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    LE NOTTI DA INCUBO DEI MEDICI IN PRIMA LINEA - BOTTE, INSULTI E MINACCE: LO STUPRO DI CATANIA NON E’ UN CASO ISOLATO - PIÙ DI MILLE DIPENDENTI DEL SERVIZIO SANITARIO HANNO AVUTO RISARCIMENTI PER VIOLENZE "- OGNI VOLTA CHE SQUILLA IL CITOFONO È UN' ANGOSCIA"


     
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    Michele Bocci per la Repubblica

     

    stupro stupro

    Bisogna trovarcisi, da sole nell' ambulatorio un po' scassato quando anche l' ultimo bar del paese ha abbassato la serranda e il pronto soccorso più vicino è a 50 chilometri. Soltanto chi lo ha vissuto può comprendere il terrore che si prova la notte in cui si smette di essere dalla parte di chi aiuta per passare a quella di chi deve essere aiutato. E prima o poi quella notte arriva per tante dottoresse e tanti dottori.

     

    Quattro mesi fa un altro medico di guardia, a Graniti in provincia di Messina, ha rischiato di essere vittima di una violenza sessuale. Si è difesa per tre quarti d' ora da un paziente psichiatrico prima di essere salvata. Era invece luglio quando due giovani hanno puntato il coltello contro la professionista di turno a San Bonifacio, Verona. Anche lei ha passato minuti di terrore prima di riuscire a chiamare aiuto. Qualche mese prima è toccato alla dottoressa Ombretta Silecchia.

     

    Nell' ambulatorio di Statte, provincia di Taranto, è entrato un uomo che voleva farmaci antidolorifici e per convincerla a prescrivere l' ha minacciata con una pistola. Non è stato un fulmine a ciel sereno. «Era già venuto a discutere e insultare me e le mie colleghe. In quell' ambulatorio di guardia eravamo sempre sole, la notte non passava neanche una macchina, ogni volta che il telefono squillava o suonava il citofono mi prendeva l' angoscia».

     

    guardia medica guardia medica

    Forse è l' ora di smettere di chiamarli medici in prima linea, una definizione che ammanta il loro lavoro di un fascino eccessivo. C' è ben poco di romantico a fare il dottore di guardia ma anche quello del 118 o del pronto soccorso, perché questi professionisti sono sempre più spesso vittime di aggressioni, botte, insulti, minacce. Succede ogni giorno, anche molte volte, succede in tutte le regioni d' Italia e in particolare al sud.

     

    I dati tra l' altro non tengono conto dei tanti casi non denunciati, perché spesso chi ha deciso per lavoro di aiutare il prossimo ha una soglia di sopportazione dell' altrui violenza, fisica e verbale, piuttosto alta. Comunque i numeri dell' Inail raccontano di circa 1.100 dipendenti del sistema sanitario (maschi e femmine) che hanno avuto risarcimenti per infortuni sul lavoro dovuti ad "aggressioni o violenza da parte di estranei", cioè 3 al giorno. Si tratta di un dato già alto ma certamente sottostimato, perché appunto tiene conto solo di chi prima ha denunciato, poi dimostrato di aver subito danni e infine ha ottenuto un rimborso.

     

    Visti i numeri e i precedenti, quanto successo in provincia di Catania non può essere definito un fulmine a ciel sereno.

    carabinieri carabinieri

     

    Da tempo un po' tutti i sindacati denunciano i rischi corsi dai colleghi. Tutto è cambiato molti anni fa, con due casi di cronaca che hanno segnato tanti professionisti. Nel 1999 Maria Monteduro, al terzo giorno di guardia medica, venne uccisa a Gagliano del Capo (Lecce) da un tossico. Quattro anni dopo toccò a Roberta Zedda, ammazzata a Solarussa, nell' Oristanese, sempre mentre era in servizio di guardia, da un uomo che prima aveva tentato di stuprarla.

     

    La Regione dove viene denunciato il maggior numero di aggressioni è la Puglia (seguita da Sicilia, Sardegna e Lombardia) e qui, come racconta la dottoressa Nunzia Placentino, del sindacato Smi, «ormai da tempo andiamo a lavorare accompagnate da mariti, fidanzati, fratelli. Restano con noi la notte per proteggerci ». L' Ordine dei medici di Bari ha realizzato una campagna contro le violenze usando l' immagine di una dottoressa col volto pieno di lividi.

     

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    Ieri la presidente della federazione nazionale degli Ordini (Fnomceo) Roberta Chersevani ha chiesto di mettere le sedi di guardia nelle caserme. Pina Onotri, dello Smi nazionale, sta preparando una lettera per il Presidente Mattarella e i ministri Lorenzin e Minniti che firmerà con le colleghe anche di altre sigle. «Il problema - dice - è che le Asl non applicano le norme, dovrebbero essere loro a promuovere prevenzione e sicurezza». La conquista sarebbe già mandare certi medici di guardia al lavoro con un altro spirito.

     

    «Per ora a fine turno - dice Ombretta Silecchia - si spera solo di tornare vivi dalle proprie famiglie, alla propria vita».

     

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