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Francesco Borgonovo per “la Verità”
Maria Luisa Villa ha scritto uno dei saggi più interessanti e intelligenti attualmente disponibili nelle librerie italiane. Si intitola Scienza è democrazia (Guerini editore) e tocca alcuni degli argomenti che arroventano il dibattito culturale e politico contemporaneo. È un volume agile, denso ma facile da leggere, che prosegue il discorso iniziato con il precedente La scienza sa di non sapere, per questo funziona, uscito nel 2016.
La Villa è una scienziata autorevole. Fino al 2010 ha insegnato come professore ordinario di Immunologia all'Università degli studi di Milano, dove ha diretto la Scuola di dottorato in medicina molecolare. Socia corrispondente dell' Accademia della Crusca dal 2013, dal 2009 è associata di ricerca all' Istituto di tecnologie biomediche del Cnr.
Al lungo curriculum, questa scienziata unisce un piglio non comune e la capacità di dire cose piuttosto lontane dall'opinione prevalente. Anzi, diciamola come va detta: le parole di Maria Luisa Villa sono un vaccino indispensabile per contrastare il burionismo dominante, ovvero la tendenza di alcuni scienziati (a partire dal celebre Roberto Burioni) a svillaneggiare il «popolo bue» brandendo la scienza come una mannaia.
Nei giorni scorsi, anche Beppe Grillo ha sottoscritto il «Patto trasversale per la scienza» proposto dal virologo Roberto Burioni in collaborazione con l'immunologo Guido Silvestri. Ha letto quel manifesto? Che cosa ne pensa?
«Ho letto il manifesto, ho visto i nomi di quelli che l'hanno firmato. Dice anche cose sacrosante, ma le dice con un tono che ricorda lo scientismo in auge fino ai primi decenni del Novecento. Il fatto è che, da allora, l'atteggiamento degli scienziati è molto cambiato.
Ormai la scienza conosce i suoi limiti, sa che non può dare risposte assolute e definitive.
Certo, la scienza può dare risposte importanti, ma non può impancarsi ed essere com'era, appunto, all'epoca dello scientismo. Gli scienziati non possono essere, come diceva Francis Galton, un clero laico. C'è stato un momento nella storia in cui gli scienziati si credevano sostituti di Dio in Terra. Ecco, il tono del documento che ha citato mi ricorda quel momento».
IL TWEET DI ROBERTO BURIONI SULLE DONNE BRUTTE
È un tono che, tuttavia, sembra andare molto di moda.
«È un tono che piace molto. Piace soprattutto a voi della carta stampata, ai mezzi di comunicazione. La domanda è: questo tono è utile, serve?».
Appunto: serve?
«Se, per esempio, vogliamo convincere i No vax ad apprezzare i vaccini, conviene prenderli di petto in questo modo? Decisamente no. E non lo dico io».
Chi lo dice?
«Sulle principali riviste scientifiche internazionali escono a getto continuo articoli che affrontano questo argomento. Tutti spiegano che non è utile prendere di petto coloro che contestano. Bisogna utilizzare altri modi. La cosa migliore è essere onesti».
In che senso?
«A un genitore che ha dubbi sui vaccini è meglio spiegare che i vaccini vengono controllati su milioni di persone, chiarire come funzionano e come vengono sviluppati. Poi bisogna spiegare che nessuno strumento tecnologico è veramente a rischio zero. È più utile spiegare che i rischi, anche per i vaccini, ci sono. Tuttavia, in genere sono reversibili e rarissimi. Un discorso di questo genere è molto più utile a convincere chi ha dubbi. Si ascoltano molto di più discorsi di questo tipo che quelli in stile "congiura dei somari". Lo dicono riviste scientifiche come Nature e Science, tra le altre».
roberto burioni da fabio fazio
La congiura dei somari, per inciso, è un pamphlet firmato da Roberto Burioni. Molto indicativo dell' atteggiamento esibito da alcuni scienziati.
«Mi stupisco che in Italia si sia preferito questo tipo di approccio. Chi lo segue diventa famoso, chi ha posizioni diverse no. Sarebbe bene, però, che chi fa divulgazione distinguesse tra la scienza e le applicazioni delle conoscenze scientifiche. In particolare, bisogna fare attenzione ai concetti di pericolo e di rischio».
Si spieghi meglio.
«Quelli che discutono di vaccini - pro-vax o no-vax - non trattano di scienza, ma di valutazione del rischio connesso all' applicazione di conoscenze scientifiche. Ci sono due concetti cardine che vengono regolarmente confusi: il pericolo (danger, hazard), che è la proprietà intrinseca dell' agente in esame di poter produrre effetti dannosi, e il rischio (risk) che implica un' opzione che può essere semplicemente accettata o direttamente imposta. In poche parole, il rischio è una cosa molto diversa dalla conoscenza scientifica, e nella sua valutazione entrano componenti che non hanno a che fare solo con la scienza».
La valutazione definitiva, utilizza i dati scientifici ma spetta alla politica, insomma.
«Lo scienziato atomico Alvin Weinberg in un articolo del 1972 intitolato Science and Trans-Science, segnalava l' esistenza di una zona grigia tra scienza e politica. Una zona in cui si collocano le domande "che possono essere poste alla scienza ma non possono trovare risposte nella scienza stessa".
Weinberg denominò questa area grigia trans-scienza. Ci sono domande le cui risposte implicano componenti etiche e politiche, e che per questo motivo richiedono l' intervento dei decisori politici. Questi sono concetti che andrebbero definiti con molta chiarezza invece i mass media li ignorano».
La sensazione è che oggi la scienza sia utilizzata per fare politica. Proprio come nel caso del manifesto che citavamo prima. La scienza diventa strumento di propaganda, un modo per dividere i buoni illuminati dai cattivi "anti scienza". Ricordo un manifesto del Partito democratico con lo slogan «Vota la scienza», tanto per fare un esempio.
«A che cosa serve una cosa del genere? Tutti stanno con la scienza. Qui parliamo di applicazioni della scienza, semmai. Qui parliamo, come dicevo, di valutazione del rischio.
Lo scienziato può dire la sua sulla ricerca, ma per stabilire se un rischio è accettabile devono essere coinvolti i decisori politici».
Quindi sui vaccini deve decidere la politica.
«Ma certo. La legge mica la firma Burioni, l'ha firmata la ministra. Così funziona la democrazia».
Non la pensano tutti così. Ci sono scienziati che si presentano come i detentori della verità definitiva anche nel campo delle applicazioni tecnologiche.
«Questa è roba da scientismo. Non si fa più così. Bisogna sottrarre la scienza a questo tipo di strumentalizzazione. Sul New York Times, nell' agosto scorso, Melinda Wenner Moyer ha scritto un articolo molto interessante. Diceva che i critici dei vaccini tengono gli scienziati in ostaggio».
Ovvero?
«Molti scienziati hanno paura ad esprimere dubbi su questo o quel vaccino, perché se lo fanno vengono immediatamente inserite nei ranghi dei No vax. La pacata espressione di dubbi mirati a qualche particolare problema basta a farsi etichettare come No vax. Anche io verrò criticata per il solo fatto di aver parlato con lei. Siamo ostaggio di questa scienza gridata per slogan».
Questo però non dipende solo dai No vax. Anzi, mi sembra che spesso siano i «difensori della scienza» ad accusare chi non la pensa come loro di essere un pericoloso oscurantista.
«Ma certo. C'è una aggressività verbale a cui si risponde con altra aggressività. Dal punto di vista scientifico nessuno ci guadagna niente, e chi era contrario ai vaccini si incavola ancora di più».
Per uscire da questo circolo vizioso lei cita una antica massima.
«Sì, una frase di origine russa, preferita da Lenin e amata poi da Ronald Reagan, che la utilizzava molto spesso. Dice: fidati ma verifica (trust but verify). Parti con la fiducia, ma verifica. Se non hai gli strumenti, fidati degli esperti. La scienza rimane ancora la fonte più autorevole di conoscenza nella comunicazione del rischio ma le sue indicazioni devono sottostare a un continuo confronto con le molteplici parti interessate alla sua gestione».
Certo che se gli esperti sono un po' arroganti e ti danno del somaro fidarsi è difficile...
«Ecco. La competenza comunicativa degli scienziati deve continuare a privilegiare la capacità di discernere tra fatti e fantasie, tra razionale e irrazionale, abbandonando al contempo le pretese di educare astrattamente dall' alto per accogliere le forme più inclusive della comunicazione persuasiva basata sul dialogo e sul concreto contesto dove il rischio è percepito dal pubblico. Il mondo attuale è complesso, e gli scienziati devono imparare a trasmettere il senso di questa complessità nelle risposte ai quesiti che la società inevitabilmente continua a proporre».
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