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    A ROMA, OVIDIO E’ CAFONAL –  MATTARELLA CON IL PRESIDENTE DELLA ROMANIA IOHANNIS, E POI SGARBI, RUTELLI, GIANNI LETTA E L’EX MINISTRO COMUNISTA OLIVIERO DILIBERTO: TUTTI ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE PER AMMIRARE LA MOSTRA SUL POETA DI SULMONA - MACIOCE: "L'EPICA DI OVIDIO E' L'EPICA DEL DESIDERIO"


     
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    opere esposte (1) opere esposte (1)

    Luciano DI Bacco per Dagospia

    Valeria Arnaldi per “il Messaggero”

     

    Prima, la visita del presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il presidente della Romania Klaus Iohannis. Insieme a loro, il ministro dei Beni Culturali Alberto Bonisoli e il sottosegretario agli Esteri Guglielmo Picchi. Poi, la sera del giorno dopo, l' inaugurazione. Doppio appuntamento per l' apertura della mostra Ovidio. Amori, miti e altre storie, a cura di Francesca Ghedini, organizzata nel regno della grande arte in via XXIV Maggio, al termine delle celebrazioni per il Bimillenario Ovidiano.

     

    oliviero diliberto francesco rutelli oliviero diliberto francesco rutelli

    Molti gli ospiti giunti per ammirare le 250 opere provenienti da circa 80 musei italiani e internazionali, da Botticelli a Tiziano, da Tintoretto a Poussin. Tra i primi ad arrivare, l' altra sera, il sottosegretario Gianluca Vacca e il vicesindaco Luca Bergamo. Poi, Gianni Letta, Vittorio Sgarbi, Francesco Rutelli, Oliviero Diliberto, Marisela Federici.

     

    opere esposte (16) opere esposte (16)

    Ad accoglierli, il Presidente e Ad di Ales Mario De Simoni, con il Direttore di Scuderie del Quirinale Matteo Lafranconi. All' inaugurazione, Joseph Kosut, autore dell' unica opera contemporanea in mostra. Sua la coloratissima - e inaspettatamente pop - installazione al neon ispirata ai testi ovidiani che affascina i visitatori all' ingresso. In sala pure Sebastiano Lo Monaco, che darà voce a testi di Ovidio in uno degli eventi del ricco cartellone di incontri e approfondimenti.

    niccolo ghedini gianni letta niccolo ghedini gianni letta

     

     

    2. COME E’ MODERNO L’ESULE OVIDIO

    Vittorio Macioce per il Giornale

     

    Qualcuno sostiene che Virgilio sia perfetto per raccontare la pace dell' impero. È calma, abbondanza, fatica che trova approdo in qualche porto, destino e speranza. Quando invece devi fare i conti con la crisi, con l' ansia, con il disincanto di chi continua a sognare perché non sa fare altro, ma senza più illusioni, allora bisogna navigare in compagnia di Ovidio. È lo sguardo che cambia, lo sguardo sulla realtà, lo sguardo sul potere, lo sguardo su Augusto. Il primo, il maestro tanto caro a Dante, osserva la maschera dell' imperatore, colui che da mortale si chiamava Ottaviano, e ci riconosce gli dèi.

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    Questa visione lo rassicura, c' è un senso nell' universo, esiste ed ha una forma definita, dove Dio, lo stesso Dio di Einstein, non gioca a dadi, ma è legge, morale, ordine, sicurezza, tutto ciò che serve agli umani per scacciare la paura della morte. Quello che Virgilio cerca è racchiuso nella filosofia di Parmenide: l' essere è e non può non essere.

     

    Ovidio no, Ovidio non ce la fa a non ridere, perché quello che vede sul volto dell' imperatore è solo un' altra stupida finzione. La legge, la morale, la sacralità sono nude.

    Ridicola. Non puoi sfuggire all' incertezza del vivere e allora tanto vale danzarle intorno, rendersi invisibili a Dio, apparire e scomparire, cercando te stesso nel mutare eterno delle forme. È il panta rei di Eraclito. Tutto scorre. «La morte va espiata con la morte».

     

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    Tutti e due, Virgilio e Ovidio, si muovono sullo stesso filo, camminando in equilibrio su questa e quella sponda, dove da una parte c' è scritto sicurezza e sull' altra libertà. Non sono opposte, ma si parlano, come un codice binario di zero e uno, condannate alla relatività. Da che parte state? Questa volta con l' imponderabile, con Publio Ovidio Nasone, con il figlio di ricchi commercianti arrivato a Roma da Sulmona alla fine del secolo, pochi anni prima di quello che sul calendario gregoriano è l' anno zero, quando Giulio Cesare era già morto e Ottaviano stava per prendersi tutto.

     

    massimo teodori massimo teodori marisela federici marisela federici

    La colpa, e il merito, è di una meravigliosa mostra appena inaugurata alle Scuderie del Quirinale: Ovidio, amori, miti e altre storie. È stato come vederle le sue parole, come un mondo che appare all' improvviso e si mostra davanti a te, e ti parla di adesso, di quello che stai vivendo, della tua vecchiaia e della giovinezza perduta che ti ostini ad inseguire, con tutta la carica erotica e narrativa che c' è nei racconti di Ovidio.

     

    «Ho trattenuto gli affanni e ingannato il tempo. Questo è il guadagno che mi ha arrecato l' ora presente e non mi sono accorto di essere in mezzo ai Geti».

     

    Il primo che ti appare è l' Ovidio relegato ai confini dell' impero, sul Mar Nero, a Tomi, quella che oggi si chiama Costanza, in Romania, costretto a vivere tra i barbari, condannato da Augusto e poi dimenticato da Tiberio. Per quale colpa? Non si sa, non lo dice. «Perché ho visto qualcosa? Perché ho reso colpevoli i miei occhi? Perché, senza volerlo, sono venuto a conoscere una colpa? Ho visto un crimine e la mia colpa è aver avuto gli occhi». Sono duemila anni che si sta qui ad ipotizzare il motivo. Magari perché si divertiva con Giulia Maggiore, la figlia di Augusto e moglie di Tiberio.

    manifesto della mostra manifesto della mostra

     

    Non fu il solo. Non si sa neppure con certezza che sia proprio lei la Corinna dell' Arte di amare. O forse per la figlia di Giulia, Giulia Minore, la nipote dell' imperatore, a cui Ovidio copriva le spalle nelle sue avventure. No, probabilmente non è solo sesso. Ovidio aveva visto il vero volto di Augusto, le crepe sotto la morale, fino a rinnegarne gli dèi. La colpa di Ovidio è amare e amarsi. È sfuggire alla pietrificazione di ruoli definiti e certi. È ribellarsi al proprio destino. È smascherare il potere. L' epica di Ovidio è l' epica del desiderio.

     

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    Gli dèi di Ovidio non sono senza peccato, sono imperfetti, meschini e falsi. Sono come i divi di questi anni di crisi, che ciarlano di etica e di moralismi ma non hanno più dignità. Ottaviano non può assecondare questa visione del mondo.

    Non può permettere che qualcuno veda il suo mondo per quello che è.

     

    Nessuno può dire l' imperatore è nudo. Non Ottaviano come persona, ma Augusto come fondamento di una società che si basa sulla legittimità degli dèi. Tutto quello che vedete è sacro. È l' unico racconto della realtà che si può fare, tutto ciò che va contro questa narrazione è empio. È falso. Il peccato di Ovidio è lo stesso di Aracne. È uno dei miti più profondi delle Metamorfosi.

     

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    Aracne tesse e sfida con l' arte della trama e dell' ordito la stessa Minerva. Non si può fare. Primo peccato, ma la dea accetta la sfida e rappresenta la sua vittoria su Nettuno. Aracne sceglie di raccontare l' Olimpo, racconta Giove e i suoi figli, ma li fa umani, veri, con tutte le sfumature della loro miseria, con le invidie e le passioni, con le gelosie e le rivalità. Si sa come è andata a finire: Minerva fa di Aracne un ragno. La esilia dall' umanità.

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    È questo il peccato di Ovidio e il senso della punizione di Augusto.

    È il castigo per chi sfida il potere, qualunque potere. Non basta vincere la sfida del talento. Non basta l' arte a salvarti. O uccidi il potere o scompari. Virgilio è pietas, Ovidio è desiderio, mancanza di stelle.

     

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