BONCO STORY/10 - MA DOVE VAI SE LA BANANA NON CE L'HAI? TRA AREZZO E SVEZIA, FUMO DI LONDRA: COME TOTO' E PEPPINO, GIANNI E IL SUO AMICO INCROCIANO UNA AFFITTACAMERE ANTI-ITALIANA.
Stefano Di Michele per Il Foglio
Nel ritornare (con mestizia) ad Arezzo e ripartire (di corsa) per la Svezia, a un certo punto Gianni Boncompagni finì pure per un mese in un campo di lavoro in Inghilterra. Dove, peraltro, di lavoro fece ben poco. Praticamente niente. "Avevo conosciuto due ragazzi siciliani, che avevano dei biglietti aerei da Copenhagen a Londra. Uno di loro non poteva, doveva tornare a casa, e mi regalò il suo biglietto.
Lo presi al volo, e con il suo amico - si chiamava Gianni, non l'ho più rivisto, so solo che i suoi avevano una farmacia a Catania - arrivammo a Londra. Dovevamo fermarci due giorni, per poi andare in questa specie di fattoria, con il campo di lavoro, dove c'erano altri ragazzi da tutta Europa. Avevamo prenotato una stanza presso una signora inglese. Arriviamo, e appena questa ci vede comincia a urlare: no, italiani no, via via italiani. E che cazzo avevamo fatto?
Per farla breve, quella diceva che noi italiani le avevamo bombardato la casa durante la guerra, e che per colpa nostra si era ridotta a fare l'affittacamere. Insomma ci cacciò via, anche se avevamo la stanza prenotata". I due senzatetto cominciano a vagare per Londra. "Avevamo poche sterline, e questo Gianni era molto simpatico, ma neanche lui capiva un cazzo di moneta inglese.
Disse: qui bisogna fare una cosa scientifica, vedere cosa costa di meno col cambio, e mangiare solo quello. Spiegò che era come in Italia, dove quello che costava meno erano le patate e tutti mangiavano patate. Lui pareva più pratico di me, era già stato all'estero diverse volte, e con aria da esperto cominciò a esaminare tutte le bancarelle, a fare calcoli complicati, a domandare di qua e di là.
Alla fine disse: occhei, banane. Banane?, domando io. Banane, rispose, è la cosa che a Londra costa meno. A me le banane piacciono da matti, e spendemmo tutti i nostri soldi in banane. Ne mangiammo fino a non poterne più, alla fine non ce la facevo neanche ad andare in bagno. Ma di colpo ci accorgemmo che i soldi erano finiti. Come cazzo è possibile?, domandai. Era la cosa che costava di meno, insisteva lui. Ma com'è possibile che allora sono finiti i soldi? Guarda, guarda qui, insisteva Gianni, ricominciando a fare conti su conti...
Conclusione, aveva fatto un casino tra pounds e libbre, un miscuglio di tutto. Abbiamo sbagliato, disse Gianni. No, hai sbagliato, risposi io incazzato. Scoprimmo così, scientificamente, che le banane erano, in assoluto, proprio la cosa che costava di più a Londra".
Satolli di banane, per l'aretino e il catanese oltremanica ora si trattava di entrare finalmente nella casa della megera inglese. I due - sarà fumo di Londra, sarà soprattutto necessità - hanno un'illuminazione: Scotland Yard, "glielo facciamo vedere noi a quella stronza".
Cominciano a chiedere in giro, "polis, polismen, polistescion, quelli non capivano niente, nessuno sapeva dove fosse questa polis". Alla fine, trovano Scotland Yard. "Siamo arrivati praticamente morti. Aspettate, ci dissero. Il mio amico Gianni, che era siciliano e pure un po' spocchioso, s'impuntò: vogliamo un poliziotto che parli italiano. Dopo tre ore ne arriva uno.
Più male che bene gli spieghiamo la situazione. Cosa molto brutta, dice quello. Ci riportano dalla inglese con una loro macchina, il poliziotto entra in casa e fa un casino con la signora. Che alla fine, con brutto muso, ci fece entrare: mio dovere, ma voi italiani. Pareva un film di Alberto Sordi.
Siamo rimasti due giorni e due notti senza mangiare, dopo tutte quelle banane non avevamo uno scellino. Con un autobus, siamo poi arrivati a questa fattoria, c'erano una quarantina di ragazzi, dovevamo lavorare i campi. Per la verità, io e Gianni non abbiamo mai lavorato. Il primo giorno ci fecero vedere cosa dovevamo fare: girare certi covoni pesantissimi, pioveva sempre, erano zuppi d'acqua.
Quelli non si spostavano neanche con un trattore, erano cementati per terra, non era possibile. Ci siamo messi in un fosso a dormire tutto il tempo, alle cinque venivano a riprenderci. Gli altri invece lavoravano, così alla fine non si capiva chi aveva girato i covoni e chi no. Insomma, non abbiamo fatto un cazzo, in quel campo di lavoro. Ci fidanzammo con due cuoche, due studentesse, che lì era tutto porridge, un formaggio giallo schifoso, cose che facevano senso. E quelle, invece, tutte gentili. Per fortuna il siciliano era molto simpatico, un bel ragazzo, un fusto, così siamo scampati alla fame". E al lavoro.
La seconda volta, Boncompagni si ferma in Svezia sette o otto mesi. "Quando tornammo ad Arezzo, un mio amico organizza una cena da un suo parente. Uno di quegli avvocati tromboni di provincia, terrificante. Eravamo stati in Finlandia, a Capo Nord, in Norvegia, avevamo voglia di raccontare.
Questo avvocato neanche ci fa aprire bocca, si alza e comincia: dunque, ragazzi, la Svezia. E parla solo lui per tutta la serata, fa il protagonista, non ci fa mettere una parola. Sapeva tutto lui, esprimeva opinioni su tutto, secondo lui conosceva tutto quello che c'era da sapere sulla Svezia. Se provavamo a interromperlo, non faceva una piega: no, scusate, ragazzi. E ricominciava a parlare senza sosta, senza fermarsi. Una roba tremenda.
Sono praticamente scappato di nuovo da Arezzo dopo questa cena a casa dell'avvocato. Comunque ero tornato solo per vedere i miei genitori, avevo lasciato tutto a Stoccolma. Me ne vado per la terza volta. Stavolta sentire Areeeezzostazionediareeezzo mi metteva meno paura: sapevo che ero di transito". E Arezzo, con giubilo boncompagnesco, esce definitivamente di scena.
10 - continua
Dagospia 26 Luglio 2004
Nel ritornare (con mestizia) ad Arezzo e ripartire (di corsa) per la Svezia, a un certo punto Gianni Boncompagni finì pure per un mese in un campo di lavoro in Inghilterra. Dove, peraltro, di lavoro fece ben poco. Praticamente niente. "Avevo conosciuto due ragazzi siciliani, che avevano dei biglietti aerei da Copenhagen a Londra. Uno di loro non poteva, doveva tornare a casa, e mi regalò il suo biglietto.
Lo presi al volo, e con il suo amico - si chiamava Gianni, non l'ho più rivisto, so solo che i suoi avevano una farmacia a Catania - arrivammo a Londra. Dovevamo fermarci due giorni, per poi andare in questa specie di fattoria, con il campo di lavoro, dove c'erano altri ragazzi da tutta Europa. Avevamo prenotato una stanza presso una signora inglese. Arriviamo, e appena questa ci vede comincia a urlare: no, italiani no, via via italiani. E che cazzo avevamo fatto?
Per farla breve, quella diceva che noi italiani le avevamo bombardato la casa durante la guerra, e che per colpa nostra si era ridotta a fare l'affittacamere. Insomma ci cacciò via, anche se avevamo la stanza prenotata". I due senzatetto cominciano a vagare per Londra. "Avevamo poche sterline, e questo Gianni era molto simpatico, ma neanche lui capiva un cazzo di moneta inglese.
Disse: qui bisogna fare una cosa scientifica, vedere cosa costa di meno col cambio, e mangiare solo quello. Spiegò che era come in Italia, dove quello che costava meno erano le patate e tutti mangiavano patate. Lui pareva più pratico di me, era già stato all'estero diverse volte, e con aria da esperto cominciò a esaminare tutte le bancarelle, a fare calcoli complicati, a domandare di qua e di là.
Alla fine disse: occhei, banane. Banane?, domando io. Banane, rispose, è la cosa che a Londra costa meno. A me le banane piacciono da matti, e spendemmo tutti i nostri soldi in banane. Ne mangiammo fino a non poterne più, alla fine non ce la facevo neanche ad andare in bagno. Ma di colpo ci accorgemmo che i soldi erano finiti. Come cazzo è possibile?, domandai. Era la cosa che costava di meno, insisteva lui. Ma com'è possibile che allora sono finiti i soldi? Guarda, guarda qui, insisteva Gianni, ricominciando a fare conti su conti...
Conclusione, aveva fatto un casino tra pounds e libbre, un miscuglio di tutto. Abbiamo sbagliato, disse Gianni. No, hai sbagliato, risposi io incazzato. Scoprimmo così, scientificamente, che le banane erano, in assoluto, proprio la cosa che costava di più a Londra".
Satolli di banane, per l'aretino e il catanese oltremanica ora si trattava di entrare finalmente nella casa della megera inglese. I due - sarà fumo di Londra, sarà soprattutto necessità - hanno un'illuminazione: Scotland Yard, "glielo facciamo vedere noi a quella stronza".
Cominciano a chiedere in giro, "polis, polismen, polistescion, quelli non capivano niente, nessuno sapeva dove fosse questa polis". Alla fine, trovano Scotland Yard. "Siamo arrivati praticamente morti. Aspettate, ci dissero. Il mio amico Gianni, che era siciliano e pure un po' spocchioso, s'impuntò: vogliamo un poliziotto che parli italiano. Dopo tre ore ne arriva uno.
Più male che bene gli spieghiamo la situazione. Cosa molto brutta, dice quello. Ci riportano dalla inglese con una loro macchina, il poliziotto entra in casa e fa un casino con la signora. Che alla fine, con brutto muso, ci fece entrare: mio dovere, ma voi italiani. Pareva un film di Alberto Sordi.
Siamo rimasti due giorni e due notti senza mangiare, dopo tutte quelle banane non avevamo uno scellino. Con un autobus, siamo poi arrivati a questa fattoria, c'erano una quarantina di ragazzi, dovevamo lavorare i campi. Per la verità, io e Gianni non abbiamo mai lavorato. Il primo giorno ci fecero vedere cosa dovevamo fare: girare certi covoni pesantissimi, pioveva sempre, erano zuppi d'acqua.
Quelli non si spostavano neanche con un trattore, erano cementati per terra, non era possibile. Ci siamo messi in un fosso a dormire tutto il tempo, alle cinque venivano a riprenderci. Gli altri invece lavoravano, così alla fine non si capiva chi aveva girato i covoni e chi no. Insomma, non abbiamo fatto un cazzo, in quel campo di lavoro. Ci fidanzammo con due cuoche, due studentesse, che lì era tutto porridge, un formaggio giallo schifoso, cose che facevano senso. E quelle, invece, tutte gentili. Per fortuna il siciliano era molto simpatico, un bel ragazzo, un fusto, così siamo scampati alla fame". E al lavoro.
La seconda volta, Boncompagni si ferma in Svezia sette o otto mesi. "Quando tornammo ad Arezzo, un mio amico organizza una cena da un suo parente. Uno di quegli avvocati tromboni di provincia, terrificante. Eravamo stati in Finlandia, a Capo Nord, in Norvegia, avevamo voglia di raccontare.
Questo avvocato neanche ci fa aprire bocca, si alza e comincia: dunque, ragazzi, la Svezia. E parla solo lui per tutta la serata, fa il protagonista, non ci fa mettere una parola. Sapeva tutto lui, esprimeva opinioni su tutto, secondo lui conosceva tutto quello che c'era da sapere sulla Svezia. Se provavamo a interromperlo, non faceva una piega: no, scusate, ragazzi. E ricominciava a parlare senza sosta, senza fermarsi. Una roba tremenda.
Sono praticamente scappato di nuovo da Arezzo dopo questa cena a casa dell'avvocato. Comunque ero tornato solo per vedere i miei genitori, avevo lasciato tutto a Stoccolma. Me ne vado per la terza volta. Stavolta sentire Areeeezzostazionediareeezzo mi metteva meno paura: sapevo che ero di transito". E Arezzo, con giubilo boncompagnesco, esce definitivamente di scena.
10 - continua
Dagospia 26 Luglio 2004