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    VIP À LA CARTE - IN MOSTRA UN MIGLIAIO DI FOTO PRELEVATE DA 20 RISTORANTI, SCELTE FRA QUELLE CHE I TITOLARI SI SONO FATTI SCATTARE CON I CLIENTI PIÙ CELEBRI - LO STORICO REPERTO DI VITTORIO GASSMAN E CARMELO BENE A UN TAVOLO DEL SANTA LUCIA POCO PRIMA, DICE LA LEGGENDA, CHE TRA LORO FINISSE A CAZZOTTI


     
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    Michele Smargiassi per la Repubblica

     

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    Scusate il disturbo mentre state cenando. Ma alzate un attimo la testa dal piatto. Provate a guardare le foto appese al muro, invece di vederle con la coda dell’occhio mentre bevete il caffè. Sì, sono uguali in tutti i ristoranti d’Italia, ma proprio per questo guardatele.

     

    Cambiano i personaggi ma lo schema è identico: la Celebrità (Pavarotti o Schumacher, Rivera o Naomi, il ministro o il divo del Grande Fratello) sorridente d’imbarazzo rassegnato, spalla a spalla col titolare invece euforico, sprizzante orgoglio. Schegge di star-system su quel libro parietale degli ospiti illustri che è il muro del locale, da esibire (guardate che clienti ho avuto!) come una volta le “patenti della Real Casa”.

     

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    Ora, forse, un po’ di meno. I restyling sciccosi, i design minimalisti dei nuovi food- shop non tollerano certe esibizioni di facce troppo rétro, naïf, caotiche, ingenue, kitsch. Alla prossima generazione gli album parietali dei ristoratori, premonizione di Facebook, spariranno. Vale la pena farle uscire per una volta dai loro locali per portarle in un museo, ed è quel che Forma Meravigli, spazio milanese dedicato alla fotografia, fa in una mostra insolita, Vip à la carte, esponendo un migliaio di fotografie chieste in prestito a una ventina di ristoranti, trattorie, pizzerie della città.

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    L’idea è di un curatore appassionato di “fotografie trovate”, Matteo Balduzzi, che ha dovuto superare la gelosa diffidenza dei ristoratori. In cambio, i ristoranti diventeranno musei: alle pareti rimaste vuote Forma presterà foto di grandi autori, Giacomelli, Salgado, Scianna...

     

    Ma i ristoranti sono musei. Per dirla tutta, musei di successo. Pensateci bene, nessun’altra immagine, tranne forse quelle che appendiamo in casa nostra, resta sotto gli occhi del pubblico più a lungo delle foto appese alla parete del ristorante: il tempo medio di visione di un Vermeer al Louvre è di trenta secondi, la foto col cuoco del Grissino fra Gullit e Van Basten la vedi per la durata di una cena. Certo, è una visione disattenta, ma gli psicologi ci spiegano che la percezione nella distrazione lascia segni profondi nel nostro immaginario.

     

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    È ora di guardarli, questi reperti di antropologia visuale, figli bastardi dell’autografo e padri legittimi dei selfie. Alcune istantanee degli after- hours delle celebrità hanno storie da raccontarci, come quella di Vittorio Gassman e Carmelo Bene a un tavolo del Santa Lucia, immortalati poco prima, dice la leggenda, che tra loro finisse a cazzotti. Ma anche i banali abbracci fra il Vip e il Titolare, malamente flashati, non deridiamoli: la loro vanità ha un senso, guardate meglio, sullo sfondo c’è il ristorante, tavoli e mobili cambiano negli anni, ma anche il Titolare era più giovane nella foto con un Björn Borg che sembra Mal dei Primitives...

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    E d’improvviso ci rendiamo conto che c’è stata un’Italia pre-fastfood dove il gestore e il suo locale erano tutt’uno, individui compositi, avevano una personalità in comune, una biografia in comune, di cui queste foto celebrano i momenti alti, equivalenti ai matrimoni o alle prime comunioni negli album di famiglia. Fotocolor in cornice o polaroid spillate al perlinato, raffinati bromuri in bianco e nero o kodachrome stinte infilate nella specchiera, non importa, queste pareti sature di fotografie sono macchine concettuali, fabbriche sociali di identità e di relazioni, proprio come le foto dei social network che alla fine le rimpiazzeranno, ma dotate, come tutte le cose molto umane, di un fascino tenero, e perfino di una certa poesia.

    CARMELO BENE VITTORIO GASSMAN CARMELO BENE VITTORIO GASSMAN

     

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