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    AHI TECH! – IL GARANTE AMERICANO DELLA CONCORRENZA IMITA LA VESTAGER E APRE LA GUERRA CONTRO I COLOSSI DI INTERNET: L’ANTITRUST USA HA CHIESTO INFORMAZIONI SULLE OPERAZIONI DI ACQUISIZIONE DI START UP DAL 2010 A GOOGLE, AMAZON, APPLE, FACEBOOK E MICROSOFT – IL DUBBIO (COME SE FOSSE DAVVERO TALE) È CHE SIANO STATE FATTE SOLO PER ELIMINARE LA CONCORRENZA – INTANTO GOOGLE DEVE DIFENDERSI PURE IN UE


     
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    Camilla Conti per “la Verità”

     

    COPERTINA WIRED MARK ZUCKERBERG COPERTINA WIRED MARK ZUCKERBERG

    Si accendono le battaglie legali tra governi e i cosiddetti Big tech. In campo scendono le armate Antitrust ma anche l' esercito del fisco. Non solo in Europa. La Federal trade commission, il Garante americano della concorrenza, vuole infatti vederci chiaro sulle acquisizioni degli ultimi anni e così ha chiesto ad Amazon, Apple, Facebook, Microsoft e Google tutte le informazioni sulle operazioni compiute dal 2010 a oggi.

     

    Una mossa che potrebbe aprire la strada a una serie di indagini. La richiesta di informazioni, comunque, non dovrebbe riguardare le operazioni più importanti degli ultimi anni, come l' acquisto da parte di Facebook di Instagram e di Whatsapp, che già sono state a suo tempo al vaglio delle autorità federali.

     

    Piuttosto si indagherà sulle acquisizioni più piccole, quelle che di solito non necessitano di una particolare notifica alle autorità antitrust e che hanno un valore inferiore ai 90 milioni di dollari. La mossa della Ftc è tesa a comprendere meglio come le Big tech usino le acquisizioni per accumulare potere e come i dati delle società acquisite vengano utilizzati.

    mark zuckerberg presenta whatsapp pay mark zuckerberg presenta whatsapp pay

     

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    La settimana era già calda per alcuni dei colossi tecnologici. Partiamo da Google che dovrà difendersi dalle accuse dell' Antitrust Ue. Oggi, infatti, cominciano le audizioni al Tribunale dell' Unione europea (presso la sezione della Corte di giustizia che si occupa dei ricorsi) per le accuse sfociate in condanne al pagamento di multe per oltre 8 miliardi di euro.

     

    Si partirà dalla sanzione da 2,4 miliardi inflitta dal Garante europeo nel 2017: Google avrebbe avvantaggiato il proprio sistema di ricerca a scapito di altre piattaforme per lo shopping online. Davanti al giudice finiranno poi le altre multe inflitte dall' Antitrust nel 2018 ovvero quella di 4,3 miliardi di euro inflitta per abuso di posizione dominante per quanto riguarda il sistema operativo Android e quella da 1,5 miliardi arrivata l' anno scorso per il servizio Adsense.

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    L' obiettivo del gigante Usa è quello di dimostrare che le scelte fatte hanno migliorato la qualità e accresciuto la possibilità di scelta dei clienti e non danneggiato i concorrenti. Le parti ne discuteranno per tre giorni e la sentenza finale potrebbe arrivare l' anno prossimo ma nel frattempo l' Europa potrebbe iniziare a introdurre delle risposte normative per contrastare l' avanzata dei colossi.

     

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    E sempre l' Antitrust, questa volta francese, ha comminato ad Apple una multa da 25 milioni di euro per per aver nascosto agli utenti che gli aggiornamenti del sistema operativo iOs hanno ridotto le prestazioni degli iPhone, secondo quanto riferisce sul suo sito istituzionale la direzione generale per la concorrenza, il consumo e il controllo delle frodi.

     

    A Cupertino hanno accettato l' accordo in base al quale, oltre a pagare la multa, Apple dovrà pubblicare un comunicato stampa con tutte le informazioni per un mese sul suo sito Web francese. Gli aggiornamenti iOs 10.2.1 e 11.2, rilasciati nel 2017, includevano un dispositivo di gestione dell' alimentazione che - in determinate circostanze e soprattutto quando le batterie erano vecchie - ha rallentato il funzionamento dei modelli iPhone 6, iPhone se e iPhone 7.

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    Dato che gli utenti non potevano tornare alla versione precedente del sistema operativo «sono stati costretti a sostituire le batterie o addirittura ad acquistare un nuovo dispositivo», si legge nella nota dell' agenzia francese.

     

    Ma la battaglia dei big della Silicon Valley, come abbiamo visto dalle ultime mosse dell' Antitrust Usa, si gioca anche «in casa». Lo sa bene Mark Zuckerberg che dovrà tornare a difendersi dal fisco americano. Citata in giudizio dall' Internal revenue service nell' ambito di un processo che dovrebbe prendere il via la prossima settimana a San Francisco, Facebook rischia di dover versare 9 miliardi di dollari. Si tratta di una controversia che dura da nove anni e che riguarda la gestione delle operazioni internazionali da parte del social network.

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    Sempre in America, si dovrà difendere davanti a un giudice anche Qualcomm: domani si discuterà il caso tra la Federal trade commission e il colosso dei chip con il quale si è però schierato il dipartimento di Giustizia Usa. Quest' ultimo sosterrà l' appello di Qualcomm contro una sentenza emessa in primo grado dalla Ftc nel maggio 2019 secondo cui la società avrebbe gravemente ostacolato la concorrenza nel mercato dei cosiddetti chip modem premium lte. Una decisione, secondo l' amministrazione Trump, che potrebbe ostacolare la sicurezza nazionale degli Usa indebolendo Qualcomm contro i concorrenti globali del 5G, in particolare quelli cinesi.

     

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    Il maggior produttore globale di chip modem che connettono gli smartphone e altri dispositivi mobili alla rete è inoltre finito al centro di un' indagine antitrust della Commissione europea per i chip di radio frequenza usati nei nuovi smartphone 5G.

    Qualcomm ha messo in guardia gli investitori sulla possibilità che l' Ue riconosca una violazione delle norme sulla concorrenza: ciò potrebbe comportare una sanzione fino al 10% del suo fatturato annuale globale, insieme a restrizioni sul business e ingiunzioni a modificare alcune pratiche che potrebbero colpire la redditività dell' azienda. Se sarà riconosciuta una violazione e arriverà la sanzione, si tratterebbe della terza multa in Europa per la società americana.

     

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    La guerra si combatte anche a colpi di leggi fiscali. Nel 2019 sono sette i Paesi europei che si sono dotati di una Web tax e diversi altri hanno annunciato l' intenzione di introdurre, o sono in procinto di farlo, una tassa sui servizi digitali (Dst) a partire dal 2020. Il dato emerge dallo studio della Commissione Ue Tax policies in the European Union che ogni anno monitora le novità introdotte dal fisco nei Paesi europei.

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    web tax In Italia con la legge di bilancio 2020 è stata introdotta una Web tax simile a quella francese. Nel luglio dell' anno scorso la Francia ha infatti adottato formalmente la Web tax del 3% sui ricavi generati dalle grandi società che gestiscono piattaforme digitali o attività pubblicitarie online. Ma ora la Web tax è finita nel limbo dopo l' accordo tra il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire e il segretario al Tesoro Usa, Steven Mnuchin, secondo cui la tassa è sospesa fino alla fine del 2020, per consentire il raggiungimento di un accordo a livello Ocse sulla riforma delle regole del fisco internazionale.

    Nel frattempo, tra le priorità fissate dalla Commissione europea nella comunicazione sulla sua strategia digitale, che sarà pubblicata mercoledì 19 febbraio, c' è anche un giro di vite sul fisco per i colossi di Internet, con l' introduzione di «una tassazione equa ed efficace».

     

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