Roberto Rho per “Affari & Finanza - la Repubblica”
marco tronchetti provera
"Il decreto Rilancio? Se scriviamo centinaia di pagine per replicare l' Italia di ieri corriamo il rischio della troika. Meno tasse e investimenti: serve un grande piano per cambiare il Paese, il governo coinvolga le competenze migliori" "È un' impresa da far tremare le vene e i polsi", ripete Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, circa 5 miliardi di fatturato in tutto il mondo, uno dei (pochi) grandi gruppi industriali con base italiana (il controllo si è trasferito in Cina cinque anni orsono, ma sede e tecnologia restano in Italia per statuto).
Parla del grande progetto per ricostruire il Paese dopo il terremoto della pandemia: un' operazione «di straordinaria complessità», ma anche «un' occasione irripetibile per cambiare l' Italia, un vero e proprio appuntamento con la storia». Lo scenario di partenza è quello disegnato dalle previsioni delle istituzioni europee e italiane: una enorme massa di denaro a disposizione, con il risvolto inevitabile di un debito pubblico destinato a impennarsi dal 130 al 160% del Pil, anche perché il Pil è stimato in caduta libera, tra il 9 e il 10% in meno rispetto al 2019.
Si ritrova in queste previsioni, dottor Tronchetti?
Gualtieri Conte
«Mi sembrano stime ragionevoli, anche se la percentuale di erosione del Pil anno su anno dipenderà dalla velocità della ripartenza, che ancora non possiamo valutare con precisione. Un rapporto del 160% tra debito pubblico e Pil è un dato terribile, ma più che ai numeri di quest' anno dobbiamo guardare al passaggio delicatissimo che la storia ci ha messo di fronte».
Come lo sta affrontando, il governo italiano?
«Ha fronteggiato l' emergenza sanitaria meglio di altri, commettendo meno errori di quelli che abbiamo visto fare in Paesi che pure sono arrivati al picco dei contagi settimane dopo l' Italia. Ha difeso bene, in Europa, gli interessi del Paese, portando a casa risultati apprezzabili. Ma adesso è arrivato il momento di fare i conti con il mondo reale, i provvedimenti scritti devono diventare fatti».
Ecco, appunto: sul piano dei fatti la macchina pubblica si è vistosamente inceppata, gli aiuti più urgenti faticano ad arrivare a destinazione.
«Non c' è un solo responsabile, la ragione di questa inefficienza è la complessità del sistema. La burocrazia fatica perché deve inerpicarsi su una montagna di riferimenti normativi, atti, leggi e regolamenti. Le banche rallentano il flusso dei prestiti, è vero, ma se il prestito è garantito al 90% su quel 10% residuo il funzionario deve espletare tutte le verifiche di conformità, o rischia di passare guai.
roberto gualtieri si congratula con giuseppe conte per l'informativa sul mes
Siamo in ritardo nel coprire il buco, quindi l' urgenza è fare in modo che gli aiuti arrivino a chi ne ha bisogno, monitorando la situazione per rimuovere gli ostacoli».
E poi? Con il decreto Rilancio il governo ha dichiarato di voler manovrare le leve per rimettere in piedi il Paese. Come giudica le misure contenute in quel provvedimento?
«Preferisco fare un discorso generale: se scriviamo centinaia di pagine per replicare l' Italia di ieri corriamo un rischio enorme. Nell' ultimo decennio l' Italia è cresciuta molto meno del resto d' Europa, ha prodotto meno ricchezza e ha peggiorato il rapporto tra debito e Pil. Ora, o mettiamo insieme un grande progetto che abbia come stella polare una crescita stabile e duratura, coinvolgendo le migliori competenze del Paese, oppure nel medio termine quel debito al 160% del Pil ci piomberà sulla schiena e schianterà l' Italia».
Qual è il rischio peggiore che intravvede?
«L' arrivo in Italia della troika, oppure la deflagrazione dell' euro e una rivoluzione del sistema della moneta unica da cui l' Italia uscirebbe a pezzi.
La Germania uscirà dall' emergenza con un debito pubblico intorno al 75-80%, la Francia arriverà al 120, cioè ancora sotto il livello dell' Italia prima dell' epidemia».
urbano cairo nicola gratteri marco tronchetti provera
Lei parla di occasione storica per l' Italia. Perché?
«Perché mai abbiamo avuto - e mai avremo più - a disposizione una mole di risorse simile a quella che oggi è sul tavolo. Tra fondi europei in prestito e a fondo perduto e la quantità di denaro stanziata dal governo italiano nei suoi vari provvedimenti si arriverebbe a una cifra di oltre 200 miliardi: 150-160 miliardi di debito pubblico italiano sottoscritto dalla Bce, oltre ai normali acquisti, e altri 60 miliardi circa da Sure e Mes. A questi si potrebbe aggiungere anche la quota parte spettante all' Italia dei 1.000 miliardi del bilancio pluriennale 2021-2027 e Recovery plan attualmente in discussione.
Nel 1992, l' ammontare delle risorse recuperate da Giuliano Amato, in un momento drammatico per la vita del Paese, è passato alla storia. Non voglio fare alcun confronto tra la situazione di allora e quella di oggi, mi interessa soltanto la dimensione: 90 mila miliardi di lire (circa 45 miliardi di euro, ndr), oggi parliamo di una cifra molto più grande».
marco tronchetti provera e ren jianxin
Dove vanno messi, questi soldi?
«Bisogna fare delle scelte, possibilmente lontano dal mercato della politica, dobbiamo decidere che Paese vogliamo essere. Se li mettiamo al servizio di un grande progetto per la crescita possiamo davvero cambiare l' Italia, in meglio.
Oppure decidiamo di galleggiare, come in passato, e allora il nostro destino è segnato».
In concreto, nel decreto Rilancio il governo, accogliendo una richiesta del mondo imprenditoriale, ha azionato la leva fiscale, con la sospensione dell' Irap. È una mossa che condivide?
«Agli occhi delle imprese l' Irap è l' imposta più odiata, perché colpisce il lavoro e la produzione. Sospenderla significa lasciare qualche miliardo nelle casse delle aziende, che in questa fase ne hanno gran bisogno.
L' obiettivo è chiaro, facilmente identificabile e condivisibile».
Immagino lei fosse favorevole anche alla riduzione dell' Ires sulle ricapitalizzazioni.
«Ires, Ace, tutto quello che aiuta la patrimonializzazione delle imprese e la riduzione dell' impatto del fisco. Ma insieme alla leva fiscale bisogna mettere in moto gli investimenti, pubblici e privati, nelle infrastrutture fisiche e digitali. In Italia c' è un risparmio privato di quasi 10 mila miliardi, e di questi circa 4.400 sono investimenti finanziari: bisogna trovare il modo di convogliare almeno una parte di questa mole di denaro verso il finanziamento delle infrastrutture. Se il 5% di questa cifra fosse utilizzata per sottoscrivere titoli di Stato italiani a lunga scadenza, ci sarebbero altri 220 miliardi da mettere al servizio della modernizzazione del Paese».
ALITALIA
Il governo sta lavorando alla creazione di un fondo intorno ai 50 miliardi di euro, gestito dalla Cdp, per soccorrere le aziende medio-grandi in difficoltà. Condivide questa operazione e lo strumento che si è scelto?
«Sì, se il denaro immesso dalla mano pubblica nel capitale delle aziende viene considerato alla stregua di qualsiasi investimento in capitale di rischio, senza interferenze dello Stato nella gestione delle aziende».
Cioè lo Stato mette i soldi ma non può intervenire né sulla gestione né sull' indirizzo strategico?
«Ho ascoltato dal ministro Gualtieri parole rassicuranti, a questo proposito. Se l' obiettivo dello Stato è sostenere queste imprese in anni prevedibilmente difficili, il modello non può essere altro che l' investimento finanziario, con un limite di tempo possibilmente lungo e una remunerazione legata ai risultati dell' azienda. Niente consiglieri, niente interferenze. Gli imprenditori non l' accetterebbero. Lo Stato deve aiutarli, non spaventarli».
fabrizio palermo
Lei metterebbe altri 3 miliardi nell' ennesimo tentativo di salvataggio dell' Alitalia?
«La Germania sta investendo 10 miliardi per sostenere Lufthansa, la Francia farà lo stesso. Anche qui, torniamo al discorso del progetto: si mettono soldi se esiste un piano che stia in piedi e dia un ritorno economico. Se non c' è, li si butta via».
giuseppe leogrande 1