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    A MANO A MANO – L’INCREDIBILE STORIA DI MARCO ZAMBELLI: AVEVA 15 ANNI QUANDO UNA SEGA CIRCOLARE GLI TRANCIÒ DI NETTO LA MANO. ORA, DOPO QUASI MEZZO SECOLO, NE HA DI NUOVO UNA, GRAZIE A UNA PROTESI ROBOTICA CONNESSA AL SUO CERVELLO – “ORA HO DUE MANI VERE. ALZARE I PESI È L’UNICA COSA CHE NON RIESCO A FARE”


     
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    Massimo Sanvito per “Libero Quotidiano”

     

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    Sono passati cinquant' anni da quel giorno maledetto. Marco Zambelli era un ragazzino di 15 anni che come molti suoi coetanei, all' epoca, aveva deciso di lasciare la scuola per muovere i primi passi in fabbrica. Settore metalmeccanico. Sgobbava e si dava da fare per meritarsi il posto di lavoro fresco di gioventù. Poi, il destino che si mette di traverso.

     

    La sega circolare, su cui sta lavorando, si impiglia nella manica del grembiule e gli trancia la mano destra. L' amputazione dell' avambraccio è scontata e la protesi diventa la compagna di vita insostituibile.

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    «La prima cosa da mettere al mattino appena sveglio e l' ultima da togliere la sera prima di andare a dormire. Solo estetica, ero costretto a fare tutto con la mano sinistra», racconta Zambelli, emiliano di Sant' Agata Bolognese. Che oggi di anni ne ha 64 e da maggio ha visto la sua vita cambiare: merito di una protesi robotica messa a punto dal team di Rehab Technologies, il laboratorio congiunto nato tra l' Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) e il Centro Protesi Inail di Budrio.

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    Le dita ora si muovono veloci. Sfogliano giornali e libri, stringono penne, impugnano coltelli. Il polso ruota con naturalezza. Le unghie, le falangi e le nocche sono definite come quelle di una mano in carne e ossa. Sembra pelle vera, anche se in realtà è un guanto. Sotto c' è il marchingegno che deve renderci orgogliosi di essere italiani: una protesi che si muove grazie a due sensori posizionati a contatto con ciò che resta del muscolo del braccio.

     

    Tutto parte dal cervello: basta che Marco pensi a un determinato movimento, scatta l' impulso elettrico e la mano robotica si aziona. «Ora ho due mani vere. Con la destra faccio tutto quello che avevo delegato alla sinistra e giorno dopo giorno è sempre una sfida fare nuove cose. È cambiato il mio modo di pensare e so che il percorso non è terminato perché si può migliorare ancora», spiega Zambelli.

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    Se per tagliare una bistecca, prendere una mela o un foglio, la mano robotica si adatta alla forma dell' oggetto che afferra, il discorso cambia quando si tratta di sollevare qualcosa. Per spostare grossi pesi, oltre i 15 chili, ancora non si può. «Alzare i pesi è l' unica cosa che non riesco a fare, anche se è più un timore mio... Ma negli ultimi mesi mi sto allenando».

     

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    Quello che conta, però, è che i movimenti dimenticati cinquant' anni fa stanno ritornando a essere gli stessi. E alcuni sono completamente nuovi, come stringere il volante, perché ai tempi dell' incidente Marco non aveva la patente. «Con la nuova protesi la mia guida è cambiata: ora posso incrociare le braccia in modo naturale quando faccio le curve. È molto importante la flesso estensione del polso che mi permette di fare forza su di esso».

     

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    In un certo senso è anche ritornato ragazzino. Perché dopo aver scritto per una vita con la mano sinistra solo in stampatello, ora ha ricominciato a usare la destra. «Scrivo in corsivo e la calligrafia è la stessa di quando avevo 15 anni».

     

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    Giù il cappello per i cervelloni del laboratorio Rehab Technologies IIT-Inail, che hanno progettato r realizzato Hannes, la mano robotica che ha ottenuto il marchio della Comunità Europea classe 1. Tre anni di prove, prototipi, studi, visite e test a cui si è sottoposto Zambelli, il paziente zero, che ha collaborato con i ricercatori per sviluppare un arto che restituisce agli amputati oltre il 90% delle funzionalità perse. Nessun intervento chirurgico, solo una protesi che si mette e si toglie e che cambia la vita.

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