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    MEMORIE DI LIV ULLMANN: “IL FILM ‘PERSONA’ DEL 1966 HA CAMBIATO LA MIA VITA: RECITAVO GIÀ DA MOLTI ANNI, ERO SPOSATA E QUANDO ABBIAMO INIZIATO A GIRARE MI SONO INNAMORATA DI INGMAR BERGMAN, SONO ANDATA A VIVERE CON LUI SULL'ISOLA DI FARÖ, ABBIAMO AVUTO UNA FIGLIA. E VIVENDO INSIEME SIAMO DIVENTATI GRANDI AMICI…”


     
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    Stefania Ulivi per il “Corriere della Sera”

    liv ullmann liv ullmann

     

    «Quel film ha cambiato la mia vita: recitavo già da molti anni, ero sposata e quando abbiamo iniziato a girare mi sono innamorata del regista, sono andata a vivere con lui sull' isola di Farö, abbiamo avuto una figlia. E vivendo insieme siamo diventati grandi amici, un' amicizia profonda durata quasi cinquant' anni. Ho imparato molto da lui, e credo che anche lui abbia imparato da me».

     

    Il film, Persona del 1966, è stato l' inizio di uno dei connubi più fertili della storia del cinema, quello tra Ingmar Bergman e Liv Ullmann. Cinque anni d' amore - non si sono mai sposati - , quasi quaranta di collaborazione culminata in film come L' ora del lupo , La vergogna , Passione , L' immagine allo specchio , Sussurri e grida fino a Sarabanda del 2003. L' attrice e regista norvegese - che sarà in Italia dal 15 marzo, protagonista della retrospettiva del 36° Bergamo Film Meeting e della mostra fotografica Liv & Ingmar - ne parla con il Corriere con incantevole naturalezza.

     

    Parlano di lei come della sua musa, Bergman diceva che era il suo Stradivari. Ma lei è stata anche di più, un vero alter ego.

    liv ullmann e ingmar bergman liv ullmann e ingmar bergman

    «Penso di si. Aveva due alter ego, Max von Sydow e me. Lui amava lavorare sempre con gli stessi attori e io non credo di non aver preso il posto di un'attrice ma di un attore. Attraverso me esprimeva cose molto intime, come in Persona : il senso di solitudine, l'angoscia di vivere, la tristezza. Anche se nella vita era un uomo buffo e pieno di humor. Credo però che non abbia mai trovato l' interprete giusto per esprimere quel lato di sé più fanciullesco. Un aspetto del suo carattere che io ho sperimentato, ci siamo divertiti moltissimo insieme fino all' ultimo momento della sua vita».

     

    Nella retrospettiva di Bergamo tra le sue regie ci sono le due tratte da sceneggiature di Bergman, «Conversazioni private» che aveva già portato in teatro e presenterà in giugno a Napoli al Politeama e «L'infedele». Ha scoperto qualcosa di cui non era consapevole?

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    «Sì, la forza delle sue parole. Quando recitavo ero concentrata sui ruoli, rileggendo i copioni ho realizzato che Ingmar, oltre che film-maker straordinario, è un grande scrittore. Penso che a lui sia pesato non avere avuto in vita questo riconoscimento. Ci ha lasciato personaggi femminili magnifici».

     

    Come la Marianne di «Scene da un matrimonio ».

    «Quel lavoro è stato una rivelazione, ancora oggi attualissimo, mentre si parla in tutto il mondo della questione delle molestie. Lei è una donna liberata, che non accetta di chiudersi in una relazione segnata dalla violenza. E che impara a non dire più troppi sì.

    Un personaggio ancora più moderno se si pensa che è stato scritto da un uomo».

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    Che ricordo ha di Bolognini e Monicelli?

    «Quello di due registi meravigliosi e uomini gentili. Era la metà degli anni 80, uno dei periodi più belli della mia carriera: abitavo a Roma all' hotel Hassler, mi sono sposata all'epoca di Speriamo che sia femmina (con Donald Sanders, ndr ) . Bolognini, in Mosca addio , mi ha permesso di interpretare la parte che ho amato più di ogni altra, quella della scienziata russa dissidente Ida Nudel».

     

    È stato difficile per lei passare alla regia?

    «Sì, non è stato facile farsi prendere sul serio. Sono un' attrice, sono una donna e ora sono vecchia: non tutti vogliono fidarsi. E sfuggo ai cliché: mi piace essere gentile, mi piace offrire i caffè a chi viene sul set, capisco non sia l' atteggiamento tipico di chi sta al comando».

     

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    Le dispiace non aver diretto il film da «Casa di bambola», suo grande successo in teatro?

    «Avevo i soldi, e attrici stupende prima Cate Blanchett e poi Kate Winslet, ma le cose soo andate per le lunghe e ho detto basta: troppo tardi».

     

    Scriverà un nuovo libro?

    «Mi sta nascendo dentro, ho già il titolo: The Blue Hour , l'ora blu. Quando la luce si sta spegnendo ma ha il tocco magico di farci fare cose che prima non avresti mai fatto».

     

    Sua figlia Linn è una scrittrice di successo: ha mai pensato di portare in scena o sul set un suo romanzo?

    «Ne abbiamo parlato anni fa. Ma non credo funzionerebbe. Siamo madre e figlia, meglio separare i piani».

     

    Lei in dicembre compirà gli 80 e nel 2018 si festeggia il centenario della nascita di Bergman. L'avranno inviata ovunque.

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    «Sì, inviti straordinari. All' inizio ho accettato, poi ho capito che dovevo limitarmi.

    Non voglio inflazionare il ricordo. Ho avuto la fortuna di vivere un' esperienza magica, abbiamo costruito tanto insieme, siamo stati molto felici. Ma bisogna anche avere la forza di chiudere le porte»

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