE” – IL CAPO DELL’AREA SPORT DELLA JUVE FABIO PARATICI RACCONTA A VELTRONI COME, DA UNA FRASE DI JORGE MENDES, E’ NATO IL COLPO CR7 - "MAROTTA NON ERA CONTRARIO ALL’ACQUISTO DEL PORTOGHESE - ALLEGRI E’ MOLTO EVOLUTO, CI HA INSEGNATO LA LEGGEREZZA – DYBALA RESTERÀ CON NOI, SOLO MESSI E’ MEGLIO DI LUI - ABBIAMO PRESO RAMSEY: UNO COME LUI NON CE L'AVEVAMO" - E POI IL POGBA BIS (“DIFFICILE”), TONALI (“SUPER. MA NESSUNO SA GIOCARE COME PIRLO”) E QUEL PIZZINO CON IL NOME DI ZANIOLO…


     
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    Walter Veltroni per la Gazzetta dello Sport

     

    fabio paratici fabio paratici

    Fabio Paratici non risponde allo stereotipo del manager sportivo, una specie di Jack Lemmon nevrotico. Mi sembra invece che abbia preso una cotta per il suo lavoro, mi sembra che sia tanto intelligente da capire che nella vita capita di rado di trovare il punto di rugiada tra le proprie passioni e il proprio lavoro, tra ciò che si sognava da bambini e ciò che ogni giorno ti aspetta, quando ti alzi la mattina.

     

    «Io passo tutti i giorni al campo, non potrei farne a meno. Sono sempre insieme ai più forti giocatori del mondo, posso persino decidere se trovarne, ma è quasi impossibile, qualcuno più forte. E mi pagano pure! Incredibile». Estrae da tutte le tasche una miriade di foglietti, scritti da ogni parte. «Vuole sapere se i nomi scritti sul famoso pezzo di carta che avevo strappato e deposto in un cestino erano veri?

     

    CR7 CR7

    Eravamo a una riunione col Genoa e avevamo segnato dei giocatori dei quali avevamo parlato. Ma sono solo una parte delle centinaia i cui nomi sono scritti su questi pezzi di carta». Ha una competenza smisurata, figlia di passione e lavoro. Un manager sportivo come Paratici vive un po' come un agente sotto copertura. Meglio non si sappia dov' è, se viaggia, meglio scenda in aeroporti Hub internazionali. Se va in una città e qualcuno lo individua, il prezzo dell' oggetto del suo interesse lievita inutilmente. Bisogna lavorare riservatamente, sotto il livello dei radar.

     

    Mi racconta finalmente come è andata davvero con Ronaldo?

    «Quando noi abbiamo giocato a Madrid è venuto Mendes, come si fa sempre nei giorni della Champions. Gli dico: "Cristiano ha fatto dei gol incredibili", avevo ancora negli occhi, con ammirazione e dolore, la rovesciata. Lui mi guarda e mi risponde: "Tu non ci crederai ma Cristiano, se cambia, vuole venire alla Juve. Ricordati che è meno strano di quanto tu possa pensare. Poi ne parliamo". Io ho pensato a una boutade ma ho cominciato a ragionarci. Ci siamo trovati all' aeroporto dei voli privati di Linate con Mendes e Giovanni Branchini per chiudere, non ci voleva molto, quel fenomeno di Cancelo.

     

    fabio paratici fabio paratici

    Mendes mi guarda ancora, ora si capiva che faceva sul serio: "Ricordati l' altra cosa, vedrai che Ronaldo si muove da Madrid. Te lo dico chiaro: il giocatore vuole venire solo alla Juve. Lui ha giocato nel Manchester United che è la più grande squadra inglese, poi nel Real Madrid, lui va solo in squadre storiche. In Italia non ha mai giocato, vuole vincere anche il titolo italiano. Se lo volete, lui c' è". Gli ho detto: "Va bene allora tu dimmi un po' di cosa stiamo parlando". Io, che certo non mi ero scordato e certo volevo Ronaldo, sono arrivato lì preparato. Pensavo: se lui ne riparla voglio vedere, come al poker, che carte ha in mano: "Di cosa stiamo parlando?".

     

    "Questo è il salario, questo il trasferimento", dice lui. "Fammi pensare qualche giorno e poi ti darò una risposta". Non ho detto no, altrimenti lui avrebbe cercato altro».

     

    Posso immaginare l' adrenalina di quelle ore. Dover decidere se portare nella propria squadra il più forte giocatore del mondo...

    ramsey ramsey

    «Esatto. Ore di tensione e di energia. Tornando da Linate ho pensato: "Noi abbiamo Higuain, che comunque andrà via". Quindi, dedotto Higuain, questo può essere un buon accordo? Si può incassare di più?

     

    Facevo conti elementari. Ma sapevo bene che Ronaldo è una stella che si apre in varie direzioni: tecnica, commerciale, di mondializzazione del marchio. Ronaldo ha un valore aggiunto. Penso, e quasi non credevo a me stesso, "va bene, è una bella sfida, però possiamo anche pensare di provarci".

     

    Non avevo detto nulla a nessuno. Poi facciamo una riunione, era inizio giugno. Buffon andava via, avevamo vinto sette scudetti di fila, la Champions l' avevamo persa malamente: dovevamo fare qualcosa per motivare i giocatori. Perché il calcio è tecnica, ma anche passione, è talento ma anche cervello. Ci vediamo con Andrea, con Pavel, parliamo di programmazione e conveniamo che bisogna dare una scossa a tutto l' ambiente. Non bisogna abituarsi a vincere in Italia e a sfiorare la Champions. La prima sfida non è mai certa, la seconda non è una maledizione. Provo a dire che per far crescere tutto il club, per dare uno shock positivo e proiettare la Juve oltre i suoi confini un' idea l' avrei "È tutta da valutare, non mettetevi a ridere e non mi buttate fuori dall' ufficio. Ci sono due modi per motivare la squadra: uno non si può dire e l' altro è quello di comprare Cristiano Ronaldo"».

    fabio paratici pavel nedved fabio paratici pavel nedved

     

    Sono curioso del primo...

    «Il primo era comprare Icardi e scatenare un casino incredibile... Ma, come è ovvio, non era questo il mio obiettivo reale. Oppure... Oppure possiamo prendere Cristiano Ronaldo. Andrea fece una smorfia ma io dissi "aspetta, fammi spiegare". In verità, in quel momento nessuno poteva pensare che sarebbe venuto via dal Real Madrid per la cifra di cui Mendes mi aveva parlato. Si fece silenzio: "Mendes mi ha detto di riferirti che se la Juve lo vuole, e corrisponde alle sue richieste, lui viene alla Juve. Non vuole altra squadra se non la Juve. Non c' è opzione B, vuole solo la Juve". Andrea Agnelli è un manager, non è solo un presidente. Capisce di calcio e di azienda, vuole far ancora più grande la Juve. È velocissimo nelle decisioni: ha chiesto di pensarci un attimo e di parlarne con alcune persone. Io già ero contento che non mi avesse buttato fuori dall' ufficio e mi avesse lasciato l' entusiasmo di pensare di poter comprare Ronaldo. Il pomeriggio mi disse di farmi dare bene tutti i conti perché, se era come avevo detto io, saremmo andati avanti».

    walter veltroni walter veltroni

    Lei però mi ha fatto tre nomi di partecipanti alla riunione: Agnelli, Nedved e lei. Ne manca uno «Sì, alla prima riunione, quella dell' idea, Marotta non c' era.

     

    Nella seconda, sì». Marotta era favorevole o no?

    «Sì. Voglio essere preciso: non è mai stato contrario».

    Le dispiace che non lavoriate più insieme?

    «Sì»

    Avete collaborato per quanto?

    «Quindici anni».

    Sarà una bella competizione sul mercato tra voi due...

    «Facciamo due lavori diversi. È la verità».

     

    Come ha cominciato il suo?

    «Ho giocato sempre in serie come la C. Ebbi un micidiale incidente automobilistico a venti anni ma non dico che se non lo avessi avuto sarei finito al Real Madrid. Il mio livello di giocatore, centrocampista roccioso, era quello che ho avuto. Su suggerimento del mio manager, Marronaro, guardavo video di tutti i campionati, con avidità.

    Poi mi mettevo alla prova: ad esempio avevo visto Wisla Cracovia-Lazio. Mi segnavo su un foglio, sempre i miei fogli, i nomi dei giocatori che secondo me avrebbero fatto strada. Lo stesso facevo con quelli che giocavano con me. Mi ero scritto i nomi di Gobbi o Migliaccio, vaticinavo in quale serie sarebbero arrivati. E comunque avevo capito che avevo questa sensibilità. Vedevo in nuce un buon giocatore di calcio».

     

    Dove ha iniziato a fare il dirigente?

    «Finito di giocare a Brindisi potevo andare avanti ancora quattro, cinque anni a giochicchiare in serie C. Ma ho pensato: "Perché devo fare questo? Gli altri partono a trentacinque, trentasei anni, io parto a trenta. Anticipo, mi prendo un po' di vantaggio". Marronaro mi presentò a Marotta, andai a fare un colloquio e il primo incarico fu capo degli osservatori. Che è il mestiere più bello nel calcio. Vedi solo le partite, i calciatori, fai un po' di trattative, vai in giro per il mondo. Però, se sbagli giocatore, la colpa è del direttore sportivo. È bellissimo».

    ronaldo agnelli paratici ronaldo agnelli paratici

     

    Ricorda il primo giocatore che ha comprato?

    «Foti, un ragazzo che era al Venezia.

    Fallì il Venezia, lo prendemmo noi e a 16 anni giocava in serie A. Dopo lo vendemmo all' Udinese che lo comprò dandoci, oltre ai soldi, Pieri e Quagliarella. Io scelsi Quagliarella che allora giocava nel Chieti».

     

    Mi dice come funziona il lavoro di scelta di un giocatore? Com' è la sua rete? Quanti osservatori ha in giro per il mondo?

    «Il nostro sistema di scouting ha due settori: uno per la prima squadra, e uno per i ragazzi. Osservatori specifici per le differenti esigenze. Un osservatore non è universale. Se io vado a vedere i bambini di dieci anni, pur con la sensibilità che ho, faccio fatica. Per la prima squadra c' è un capo e tre osservatori. A me non piace averne tanti, mi bastano pochi, ma competenti. Anche perché quella è la mia malattia, di appassionato del calcio. Capire se un ragazzo può diventare un campione o se invece un giocatore dimenticato può ancora esserlo.

     

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    Capire i giocatori, capire le persone. Un bravo osservatore un giocatore non deve solo vederlo, deve "sentirlo", deve avvertire se ha quel qualcosa di più: talento, carattere, fantasia, intelligenza che lo renderà un calciatore che lascerà un segno. Un buon osservatore è come un rabdomante, un cacciatore di opere d' arte contemporanea. Io finirò la mia carriera facendo quello: prima o poi andrò al settore giovanile per stare fino alle sette di sera a vedere un ragazzino che stoppa bene la palla e a lavorare perché migliori».

     

    Lei da vecchio si vede così?

    «Sì, sicuro. Per chi è pazzo di calcio fare il settore giovanile è una vocazione. Prendi freddo, riconoscimento economico poco, difficilmente ti viene riconosciuto.

    Eppure c' è gente che lo fa tutta la vita. Le persone da cui ho imparato di più sono stati Angelo Massola, quello del famoso Como, e Ciso Pezzotti. È una vocazione. Come fare la suora, ma nel calcio».

     

    Come scopre il giocatore che vale la pena di andare a vedere?

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    «Tramite gli osservatori: loro vanno, dopo aver studiato statistiche e immagini del giocatore e poi mi riferiscono. Adesso è meno complicato di prima. Io andavo in Cile a guardare partite del campionato cileno senza sapere chi fossero quelli in campo, che età avessero. Dovevo fidarmi del mio occhio, e basta.

    Adesso andiamo e sappiamo tutto dei giocatori che guardiamo. Seguiamo quattro settimane di campionato francese, gli osservatori vanno su e collocano su un "campino", divisi per ruolo, i migliori che hanno visto. Una formazione intera, anche con alternative per i diversi tipi di gioco dei quali la squadra potrebbe aver bisogno».

     

    Tolto Ronaldo, quale è il giocatore che lei è più orgoglioso di aver acquistato?

    «Dybala, perché era un giocatore difficile da comprare. Veniva a sostituire Tevez, non proprio una roba leggera. Avevamo giocato una finale di Champions League, e stavamo comprando per quaranta milioni un giocatore del Palermo che aveva fatto tredici reti. Ti viene paura».

     

    Invece c' è una cessione che vorrebbe non aver fatto?

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    «Affettivamente Llorente e Matri. Matri è un ragazzo educato, dolce. Llorente lo stesso. Sono il tipo di giocatore che, quando devi venderlo, nessuno vuole andare a dirglielo».

     

    E invece tecnicamente quello che le dispiace aver venduto?

    «Come giocatore credo Vidal, grande talento».

     

    Più di Pogba?

    «Con Pogba lo mettevi in conto: un anno resisti, due resisti, poi dopo succede. Vidal era uno dei nostri, aveva cominciato con noi dal primo anno, con lui avevamo vinto molto».

     

    Ma Pogba tornerà?

    «No. Nel calcio non si sa mai, però è molto difficile».

     

    L' anno prossimo ci sarà da mettere mano alla rosa per un po' di obiettivo svecchiamento?

    «Guardi, io faccio tutti i giorni una disamina di questa cosa.

    Dico sì, ci vorrà un difensore: ci vuole, perché giocheremo tante partite e ci vuole nel futuro della squadra. In mezzo non so quanti giocatori si possano comprare migliori dei nostri. Se guardo il livello del nostro centrocampo e vado a vedere in Europa quanti reparti migliori dei nostri ci sono, faccio fatica a trovarne. Sono di quel livello Modric e Kroos, Busquets e Rakitic a Barcellona, De Bruyne al City, Pogba allo United. Rabiot, forse. Tutti questi giocatori però non sono acquistabili.

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    Tu puoi fare un cambiamento rischiando di prendere uno più giovane, ad oggi inferiore ai nostri, e poi si vedrà. È una scelta.

     

    Però Bentancur è stato inserito in un reparto che aveva già dei titolari. L' anno scorso ha giocato 10, 15 partite, quest' anno 25.

    Se fai un' operazione del genere sicuramente puoi trovare dei giovani validi. Ma che possano subito migliorare i nostri, ne vedo pochi».

     

    A giugno arriva Ramsey...

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    «Lo abbiamo preso, ma è un giocatore diverso dai nostri.Uno che nella nostra rosa non c' è. Ha più tecnica delle nostre mezzali, meno quantità, pur correndo molto è meno tignoso sulla fase difensiva, meno tattico. È uomo da ultimo passaggio, ha fiuto per il gol. Ramsey è un giocatore che secondo me non ha ancora mai trovato la sua posizione, perché non ha mai giocato mezzala a tre, che è il suo ruolo, capace come è di inserimento da dietro, di fraseggio. Oppure può giocare tre quarti dinamico, come Perrotta alla Roma per esempio...».

     

    Sempre nel reparto di centrocampo si parla molto del giovane ungherese Szoboszlai «È un ragazzo di valore. Ma bisognerebbe trovare una squadra di A dove fargli giocare molte partite». Una volta Allegri mi disse: «Ciò che è importante in una squadra è avere un nucleo di giocatori italiani». Sta costruendo una prospettiva di questo tipo?

    «Sicuramente è importante. Il Dna della Juve è sempre stato avere giocatori italiani come base e noi li stiamo cercando. Li facciamo crescere dentro, come Kean o li acquistiamo: sempre abbiamo preso qualcuno dal Genoa, dall' Atalanta, dall' Udinese. Poi è chiaro che il livello della Juve degli ultimi anni non è uguale a quello di cinque anni fa, non è uguale a quello di dieci anni fa. Logicamente, come si restringe il numero dei calciatori in generale che possono giocare nella Juventus di oggi, si restringe il numero degli italiani che possono farlo. Se faccio una squadra da quarto posto ci sono dieci italiani, se la faccio da primo posto in Europa chi entra nella top undici europea degli italiani?».

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    Mi dice tre italiani bravi che le piacerebbero?

    «Zaniolo, Chiesa, Barella e Tonali».

    Tonali a me piace molto. Qualcuno lo paragona a Pirlo.

    «Tonali è un ragazzo super, ha la serietà, la personalità. Però le caratteristiche sono diverse. Credo che nessuno sia paragonabile a Pirlo. Lui è il giocatore che sa giocare meglio a calcio che io abbia mai visto. Credo che nei prossimi 35 anni non vedrò mai più uno bravo a giocare a calcio come Pirlo, mai.

     

    Aveva una completezza di conoscenze del gioco, di tempi calcistici. Era un direttore d' orchestra e un primo violino, insieme. È uno dei pochi che il campo lo vedeva dall' alto, come volando. Disegnava geometrie impensabili e aveva i tempi sempre giusti».

     

    Allegri oggi è uno dei migliori allenatori del mondo?

    «Io credo sia certamente tra i primi cinque al mondo. Lui parla di un calcio molto evoluto, ha una visione del gioco che non è statica. Spesso gli allenatori vedono il calcio in un modo, perseguono quello e cercano di continuare ad andare su quella strada, indipendentemente dal contesto. Max ha portato una leggerezza che nel nostro mondo serviva. Conte, essendo molto juventino, è stato perfetto per quell' epoca, e guardi che soprattutto il primo scudetto di questo ciclo per larga parte è intestabile a lui, alla sua intelligenza e alla sua determinazione. Conte aveva la juventinità - lavoro e voglia di vincere - nel suo Dna. Allegri invece ha assimilato la juventinità, ne ha presa molta. Lui è migliorato, ma allo stesso tempo ha portato a noi quella leggerezza che noi non avremmo avuto e non avevamo. Max è un uomo molto intelligente».

     

    moggi paratici pessotto moggi paratici pessotto

    Quindi Allegri resta?

    «Certo che resta. Non vedo proprio un allenatore migliore».

     

    Quanto è difficile l' Atletico?

    «È difficile perché è una squadra grande. Ha fatto molto bene nell' ultimo quinquennio, con grandi risultati. Però dico la verità, oggi la Juve sta in Europa in modo differente da prima. In tutti questi anni abbiamo lavorato, Dio solo sa con quanta fatica, per sentirci naturalmente tra le grandi europee. E siamo lì. Se l' ambizione è, dopo due finali sfortunate, vincere la Champions, allora si deve temere l' avversario ma non averne paura, non sentirsi inferiori.

     

    Ci saranno due belle serate nelle quali faremo vedere che siamo capaci di giocare queste partite, come abbiamo sempre fatto. Poi passeremo, non passeremo, vinceremo, non vinceremo... In ogni caso non dipenderà da un' inferiorità, ma dai tanti fattori che determinano un risultato. La Juve di oggi non ha diritto di avere paura di nessuno. E non ha diritto di sottovalutare nessuno».

     

    allegri juve parma allegri juve parma

    James Rodriguez?

    «È certo un grande giocatore, bisogna vedere. Ma ripeto, migliorare i nostri è difficile. Migliorare Costa, Dybala, Bernardeschi, Cuadrado è veramente difficile. Banalmente la prima cosa che non deve fare chi ha la mia responsabilità è fare danni.

     

    Sembra una cosa semplice ma non lo è. Quando tu parti da una rosa forte, la prima cosa che devi fare è cercare di non peggiorarla. La Juve ha venduto solo tre titolari in questi ultimi nove anni. Bonucci lo abbiamo ripreso quindi due, Vidal e Pogba. Gli altri hanno fatto delle scelte di vita: Pirlo è andato a giocare negli Usa, Tevez è tornato a casa. Abbiamo cercato di migliorare anno dopo anno.

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    Rosa e bilancio, che sono legati. La Juve, in questi anni, è cresciuta non solo nei risultati sportivi, ma economicamente e come dimensione societaria».

     

    In questo mercato di gennaio dicono che ha ripagato Ronaldo.

    «Non è proprio così. A livello economico Ronaldo si è ripagato da solo. Guardi i dati pubblicati dal Financial Times o quelli sulla impennata nel mondo dell' immagine Juve o, ancora, quelli sul merchandising. È stato un affare, non solo dal punto di vista tecnico. Non c' era bisogno del mercato di gennaio - in cui abbiamo cercato di operare razionalmente per il bilancio tecnico ed economico - per ripagare l' investimento».

     

    Dybala resta?

    «Dybala resta. Dalla Juve va via solo chi vuole andare via. I nostri giocatori, lo ripeto, sono difficilmente migliorabili. Dybala con chi è migliorabile? Difficile. Messi forse, già con Neymar avrei dei dubbi. E Dybala è uno che alla fine ce l' hai sempre. Gioca tutte le partite, è presente. Quando guardi la squadra ci trovi sempre il segno di Dybala».

     

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    Prendete De Ligt e Romero?

    «Su Romero siamo bene indirizzati. De Ligt sicuramente è uno dei giovani migliori che ci sono, quindi lo guardiamo con grande attenzione».

    Kean?

    «Kean è un grande centravanti.È uno di quelli che faranno gol in Champions League, lo vedremo per tanti anni ancora giocare in Europa».

     

    Pensa sia bene che lui vada a giocare da qualche parte, l' anno prossimo?

    «Bisogna vedere la sua evoluzione perché a 18 anni fai dei cambiamenti, in pochi mesi, difficilmente preventivabili.

    Però sicuramente già adesso è un giocatore da Juve. Non è che è nella rosa perché gli facciamo un favore noi, ma perché crediamo che sia un giocatore di immense prospettive».

     

    Come vede l' esperimento delle seconde squadre?

    «Finalmente un grande passo avanti di tutto il sistema calcio italiano».

    Però adesso vogliono rimetterlo in discussione.

    paratici paratici

    «Si può fare tutto, basta che poi non ci raccontiamo che vogliamo che il movimento calcio in Italia cresca, perché stiamo dicendo balle da quindici anni.

    Abbiamo fatto poco, abbiamo riformato poco, le seconde squadre sono quindici anni che esistono in tutti i paesi del calcio evoluto. Dobbiamo smettere di dire che in Italia non crescono più calciatori perché c' è la PlayStation. Io ho sempre avuto collaboratori internazionali, spagnoli, olandesi.

     

    SOLER BRAIDA MAROTTA PARATICI SOLER BRAIDA MAROTTA PARATICI

    E mi chiedevano: "Perché da voi non crescono nuovi giocatori e da noi sì? Eppure la PlayStation c' è anche da noi". L' Italia sarà sempre un paese di calcio, lo abbiamo nel Dna. Poi, siccome la formazione determina quello che tu sei, è tutta la filiera che va curata. Per far giocare i ragazzi a livelli adeguati alla loro crescita sportiva e umana».

     

    C' è un giocatore nel calcio mondiale che le piacerebbe avere?

    «Più di uno».

    Diciamone uno..

    «Onestamente quello che mi piace di più ce l' ho. Diciamo che vorrei vedere un altro giocatore come Pirlo. Ma ora non c' è. Forse De Jong dell' Ajax, che è andato a Barcellona».

    Chiedo a Paratici: «Lei ha detto che la scommessa di Ronaldo è stata anche per accendere adrenalina nell' ambiente , che pure non ne è sprovvisto. Ci sarà la prossima estate un altro colpo da sobbalzo sulla sedia?». Paratici mi guarda. Sorride, impenetrabile. Eppure anche James Bond, ogni tanto, tradiva un' emozione.

     

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