DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Marco Giusti per Dagospia
“Ehi amico… sai che ti dico, che Frank Kramer è morto! Sembrava immortale Frank Kramer, cioè Gianfranco Parolini, nato a Roma nel 1925, che se ne è andato ieri nella sua città. Lui, che tanti eroi per il cinema western, il peplum, il maccheroni war movies e lo 007 all’italiana si era inventato. Sartana, Sabata, Indio Black, I frantastici tre Supermen. Con titoli sempre più assurdi, come Indio Black, sai che ti dico, che sei un gran figlio di….
Per non parlare della serie dell’Agente Jo Walker con Tony Kendall e Brad Harris protagonisti, notissima in Germania come Kommissar X. O di 5 per l’inferno con Gianni Garko e Klaus Kinski, amatissimo da Quentin Tarantino. Maestro del cinema di genere, e del cinema fatto con i grandi stuntmen italiani, come Aldo Canti detto Robustino e, in arte, Nick Jordan, forse il più fenomenale acrobata che abbiamo mai avuto, Parolini era uno tra i pochissimi registi italiani che nel dopoguerra sapessero parlare bene l’inglese.
Così dopo l’esordio come supervisore alla sceneggiatura per Francesco, giullare di Dio di Rossellini e Don Camillo di Duvivier, lo troviamo aiuto sul set di film girati americani girati a Roma di grande importantza, come Fontana di Trevi, che ricordava spesso, ma anche di Cleopatra.
Dopo essersi fatto le ossa come aiuto di Vittorio Cottafavi su La rivolta dei gladiatori, sfondò proprio nel peplum, che rimase il suo genere preferito, girando praticamente da solo Goliath contro i giganti, attribuito però a Guido Malatesta, e poi lanciandosi con Sansone e La furia di Ercole, che girò praticamente assieme e che furono i suoi primi veri grandi successi, seguiti dal fenomenale I dieci gladiatori e Gli invincibili tre.
Su questi set incontrò sia Brad Harris, forzuto americano che gli resterà amico per tutta la vita, ma anche Roger Browne, Mimmo Palmara, Sal Borgese, Pietro Torrisi, Vassili Karis e tutti i grandi attori e stuntman italiani del genere. Perfino un Serge Gainsbourg molesto e fuori di testa che nella Jugoslavia di Tito si accendeva i sigari bruciando i dinari.
A differenza dei vecchi registi come Guido Malatesta o Primo Zeglio, Parolini aveva in testa un cinema avventuroso molto più spavaldo e sbruffone, girato in gran fretta. Spesso con due titoli per volta, come si faceva allora. E pieno di idee da action comedy quando ancora il genere in Italia non esisteva.
Parolinate, le bollava Sergio Leone, quando Parolini prese il suo posto alla PEA di Alberto Grimaldi per il western dopo Il buono, il brutto, il cattivo. Parolini, fresco del successo di Se incontri Sartana prega per la tua morte con Gianni Garko, si presentò con Lee Van Cleef nerovestito nei panni di Sabata in Ehi amico… c’è Sabata, hai chiuso! E subito dopo girò il sequel, E’ tornato Sabata, hai chiuso un’altra volta.
Film visti in tutto il mondo, con incassi spaventosi. Ricordava Sandro Mancori, suo grande amico e direttore della fotografia: “Grimaldi prese Parolini dopo aver visto il suo Sartana. Gianfranco è un po’ il rovescio della medaglia di Sergio Leone. Lui riesce con l’intelligenza a rovesciare le situazioni più violente. Assieme al nostro film, Grimaldi stava producendo anche il Satyricon di Fellini e Queimada di Pontecorvo.
Sul set non si vedeva mai”. Anche se gli incassi dei Sabata furono pazzeschi per il tempo, Leone non perdonò mai a Grimaldi di averlo rimpiazzato con Parolini e le sue “parolinate”. Era un attrito che nasceva addirittura dai set dei peplum, quando Leone girava con estrema lentezza Il colosso di Rodi e Parolini ne sfornava uno dopo l’altro. Leone vedeva nel western comico dei Sartana e dei Sabata una degenerazione. Ma per Parolini quello era uno stile. Al terzo Sabata, però, Lee Van Cleef se ne andò, e il suo posto fu preso da Yul Brynner, allora non così popolare. Venne subito ribattezzato Indio Black, e il film diventò Indio Black, sai che ti dico: sei un gran figlio di… Ma Parolini non si prese mai con Yul Brynner.
Come raccontava lui stesso: “Stavamo per girare la prima inquadratura del film che in realtà era il finale del film: lui entrava col poncho tutto vestito di nero e doveva dire: ‘Where is the gold?’. Allora entra, apre la porta e dice la battuta con quel suo vocione. Io che non ero affatto soddisfatto della sua recitazione, mi lasciai sfuggire una battuta a voce alta, controbattendo alla sua battuta con un ‘1930...’ in inglese, per sottolineare la sua recitazione troppo impostata, da vecchio attore... mortacci, manca poco che m’ammazza... era vecchio per me, già c’aveva l’impostazione dell’attore superato... era rimasto a I magnifici sette e me la fece scontà per tutto il film sta battuta... m’ha fatto soffrì parecchio, ma io non me so sta’ zitto!”.
Parolini ritrova Lee Van Cleef in Diamante Lobo, un tardo e folle western girato per Golan e Globus nel deserto del Sinai in Israele, in piena guerra. La troupe venne lasciata dai due produttori cialtroni “ nel deserto senza una lira e soprattutto senza acqua!”, ricorda Parolini, ‘C’era Lee Van Cleef che mi diceva ‘Io me ne vado!? e io: ‘No, me devi fà prima tutti i primi piani, poi te ne puoi annà...’ Così io girai con lui oltre 50 primi piani, poi ci ho piazzato la controfigura e funzionava tutto! (..) Ma ‘sto film me fà tornà alla mente Sybil Danning, altra bellissima donna, che come mi conobbe mi fece capire che me se voleva fà... e infatti dopo a Tel Aviv successe un casino che non finiva più!
All’epoca era la donna di Bill Foreman che aveva 600 sale negli Stati Uniti e anche lui era diventato amico mio. Mi ricordo che lui arrivava sul set cò sta parrucchetta che j’aveva fatto mette lei perché era senza capelli, però era una brava persona, caruccio!”. Mancori lo riteneva un buon film, come tutti quelli di Parolini. “Nei suoi film la giustizia trionfa sempre. Mentre Leone è sempre violento, anche quando scrive, Gianfranco mette l’intelligenza dietro alla violenza. Non è mai diretta”.
In Sotto a chi tocca il protagonista è l’americano e folksinger comunista Dean Reed, che finirà travolto nella Germania dell’Est in una bizzarra storia di spionaggio con un tragico finale. Ma Parolini lo ha sempre ritenuto un bravo ragazzo. Come riteneva un bravi ragazzo anche Aldo Canti, che venne giustiziato in maniera trucida a Villa Borghese nel 1990. Adorava i caratteri difficili e gli attori pazzi, come Klaus Kinski o Serge Gainsbourg.
Quando arrivarono Bud&Terence, Parolini, che pure aveva in gran parte inventato il genere coi Sabata, giro due film molto simili a quelli coi due attori, Questa volta ti faccio ricco e Noi non siamo angeli, girato proprio con i sosia ufficiali dei due, cioè il grosso israeliano Paul Smith e lo smilzo Michael Coby, cioè l’italianissino Antonio Cantafora. Con la crisi del cinema di genere provò altre strade, come il folle Yeti – Il gigante del XX° secolo con effetti speciali non troppo riusciti che non gli vennero perdonati nemmeno dai fan più accaniti.
O il peplum porno Roma, l’antica chiave dei sensi. Ma Parolini avrebbe girato qualsiasi cosa. Bastava che fosse cinema. A lui si rivolse Gelli, il capo della P2, quando pensò di produrre un film sulla sua vita. Parolini lo andò a trovare, ma andò a sbattere con la sua macchina prima di entrare nella sua villa.
Si incazzò e non se ne fece nulla, anzi cercò pure di fare causa a Gelli per i danni della macchina. Perché avesse chiamato Parolini come regista e contemporaneamente attori come Sean Connery rimane un bel mistero. Ogni volta che lo vedevo rilanciava un paio di peplum da girare in coproduzione con la Cina. Sempre imminenti. Uomo di grande simpatia, pieno di verve anche da vecchio, se ne è andato divertente e allegro come era sempre stato.
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