DAGOREPORT – MATTEO FA IL MATTO E GIORGIA INCATENA LA SANTANCHÈ ALLA POLTRONA: SALVINI, ASSOLTO AL…
Maria Giovanna Maglie per Dagospia
Nel giorno in cui uno studio dimostra che il 92% dei media americani informa e rema attivamente contro Donald Trump, arriva, opportunamente leaked, una bomba sulla faziosità dei giganti Internet. Faziosità non più negata, almeno non nelle loro segrete stanze, che poi segrete non restano anzi, si tratta di un dilemma amletico, di fronte al quale Google, Facebook, YouTube e Twitter non possono più mantenere la promessa fatta al mondo di essere obiettivi e difensori della libertà di espressione e di parola.
Dice proprio così, che i giganti di Silicon Valley sono intrappolati oggi tra due posizioni incompatibili fra di loro, il mercato delle idee che non deve avere mediazioni, e i necessari spazi ben ordinati di sicurezza e civiltà. Che vuol dire? Ah saperlo, magari è solo un bel modo di dire che fanno come gli pare, che alcune notizie le privilegiano e altre le nascondono, che si comportano come i peggiori censori contro i quali hanno sostenuto di essere nati.
Quelli di Google però si sentono censori in missione per conto di Dio.
The Good Censor, ovvero il buon censore, il censore a fin di bene, come si chiama il dossier leaked, rivelato, mentre avrebbe dovuto rimanere segreto, uno studio ad uso interno. Destinato a chi? Prodotto per promuovere che cosa o per tutelarsi da cosa? Di certo spendendo una montagna di quattrini, con l'assistenza di avvocati e consulenti.
Forse ad accusarli di alimentare false notizie e odio nei confronti suoi e della sua amministrazione, Donald Trump non aveva pensato così male. Solo che il gigante di internet ammette in un esplosivo dossier, passato da una manina volenterosa al giornale conservatore Breitbart, di esercitare censura sulle notizie e di indirizzarle politicamente, ma si giustifica perché un po' sarebbe una narrativa utopista quella dell'obiettività, e fin qui possiamo essere d'accordo, un po' e’ soprattutto colpa proprio di Donald Trump se l'informazione è costretta ad attaccarlo, e per attaccarlo costretta a delle bugie, gettando alle ortiche la tradizione americana del Free Speech.
ruth porat di google si mette a piangere per l elezione di trump
Già erano state rivelate immagini di riunioni nelle quali i più alti dirigenti di Google dichiaravano che avrebbero fatto di tutto per cancellare dalla storia il presidente, e con lui il populismo che lo appoggia. La veemente smentita, fondata sulla assicurazione che le opinioni personali di chi lavora a Google non hanno niente a che vedere col prodotto, non aveva convinto.
Ora è arrivato questo bel mattone, 85 pagine titolate “The good censor”, nelle quali, partendo dal presupposto che Google e le altre piattaforme digitali ora controllano la maggioranza della comunicazione online, si riconosce che hanno preso la strada della censura come reazione e risposta a eventi politici nel mondo non graditi e inaspettati, per esempio l’ascesa in Germania di AFD, Alternativa per la Germania, il partito di destra anti europeo.
Il bello è che per giustificare l'approccio fazioso viene preso ad esempio lo stile europeo, cosa che non dovrebbe renderci lieti. Nel senso che, cito, la tradizione americana privilegia il Free Speech in nome della democrazia, non della civiltà, mentre quella europea favorirebbe la dignità rispetto alla libertà, e la civiltà rispetto alla libertà, e che ora tutte le piattaforme Tech si starebbero indirizzando verso la scelta europea.
Vi sembra una supercazzola? In parte sì, in parte vuol dire che in nome di una presunta civiltà da mantenere tutto è lecito, soprattutto se dopo aver assicurato pubblicamente di non essere strutture con una direzione, ma solo piattaforme neutrali, ottenendo così di essere immuni dalle clausole della sezione 230 della Communication decency Act, la legge americana sull'editoria, nel dossier si specifica invece che il ruolo di garanti della civiltà è dovuto, essendo editor e publisher, direttori ed editori.
Alla preparazione del dossier hanno partecipato numerosi ricercatori di vari livelli e indirizzi, l’editore capo della rivista del MIT, Jason Pontin, lo scrittore di Atlantic Franklin Foer, l'accademico Kalev Leetaru, 35 osservatori culturali e 7 leader in campo culturale provenienti da 7 Nazioni di 5 continenti. Le conclusioni del dossier e dei briefing che lo hanno accompagnato vengono ora considerati parte integrante della politica di Google,
a partire dalla necessità di autocensura e di censura per poter affrontare l'espansione nel mercato cinese.
A continuare, si afferma che non possono essere messi sullo stesso piano i commenti delle persone normali con quelle di fonti autorevoli, come per esempio New York Times, e che queste ultime vanno privilegiate negli algoritmi.
Breitbart, rivista conservatrice molto discussa, per un certo tempo diretta da Steve Bannon, è che proprio nel dossier viene indicata come fanatica del Free Speech, che non si sa se sia un complimento a questo punto, ha pubblicato l'intero dossier ed ecco i punti salienti.
Gli utilizzatori si domandano a questo punto se l'apertura totale di Internet debba essere celebrata, e se il Free Speech sia diventato un'arma politica sociale ed economica.
Gli ideali primordiali del Free Speech su internet erano un'utopia.
Ormai Google, insieme a Twitter e Facebook, controlla la maggior parte delle comunicazioni on line.
Si porrà prima o poi il problema del rispetto della legge sulla comunicazione e la decenza dalla quale in quanto piattaforma neutrali finora sono stati esentati.
L'elezione di Donald Trump e il presunto coinvolgimento della Russia vengono individuati come i fattori che hanno eroso la fede nel Free Speech e convinto della necessità di censurare e interpretare. In modo analogo si ammette che è stata trattata l'ascesa del partito AFD tedesco, identificato senza prove come alt-right.
Secondo il dossier, razzisti misogini e oppressori avrebbero seguendo il Free Speech lo spazio di rivoluzionari e militanti e continuerebbero a violare le regole morali nascosti dietro lo scudo dell'anonimato.
Dopo aver segnalato l'ascesa online dei discorsi ispirati all'odio, il dossier cita in modo positivo e lusinghiero Sarah Jeong, nota proprio per un discorso di odio contro i maschi bianchi.
Ancora, si segnala come un fatto negativo e da superare che fino ad ora internet sia stato un terreno nel quale voci autorevoli e commentatori improvvisati hanno avuto lo stesso spazio, cosa che avrebbe danneggiato un dibattito razionale.
Si accusa il presidente Trump di diffondere le teorie della cospirazione secondo le quali Google avrebbe favorito Hillary Clinton nel 2016, accusa peraltro confermata da una ricerca indipendente.
Nel ribadire infine che il diritto alla libertà di espressione e la censura il nome della civiltà sono posizioni incompatibili fra di loro, che una è la tradizione americana e l'altra è la tradizione europea, e che verso quella europea ci si sta rapidamente indirizzando, il dossier spiega che le ragioni principali sono la necessità di rispondere a mercati completamente diversi per potersi espandere nel mondo, assieme a quella di monetizzare i contenuti organizzandoli, e sottolinea che le preoccupazioni di una censura già esistente e sempre più forte su internet vengono dai media di destra, ma che si stanno espandendo e che è necessario rispondere.
Già, ma come?
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