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    TIRA UNA BRUTTA MALARIA – LA FAMIGLIA DEL BURKINA FASO SENTITA SULLE VALIGIE PORTATE DALL’AFRICA, LA MAMMA E LE FIGLIE SONO STATE RICOVERATE PER 5 GIORNI NELLO STESSO OSPEDALE DELLA BAMBINA MORTA “PER LE COMPLICANZE CEREBRALI” DELLA MALARIA – LA PROCURA E GLI ISPETTORI INDAGANO SUL CONTAGIO 


     
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    bimba morta di malaria bimba morta di malaria

    Alessandro Fulloni per il Corriere della Sera

     

    La certezza, anche se dubbi oramai non c' erano più, è arrivata in serata, dai primi risultati dell' autopsia: Sofia è morta per le complicanze cerebrali della malaria. Resta invece da chiarire come la bambina di quattro anni che si è spenta lunedì agli Spedali Civili di Brescia abbia contratto la malattia.

     

    A chiarirlo saranno, anche, i risultati attesi dagli esami sui «vetrini» (i campioni organici) in corso all' Istituto superiore di sanità di Roma e le indagini dei Nas coordinati dalla procura di Trento. Ieri i carabinieri hanno ascoltato i quattro componenti della famiglia del Burkina Faso (la mamma di 38 anni, il fratello di 14 e le due figlie di 11 e 4 anni) ricoverati per cinque giorni (e guariti) all' ospedale Santa Chiara di Trento, durante la degenza di Sofia, per avere contratto la malaria. «Bisogna capire se si può accertare dove, al rientro dal viaggio in Africa, avevano messo i bagagli; se ne avevano in ospedale - riflette ad alta voce il procuratore di Trento Marco Gallina -, con che valigie e di quali dimensioni si sono spostati.

     

    Anche per chiedere agli esperti se sia stato possibile il trasporto di zanzare o di uova».

    zanzara anofele portatrice di malaria zanzara anofele portatrice di malaria

    Ad accompagnare in caserma la moglie e le bimbe (con loro c' era anche il terzo fratellino di tre anni, pure lui in ospedale ma solo per precauzione perché stava bene) è stato il padre, un uomo sui 45 che si è stabilito in Trentino da circa quindici anni. «Gente perbene», è l' asciutta definizione che viene da uno degli investigatori. A loro, e anche al sindaco del borgo di circa 1.500 anime adagiato nel verde della Val Rendena in cui si è stabilita la famiglia, l' uomo, operaio in una piccola impresa della zona, ha ripetuto queste parole: «Non faccio altro che pensare ai genitori di Sofia e a ciò che possono provare in questo momento: sono addoloratissimo».

     

    Il sindaco è stato a trovarli a casa. Chiede che non vengano fatti il proprio nome e quello del paesino. Spiega il perché: «Sono preoccupato per loro: qui tutti conoscono tutti ma l' atmosfera in questi giorni non è accogliente. Semmai vorrei che venisse scritto questo: sono guarite e stanno bene».

     

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    Il punto è che gli abitanti della valle (una comunità che raggruppa circa 25 comuni) non sono tranquilli. «Ho saputo che c' è chi sta addirittura pensando di non mandare i figli a scuola perché ci sono quelle bambine. Temono la malaria: un' assurdità» scuote la testa Paolo Bordon, direttore generale dell' Azienda provinciale dei servizi sanitari del Trentino al termine della conferenza stampa in cui ha fatto il punto sull' incontro con la «task force» di esperti inviata ieri dal ministero della Salute.

     

    Gli «007» sono stati al Santa Chiara e, prima, all' ospedale di Portogruaro, il primo ricovero per diabete di Sofia dopo la vacanza nel camping di Bibione.

     

    All' incontro c' era anche Annunziata Di Palma, la primaria di Pediatria che ha avuto in cura le due bimbe del Burkina Faso: «Una nata nel suo Paese e l' altra a Trento, come il fratellino più piccolo: guarite in cinque giorni, con una terapia a base di antibiotici».

     

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    Per capire dove sia avvenuto il contagio bisognerà attendere gli esami sul dna del ceppo del plasmodio: se i «vetrini» di Sofia e delle sorelline africane saranno sovrapponibili, le responsabilità potrebbero concentrarsi sul Santa Chiara. Altrimenti prenderebbero quota le altre ipotesi: magari una Anopheles che ha punto Sofia sulla spiaggia di Bibione, anche se la Asl veneta nega e il pm di Trento dice che non è possibile verificare. Ma non è escluso, ammette «onestamente» Bordon, «di non riuscire ad arrivare mai alla soluzione dal caso».

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