RASSEGNATI STAMPA - I MOSTRI DI CAFONAL (CHE BELLO POTER DIRE: IO NON C'ERO) - CARA FRANCA CIAMPI, SPEGNI LA TV (PER PIACERE) - FERRANTE, PICCOLO MIRACOLO A MILANO.
1 - ELOGIO DELL'ASSENZA
Filippo Facci per "Il Giornale"
Una persona scorre Cafonal, la rubrica del sito Dagospia dove vengono fotografate le peggiori feste d'Italia con la peggiore gente del mondo (favelas brasiliane comprese) e gli sovvengono le battute finali di Rosemary Baby, il film di Roman Polansky con Mia Farrow: «Mostri, siete dei mostri». All'innegabile contributo macro-sociologico fornito da Cafonal peraltro se ne somma uno micro-sociologico: guardare quelle fotografie fa sentire migliori, fa sentire meglio persino quando il cielo plumbeo di Milano pare schiacciarti.
Confessione: negli anni lo scrivente si era più volte chiesto, circa il più becero pianeta mondano e massmediatico, se tanto valesse sporcarvisi le mani dall'interno (con la classica scusa di combatterlo) o se tanto valesse continuare semplicemente a non sporcarsele, a snobbarlo da lontano. È bello aver risolto l'arcano. Certi salotti milanesi o romani, certi programmi televisivi, certe cene, certe feste, certe orge del potere e sottopotere, e certi dibattiti, premiazioni, presenze nel namedropping marchettaro dei supplementi di quotidiano, orbene: non bisogna esserci punto e basta. Pazienza se a qualcuno parrà un protagonismo speculare, un narcisismo morettiano, un limite. Devi preventivare di poter dire, un giorno: io non c'ero. Ieri Cafonal immortalava un festone romano che era stato organizzato da un neuro-psichiatra infantile di 92 anni: perfetto. E comunque, al cielo plumbeo di Milano, dopo un po', ci si affeziona.
2 - FERRANTE, PICCOLO MIRACOLO A MILANO
Patrizia Valduga per la Repubblica-Milano
Non occorre che ce lo vengano a dire dall'estero che Milano è in declino, ce ne accorgiamo da soli. Ha perso persino il suo più classico e onorevole dei primati, quello del numero dei lettori. C'è un poco da rattristarsi, ma soltanto un poco, vista la qualità della massa dei libri che escono. Il fatto che via Monte Napoleone continui a scendere di gradino in gradino nella scala delle vetrine più prestigiose, ci lascia freddi quanto la domanda che Sgarbi continua a rivolgerci dallo schermo televisivo: «Davvero non siete ancora andati a vedere la mostra di Caravaggio a Milano?» Ma davvero Milano è ridotta a usare il curatore per reclamizzare una sua mostriciattola? Facciamoci coraggio, e ringraziamo Dio, o il destino, o il caso, o l´inconscio collettivo - a vostra scelta - di quello che si può chiamare un piccolo miracolo a Milano. Ecco: è bello che si siano messi d'accordo, è bello che lui abbia accettato, è bello che sia abbastanza giovane ("spento il primo vigore, e quando ci si accorge che non tutto è possibile, è allora che subentra l'ambizione" dice quel genio di Eliot nell'"Assassinio nella cattedrale"), è bello che sia pugliese e è bello che abbia un cognome così manzoniano. Bruno Ferrante è la nostra speranza: teniamolo da conto. Non occorre che sorrida, secondo l´uso furbesco di chi vuole apparire sicuro di sé, amabile, piacente, e compiacente. Sorridiamogli noi, perché è con la sua serietà che lui ci sorride.
3 - CARA FRANCA, SPEGNI LA TV (PER PIACERE)
Pino Corrias per Vanity Fair
Sette anni fa disse che il Quirinale proprio la spaventava. Quelle ombre lunghe così cariche di storia, i riti, i saloni, e naturalmente tutto quel peso di arazzi e di sostanza sulle spalle del povero marito, il presidente Carlo Azeglio. Perciò invocava misericordia all'altare della chiesona di Santa Severa e addirittura «pietà» dai cronisti. Poi tutti si accorsero che quello spavento era stata una esagerazione, o probabilmente una furbata. Che Franca Pilla Ciampi, con la sua borsetta, la sua punta di ombretto, la sua punta di rossetto, negli appar¬tamenti della Torretta e sui palco¬scenici del mondo ci stava proprio da regina.
Da allora presidia l'aria accanto al marito tutti i giorni dell'anno e in tutte le circostanze, dai funerali ai brindisi. Gli tiene stretta la mano. Con tale assiduità di esternazioni e di giudizi («mi piace, non mi piace») da suscitare l'impressione che seguendolo talvolta lo preceda. E che assecondandolo lo ispiri. Nell'elogio dell'amore coniugale, per esempio, che arriva fino al punto di non ammettere coppie non sposate a cena. In certi eccessivi entusiasmi patriottici di cinema e teatro italiani, arte italiana, retorica italiana, inni con bandiere e divise coi pennacchi.
Oppure nell'ossessione anti televisiva. Sulla televisione, ogni sette giorni, da sette anni, la signora Franca suscita dibattiti che la televisione prende molto sul serio Luminari o manipoli compiono esegesì sulla «tv deficiente» e persino su quella «cretina» Carlo Azeglio segue con auspici che infiammano. Palpita il Paese. Ma forse, all'uomo che ha governato l'ingovernabile - la lira e gli italiani - basterebbe essere un po' più perentorio con la moglie: che vive con il televisore perennemente acceso; e chiederle di spegnerle. Per favore.
Dagospia 15 Dicembre 2005
Filippo Facci per "Il Giornale"
Una persona scorre Cafonal, la rubrica del sito Dagospia dove vengono fotografate le peggiori feste d'Italia con la peggiore gente del mondo (favelas brasiliane comprese) e gli sovvengono le battute finali di Rosemary Baby, il film di Roman Polansky con Mia Farrow: «Mostri, siete dei mostri». All'innegabile contributo macro-sociologico fornito da Cafonal peraltro se ne somma uno micro-sociologico: guardare quelle fotografie fa sentire migliori, fa sentire meglio persino quando il cielo plumbeo di Milano pare schiacciarti.
Confessione: negli anni lo scrivente si era più volte chiesto, circa il più becero pianeta mondano e massmediatico, se tanto valesse sporcarvisi le mani dall'interno (con la classica scusa di combatterlo) o se tanto valesse continuare semplicemente a non sporcarsele, a snobbarlo da lontano. È bello aver risolto l'arcano. Certi salotti milanesi o romani, certi programmi televisivi, certe cene, certe feste, certe orge del potere e sottopotere, e certi dibattiti, premiazioni, presenze nel namedropping marchettaro dei supplementi di quotidiano, orbene: non bisogna esserci punto e basta. Pazienza se a qualcuno parrà un protagonismo speculare, un narcisismo morettiano, un limite. Devi preventivare di poter dire, un giorno: io non c'ero. Ieri Cafonal immortalava un festone romano che era stato organizzato da un neuro-psichiatra infantile di 92 anni: perfetto. E comunque, al cielo plumbeo di Milano, dopo un po', ci si affeziona.
2 - FERRANTE, PICCOLO MIRACOLO A MILANO
Patrizia Valduga per la Repubblica-Milano
Non occorre che ce lo vengano a dire dall'estero che Milano è in declino, ce ne accorgiamo da soli. Ha perso persino il suo più classico e onorevole dei primati, quello del numero dei lettori. C'è un poco da rattristarsi, ma soltanto un poco, vista la qualità della massa dei libri che escono. Il fatto che via Monte Napoleone continui a scendere di gradino in gradino nella scala delle vetrine più prestigiose, ci lascia freddi quanto la domanda che Sgarbi continua a rivolgerci dallo schermo televisivo: «Davvero non siete ancora andati a vedere la mostra di Caravaggio a Milano?» Ma davvero Milano è ridotta a usare il curatore per reclamizzare una sua mostriciattola? Facciamoci coraggio, e ringraziamo Dio, o il destino, o il caso, o l´inconscio collettivo - a vostra scelta - di quello che si può chiamare un piccolo miracolo a Milano. Ecco: è bello che si siano messi d'accordo, è bello che lui abbia accettato, è bello che sia abbastanza giovane ("spento il primo vigore, e quando ci si accorge che non tutto è possibile, è allora che subentra l'ambizione" dice quel genio di Eliot nell'"Assassinio nella cattedrale"), è bello che sia pugliese e è bello che abbia un cognome così manzoniano. Bruno Ferrante è la nostra speranza: teniamolo da conto. Non occorre che sorrida, secondo l´uso furbesco di chi vuole apparire sicuro di sé, amabile, piacente, e compiacente. Sorridiamogli noi, perché è con la sua serietà che lui ci sorride.
3 - CARA FRANCA, SPEGNI LA TV (PER PIACERE)
Pino Corrias per Vanity Fair
Sette anni fa disse che il Quirinale proprio la spaventava. Quelle ombre lunghe così cariche di storia, i riti, i saloni, e naturalmente tutto quel peso di arazzi e di sostanza sulle spalle del povero marito, il presidente Carlo Azeglio. Perciò invocava misericordia all'altare della chiesona di Santa Severa e addirittura «pietà» dai cronisti. Poi tutti si accorsero che quello spavento era stata una esagerazione, o probabilmente una furbata. Che Franca Pilla Ciampi, con la sua borsetta, la sua punta di ombretto, la sua punta di rossetto, negli appar¬tamenti della Torretta e sui palco¬scenici del mondo ci stava proprio da regina.
Da allora presidia l'aria accanto al marito tutti i giorni dell'anno e in tutte le circostanze, dai funerali ai brindisi. Gli tiene stretta la mano. Con tale assiduità di esternazioni e di giudizi («mi piace, non mi piace») da suscitare l'impressione che seguendolo talvolta lo preceda. E che assecondandolo lo ispiri. Nell'elogio dell'amore coniugale, per esempio, che arriva fino al punto di non ammettere coppie non sposate a cena. In certi eccessivi entusiasmi patriottici di cinema e teatro italiani, arte italiana, retorica italiana, inni con bandiere e divise coi pennacchi.
Oppure nell'ossessione anti televisiva. Sulla televisione, ogni sette giorni, da sette anni, la signora Franca suscita dibattiti che la televisione prende molto sul serio Luminari o manipoli compiono esegesì sulla «tv deficiente» e persino su quella «cretina» Carlo Azeglio segue con auspici che infiammano. Palpita il Paese. Ma forse, all'uomo che ha governato l'ingovernabile - la lira e gli italiani - basterebbe essere un po' più perentorio con la moglie: che vive con il televisore perennemente acceso; e chiederle di spegnerle. Per favore.
Dagospia 15 Dicembre 2005