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    LEVAMOSE ‘STI SPICCI - LE MONETINE DA 1 E 2 CENTESIMI DI EURO CHE INGOMBRANO TASCHE E SALVADANAI USCIRANNO DI PRODUZIONE A PARTIRE DAL 1 GENNAIO 2019 - MA CONTINUERANNO A CIRCOLARE (ALMENO FINO AL LORO ESAURIMENTO) E MANTERRANNO INTEGRO IL LORO VALORE LEGALE - L’UNICO RISCHIO CHE CORRIAMO? GLI “ARROTONDAMENTI” NEI NEGOZI…


     
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    Marco lo Conte per https://www.ilsole24ore.com

     

    Difficilmente ci mancheranno, almeno alla maggior parte degli italiani. Le monetine da 1 e 2 centesimi di euro che ingombrano le nostre tasche e i nostri salvadanai usciranno di produzione a partire dall’anno prossimo.

     

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    Il 1 gennaio 2019, infatti, la Zecca dello Stato non conierà più i tagli minori, anche se ovviamente continueranno a circolare (almeno fino al loro esaurimento) e manterranno integro il loro valore legale. Una decisione dovuta a una pluralità di fattori: l’eccessivo costo di produzione, gestione e distribuzione. Lo ha stabilito la conversione dell’emendamento legato alla Legge Finanziaria dello scorso anno ossia la 96/2017. Formalmente è solo una sospensione e in attesa che qualcuno le rimpianga e sblocchi il congelamento della produzione, è lecito “godersi” qualche risparmio, in ragione dello stop produttivo.

     

    COSTI E RISPARMI

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    Quanto? Secondo quanto rende noto il Poligrafico e Zecca dello Stato, abbiamo speso circa 10 milioni di euro l’anno (iva esclusa) per coniare circa 350 milioni di monetine da 1 e 2 centesimi; nello specifico 230 milioni di pezzi da 1 e 170 da due centesimi. Nel 2016 erano stati rispettivamente 236 milioni ei 129 milioni, mentre l’anno precedente al Ministero dell’Economia era stati consegnati 144 milioni e 134 milioni.

     

    Tanto? Poco? Per avere un ordine di grandezza si può considerare il costo produttivo per le altre monetine: per i 12 milioni di monetine da 50 centesimi, da 1 e 2 euro lo Stato spende in tutto circa 2 milioni di euro (iva esclusa) ogni anno. Se ne producono 3 milioni di pezzi da 50 centesimi, 5 milioni da un euro e 10 milioni da 2.

     

    IL CALCOLO DEI CONSUMATORI

    E ora viene il bello: la norma infatti prescrive di arrotondare i prezzi al multiplo di 5 centesimi più vicino, per eccesso o per difetto. Peanuts, come si dice in questi casi, ossia noccioline. Che tutte insieme possono però fare massa, come ricorderà chi ha vissuto il passaggio dalla lira all’euro.

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    Certo, qui le proporzioni dell’operazione sono meno rilevanti, ma ugualmente si levano gli allarmi per i consumatori. Secondo Vincenzo Donvito, presidente dell'Aduc, associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori, proprio dall’arrotondamento per eccesso nel commercio al dettaglio provengono i maggiori rischi: «Se nel 2016, le famiglie italiane hanno speso quasi 11 miliardi e mezzo di euro per la spesa alimentare complessiva - dice Donvito -, partendo da un aumento medio dei prezzi dello 0,2% causato da un arrotondamento per eccesso (passando da 10,58 euro a 10,6 euro), si scopre che quella stessa spesa potrebbe aumentare di circa 23 milioni all'anno. Vale a dire il risparmio ottenuto dallo Stato non coniando i ramini. Vale allora la pena non produrre più queste monete?»

     

    LA SOLUZIONE DIGITALE

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    La soluzione è, o quanto meno sarebbe, a portata di mano: l’utilizzo della moneta elettronica consente al consumatore di pagare in modo preciso,oltre che tracciato e trasparente, dribblando c0sì il rischio di arrotondamenti scorretti. Ma, si sa, le resistenze di alcune fette della popolazione italiana all’innovazione finanziaria e digitale sono rilevanti: secondo un’indagine della Bce l’86% delle transazioni avvengono in contanti in Italia (l’80% nel resto dell’Eurozona), che cala al 54% in termini di valore. Una resistenza che rischia di rappresentare un ostacolo rilevante per un salto di qualità anche in termini di trasparenza e protezione del risparmiatore.

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