MATTEO MARZOTTO HA MILLE RAGIONI (ECONOMICHE) PER INCAZZARSI CON VALENTINO
QUANDO VENDETTE LA SUA GRIFFE IL SARTO CESAREO EBBE DEI BENEFIT MIRABOLANTI
15 MILIARDI L'ANNO, USO ILLIMITATO DI AEREI PRIVATI, 60MILA $ L'ANNO PER IL VESTIARIO
QUANDO VENDETTE LA SUA GRIFFE IL SARTO CESAREO EBBE DEI BENEFIT MIRABOLANTI
15 MILIARDI L'ANNO, USO ILLIMITATO DI AEREI PRIVATI, 60MILA $ L'ANNO PER IL VESTIARIO
1 - L'INCAZZATURA (SOFT) DI MATTEO MARZOTTO
Giulia Crivelli per il Sole 24 Ore
«Mi sono divertito, perché il film è pieno di scene brillanti e racconta un mondo, quello della moda, che conosco ma che riserva sempre nuove sorprese. Ma sono perplesso: The Last Emperor riduce la parte finale della vita professionale di Valentino a una storiella di contrapposizione tra il grande stilista e il giovane rampante, senza troppi scrupoli né troppa testa. Il percorso che il gruppo Marzotto ha fatto con Valentino e Giancarlo Giammetti invece è una cosa molto diversa. E mi sarebbe piaciuto che dal film si fosse capito».
Matteo Marzotto, fino al febbraio scorso presidente della Valentino spa, ha assistito mercoledì alla prima del documentario sullo stilista proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Pesa le parole, spiegando le sue impressioni. Non è arrabbiato: il suo tono è deciso, non rancoroso. Ma un po' di delusione, sul piano umano, la prova. E soprattutto ci tiene a precisare alcuni dati economici.
Le riprese sono durate due anni, lei sapeva del documentario, ma l'aveva visto prima di mercoledì scorso?
Ho ricevuto l'invito alla prima veneziana e ci sono andato con piacere e curiosità. Anche se amici che lavorano nel cinema mi avevano avvertito che alcune parti del film non mi sarebbero piaciute.
Si riferisce alle frasi pronunciate da Giancarlo Giammetti, che a un certo punto sentenzia: «Matteo Marzotto non conta niente»?
Quella è senz'altro una frase infelice. Ma sono dispiaciuto per il quadro complessivo fornito dal film, più che per singole parole. Chi non conosce bene la storia dell'azienda costruita da Valentino e Giammetti e le sue alterne fortune economiche, ne vede una fotografia distorta: sembra che gli ultimi anni siano stati funestati, se non rovinati, dall'insanabile contrasto tra l'affascinante universo creativo dello stilista e il freddo punto di vista del giovane manager, perdipiù rampollo di una grande famiglia industriale, quasi questa fosse una colpa. In fase di montaggio sono stati tagliati i miei interventi, che se riportati integralmente avrebbero fatto capire qual è il mio modo di vedere il business della moda e quali fossero i cambiamenti che ritenevo necessari per dare all'azienda un futuro più solido, nel pieno rispetto del suo fondatore e delle sue esigenze creative.
I risultati economici tra l'altro le hanno dato ragione.
Purtroppo di questo nel film non si parla. Nel 2002, quando il gruppo Marzotto rilevò la maggioranza di Valentino, il fatturato era di 128 milioni di euro, a fronte di una perdita di 40 milioni. Nel 2007 i ricavi sono passati a 250 milioni, con un utile di 25 milioni. Non solo: il lavoro di riorganizzazione delle linee di prodotto, del retail e di ogni altro aspetto gestionale, ha fatto crescere enormemente il valore del brand. Valentino è stata venduta a Permira ( il fondo di private equity che ne ha il completo controllo dalla fine del 2007) a una cifra circa cinque volte maggiore rispetto a quanto era stata pagata. Valentino dice, giustamente, di osservare con grande attenzione quello che succede al suo marchio ora che sono altri a disegnarlo, perché è pur sempre il suo nome quello che c'è sui vestiti. Ma la verità è che senza l'intervento del gruppo Marzotto e il risanamento degli ultimi anni, il marchio forse non si sarebbe salvato.
Si aspettava che questo lavoro fosse riconosciuto?
Sì. E credo che avrebbe giovato anche al documentario.
Forse la responsabilità è del regista o dei montatori.
Non credo proprio: penso che Valentino e Giammetti abbiamo visto e approvato ogni cosa, com'è comprensibile del resto. Icone come loro desiderano avere il controllo su tutto ciò che riguarda l'immagine.Però ci tengo a sottolinearlo, come del resto ho già fatto molte volte pubblicamente e privatamente: sono persone straordinarie con cui tornerei a lavorare anche domani e che ringrazio per ciò che mi hanno insegnato. Sono fatto così: preferisco dire grazie una volta di più che una volta di meno.
«La pellicola ignora il contributo decisivo del gruppo Marzotto al risanamento dei conti» «Mi spiace che tutto sia ridotto all'antagonismo tra il celebre creativo e un giovane manager» Ex soci. Matteo Marzotto (a sinistra) in compagnia di Valentino Garavani; Marzotto si è dimesso dalla presidenza della società nel febbraio 2008
2 - VALENTINO SEGRETO
Fabiana Giacomotti per Capital (pubblicato nel 2007)
La ditta individuale Valentino Garavani non ha nulla a che vedere con la Valentino spa, parte fondante di Valentino Fashion Group quotato alla Borsa di Milano, ed è, a tutti gli effetti, una di quelle piccole medie imprese di cui l'Italia è massima espressione mondiale: consta infatti di 50 dipendenti. Taluni, come i 12 giardinieri di Wideville, castello alle porte di Parigi abitato per oltre un decennio da Louise de la Vallière, prima favorita di Louis XIV, sono stanziali, ovvero si occupano dei 300 acri di terreno coltivato a fiori ed essenze rare e si incaricano di avvertire il signor Garavani quando, verso metà maggio, le allées vengono inondate dal milione di boccioli che è la produzione media annuale e che le maitre des lieux, il padron di casa, non vuole perdersi per nulla al mondo perchè "ci sono molte cose nella vita, ma non si possono ignorare le rose".
Altri dipendenti, come gli undici membri dell'equipaggio del TM Blue One, yacht di 152 piedi che da maggio il signor Garavani raggiunge ogni fine settimana con volo privato su un Challenger da 14 posti, oppure il maggiordomo inglese Michael Kelly, sono itineranti: ne precedono di qualche giorno l'arrivo, e predispongono acquisti, organizzano il turn around degli ospiti e si incaricano di seguire fino all'ultimo dettaglio la mise en place del soggiorno, fosse anche la verifica della fornitura di té bianco o l'acquisto della cioccolata Christian Constant che è l'unico vizio per il quale il signor Garavani deroghi dalla dieta alimentare moderata che si è sempre imposto.
"Nobody, and I mean nobody, lives better than mr Valentino" ebbe una volta a sospirare Oprah Winfrey dopo una visita in Italia. E il sindaco di Roma-candidato in pectore del Partito Democratico Walter Veltroni, che gli ha organizzato una tre giorni di celebrazioni per i 45 anni di attività dal 6 all'8 luglio nei tre luoghi più belli dell'urbe, dall'Ara Pacis al Tempio di Venere, ha pubblicamente concesso che a Roma vi siano due sole celebrità mondiali: il Papa e Valentino.
In realtà, gli anni di attività di Valentino sarebbero 47, e voci maligne sostengono che abbia procrastinato i festeggiamenti per ottenere dal Campidoglio tutte le location che desiderava. Sostengono anche, le voci maligne, che i festeggiamenti e la grandiosa sfilata del 7 luglio siano il pas d'adieu del grande couturier. Ma ha alcuna importanza, qualche voce maligna, in questo fasto assoluto e voluto? Da palazzo Mignanelli, sede storica della maison a due passi da piazza di Spagna, Valentino continua a dominare Roma, e l'azienda che porta il suo nome, pur avendola ceduta da quasi dieci anni, con sommo sconcerto dei proprietari che si sono succeduti in questi due lustri e a cui stanno per affiancarsi gli inglesi del fondo Permira.
Disegnare abiti "che rendano belle le donne, perchè la moda è tutta qui" è la sua prima attività, quella che gli permette di vivere nell'unica dimensione che conosce e che ha perseguito fin da bambino, a Voghera. Possedere case ("mi dicono che sono troppe. Ma troppe per chi? Fosse per me continuerei ad acquistarne" dice Valentino a Capital) è la seconda e, forse, ora, la prediletta.
Oltre al castello di Wideville, acquistato nel 1995, ristrutturato senza badare a spese dall'architetto Henri Samuel e di un valore stimato in 150 milioni di euro, Valentino possiede uno chalet a Gastaad, Gifferhorn, ma anche un palazzetto vittoriano in Holland Park, a Londra, con giardino digradante nei communal gardens, stimato 15 milioni di sterline e arredato con commodes in tartaruga provenienti dal palazzo Pavlos , un'incantevole collezione di bone china del XVIII secolo (la cosiddetta Blue Room, in cui mensole e ripiani sono stati studiati e decorati per dare l'illusione dell'avorio scolpito) e una rarissima serie di sedie settecentesche acquistate dai Rothschild.
Quando è a New York, Valentino vive in un appartamento vicino al Frick Museum tappezzato di quadri d'arte moderna e contemporanea (ha notoriamente una predilezione per Basquiat, a cui ha dedicato una recente collezione, de Koonings, Damien Hirst e Andy Warhol). Poi, naturalmente, c'è lo yacht con i suoi cinque saloni e la grande villa sull'Appia Antica arredata da Renzo Mongiardino. Negli ultimi dieci anni, Valentino ha ceduto solo la villa di Capri, preferendole le estati in barca. Detesta gli hotel, teme sempre che siano cheap, con i rubinetti d'oro e immonde piscine di forma stravagante. Valentino acquista, restaura, amplia. Passatempi costosi. Che però sa come offrirsi.
Valentino Clemente Ludovico Garavani, 75 anni compiuti lo scorso 11 maggio, non è solo il genio della couture che tutti sanno, l'uomo a cui la storia dovrà un punto di rosso (il famoso rosso Valentino, formato da un 100% di magenta, 100% di giallo e 10% di nero) ma soprattutto un uomo ricco, ricchissimo. Forse il più ricco stilista italiano dopo Giorgio Armani, e ricco quanto lo sarebbe stato Gianni Versace se la cattiva gestione seguita alla sua morte non avesse imposto l'alienazione di buona parte del patrimonio per salvare l'azienda.
Ricco lo era già, grazie all'attentissima gestione del socio ed ex partner per 12 anni, Giancarlo Giammetti che a palazzo Mignanelli ha un ufficio tre volte più grande del suo perché, dice, "Valentino deve solo disegnare. Io intimidire". Ricchissimo lo è diventato nel 1998, quando accettò di vendere il proprio impero per 300 milioni di dollari, circa 540 miliardi di lire dell'epoca, a totale beneficio suo e del socio storico Giancarlo Giammetti a un uomo convinto di poter creare il polo del lusso italiano grazie alla lucidità della propria visione strategica.
L'uomo in questione, Maurizio Romiti, era talmente convinto di queste sue capacità da garantire ai signori Giammetti e Garavani, titolari del marchio, delle attività e di un centinaio di licenze sparse per il mondo che nell'entusiasmo del momento forse non vennero soppesate e valutate una per una, non solo i 540 miliardi pattuiti, ma anche una serie di collaterali che si sarebbero protratti fino al 2005 e che Goldman Sachs controllò venissero controfirmati e accettati fino all'ultima clausola.
Nessuno ha mai potuto verificare quel contratto con la stessa attenzione che si suppone Romitino gli diede. Fonti vicine alla trattativa parlano però di un contratto di consulenza da 15 miliardi l'anno (a cui, con ogni probabilità, vennero aggiunti emolumenti adeguati al suo ruolo di direttore creativo), ma anche dell'uso illimitato di aerei privati valido in tutto il mondo, di una copertura di vigilanza a difesa di privacy e incolumità sua e di Giammetti 24 ore su 24 e di un appannaggio di 60mila dollari l'anno per spese di vestiario.
Un capolavoro. Quando, nella primavera del 2002, l'HdP già in crisi cedette la Valentino spa gravata da perdite per 50 milioni di dollari al gruppo Marzotto per circa 200 milioni di dollari, a Valdagno dovettero ri-sottoscrivere quei favolosi bonus digrignando i denti ma senza fiatare. E, come verificato da Capital con i vertici della Marzotto, i collaterali da fiaba ci sono ancora tutti, o quasi, in questo 2007.
A partire dall'aereo. Giammetti, raffinatissima mente finanziaria sotto i capelli candidi e vaporosi, ha sempre considerato il glamour personale del fondatore come un elemento imprescindibile del valore di un marchio di moda, tanto che negli anni dei Romiti ebbe a commentare acidamente come "certi uomini di business abbiano una visione molto antica della moda, e credono si svolga tutta attorno a una sfilata con qualche modella, cioè belle ragazze che vorrebbero conoscere".
Adesso che nella sede di Roma stanno per insediarsi i nuovi soci inglesi di Permira, Valentino e Giammetti possono dirsi ancora più ricchi. Ma per il couturier, il denaro è un accidente sgradevole di cui non si parla, ma decisamente utile per procurarsi l'unica droga di cui abbia bisogno: "bellezza, bellezza, bellezza". Negli anni dello Studio 54 in cui coca ed alcol circolavano quasi più di oggi, Valentino si ritirava all'una, massimo una e mezza di notte, dedicando il tempo libero, e la mente lucidissima, all'acquisto di quadri, mobili e soprattutto oggetti. Oggetti unici, perfetti, e per i quali ogni tanto entra in competizione con Giammetti.
Trova insopportabile parlare con una persona trascurata o sciatta, e può entrare in crisi, interrompendosi, se scopre di avere una macchietta sul polsino o una piega sul pantalone che non sia quella centrale, a piombo. Il butler, Michael Kelly, ha avuto modo di raccontare più volte come "mr Valentino" percepisca un soprammobile spostato in una stanza anche dopo non avervi messo piede per mesi. "Oh, è che curo ogni dettaglio oltre il limite", commenta adesso. Gli ospiti di Valentino sanno che ogni loro piccolo desiderio, ogni gusto o idiosincrasia, sarà stato valutato e annotato prima del loro arrivo, in modo che mai abbiano a incomodarsi.
"Un vero ospite deve dedicare tempo e passione alla cura del ricevere, deve dedicarvisi con vero affetto", sorride, gli occhi chiari, la pelle lucida di chi ama il sole a sufficienza da respingerne gli effetti nefasti con creme e sieri. Non si ricordano défaillances, nei ricevimenti di Valentino. Lui, alla domanda di un piccolo disastro casalingo indimenticabile, racconta serio di quando "durante un pranzo in Holland Park, si bloccò il montacarichi che portava l'insalata dalla cucina all'office accanto alla sala da pranzo". E alla espressione interdetta dell'interlocutrice, sorride ancora, civettuolo: "Ma dopotutto, non fu gravissimo", prima di rispondere alla chiamata di Carlos de Souza che ha "assoluto bisogno" di chiedergli una conferma sulla risposta da dare a un tecnico incaricato di montare le luci della presentazione della collezione uomo 2008.
Carlos de Souza, come la pr Daniela Giardina, Georgina Brandolini d'Adda, le socialites Naty Abascal e Rosario di Bulgaria e Bruce Hoeksema, ex modello, attualmente designer di gioielli e accessori e partner di Valentino dal 1982, costituiscono la grande famiglia allargata del couturier. Una piccola tribù che fra amori, liti e riconciliazioni come in ogni grande famiglia, trascorre insieme gran parte del tempo, di lavoro e di vacanza.
Ma le collere di Valentino sanno essere terribili: quando Carlos lasciò il gruppo, quasi vent'anni fa, per sposarsi con la socialite brasiliana Charlene Shorto de Ganay, il couturier non gli parlò per lungo tempo e ci vollero tutte le doti di diplomazia di Giammetti per sancire una riconciliazione che, di fatto, avvenne solo con la nascita del primo figlio di Carlos, Sean, a cui è seguito Anthony.
Di entrambi, ora adolescenti, Valentino e Giammetti sono i padrini e si dice nutrano nei loro confronti un affetto simile a quello che Versace provava per la nipote, Allegra. Solo da qualche tempo, Valentino ha avuto modo di dolersi pubblicamente di non avere figli né eredi diretti. Qualche volta, ha raccontato, gli sarebbe piaciuto adottarne uno. Ha sempre evitato. In compenso, ama circondarsi di giovani: naturalmente giovani carini, chic e impeccabili. Gli piace Gwyneth Paltrow. Keira Knightley, sottile, con gli zigomi alti, l'aria distinguée che predilige. Paris Hilton, invece, non gli piace affatto. Non gli piace tutta la famiglia, per essere sinceri. Lo si è sentito mormorare: "Questi Hilton. Non hanno niente".
LETTERA
...Caro Roberto,
quello che non si sa perché nessuno l'ha scritto è che alla cena post-proiezione del docu-(quasi) film su Valentino, al Guggenheim, organizzato da Franca Sozzani e Vanity Fair, nel buio più pesto e nella fame più nera per mancanza di cibo (quelle vulgarité) si sono rischiati i ricoveri, perché era disponibile solo polenta con funghi (poca) e crespelle con i funghi (pochissimi). I tanti allergici sono stati visti scappare verso le più vicine osterie...
Laura, Milano
Dagospia 03 Settembre 2008
Giulia Crivelli per il Sole 24 Ore
«Mi sono divertito, perché il film è pieno di scene brillanti e racconta un mondo, quello della moda, che conosco ma che riserva sempre nuove sorprese. Ma sono perplesso: The Last Emperor riduce la parte finale della vita professionale di Valentino a una storiella di contrapposizione tra il grande stilista e il giovane rampante, senza troppi scrupoli né troppa testa. Il percorso che il gruppo Marzotto ha fatto con Valentino e Giancarlo Giammetti invece è una cosa molto diversa. E mi sarebbe piaciuto che dal film si fosse capito».
Matteo Marzotto, fino al febbraio scorso presidente della Valentino spa, ha assistito mercoledì alla prima del documentario sullo stilista proiettato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti. Pesa le parole, spiegando le sue impressioni. Non è arrabbiato: il suo tono è deciso, non rancoroso. Ma un po' di delusione, sul piano umano, la prova. E soprattutto ci tiene a precisare alcuni dati economici.
Le riprese sono durate due anni, lei sapeva del documentario, ma l'aveva visto prima di mercoledì scorso?
Ho ricevuto l'invito alla prima veneziana e ci sono andato con piacere e curiosità. Anche se amici che lavorano nel cinema mi avevano avvertito che alcune parti del film non mi sarebbero piaciute.
Si riferisce alle frasi pronunciate da Giancarlo Giammetti, che a un certo punto sentenzia: «Matteo Marzotto non conta niente»?
Quella è senz'altro una frase infelice. Ma sono dispiaciuto per il quadro complessivo fornito dal film, più che per singole parole. Chi non conosce bene la storia dell'azienda costruita da Valentino e Giammetti e le sue alterne fortune economiche, ne vede una fotografia distorta: sembra che gli ultimi anni siano stati funestati, se non rovinati, dall'insanabile contrasto tra l'affascinante universo creativo dello stilista e il freddo punto di vista del giovane manager, perdipiù rampollo di una grande famiglia industriale, quasi questa fosse una colpa. In fase di montaggio sono stati tagliati i miei interventi, che se riportati integralmente avrebbero fatto capire qual è il mio modo di vedere il business della moda e quali fossero i cambiamenti che ritenevo necessari per dare all'azienda un futuro più solido, nel pieno rispetto del suo fondatore e delle sue esigenze creative.
I risultati economici tra l'altro le hanno dato ragione.
Purtroppo di questo nel film non si parla. Nel 2002, quando il gruppo Marzotto rilevò la maggioranza di Valentino, il fatturato era di 128 milioni di euro, a fronte di una perdita di 40 milioni. Nel 2007 i ricavi sono passati a 250 milioni, con un utile di 25 milioni. Non solo: il lavoro di riorganizzazione delle linee di prodotto, del retail e di ogni altro aspetto gestionale, ha fatto crescere enormemente il valore del brand. Valentino è stata venduta a Permira ( il fondo di private equity che ne ha il completo controllo dalla fine del 2007) a una cifra circa cinque volte maggiore rispetto a quanto era stata pagata. Valentino dice, giustamente, di osservare con grande attenzione quello che succede al suo marchio ora che sono altri a disegnarlo, perché è pur sempre il suo nome quello che c'è sui vestiti. Ma la verità è che senza l'intervento del gruppo Marzotto e il risanamento degli ultimi anni, il marchio forse non si sarebbe salvato.
Si aspettava che questo lavoro fosse riconosciuto?
Sì. E credo che avrebbe giovato anche al documentario.
Forse la responsabilità è del regista o dei montatori.
Non credo proprio: penso che Valentino e Giammetti abbiamo visto e approvato ogni cosa, com'è comprensibile del resto. Icone come loro desiderano avere il controllo su tutto ciò che riguarda l'immagine.Però ci tengo a sottolinearlo, come del resto ho già fatto molte volte pubblicamente e privatamente: sono persone straordinarie con cui tornerei a lavorare anche domani e che ringrazio per ciò che mi hanno insegnato. Sono fatto così: preferisco dire grazie una volta di più che una volta di meno.
«La pellicola ignora il contributo decisivo del gruppo Marzotto al risanamento dei conti» «Mi spiace che tutto sia ridotto all'antagonismo tra il celebre creativo e un giovane manager» Ex soci. Matteo Marzotto (a sinistra) in compagnia di Valentino Garavani; Marzotto si è dimesso dalla presidenza della società nel febbraio 2008
2 - VALENTINO SEGRETO
Fabiana Giacomotti per Capital (pubblicato nel 2007)
La ditta individuale Valentino Garavani non ha nulla a che vedere con la Valentino spa, parte fondante di Valentino Fashion Group quotato alla Borsa di Milano, ed è, a tutti gli effetti, una di quelle piccole medie imprese di cui l'Italia è massima espressione mondiale: consta infatti di 50 dipendenti. Taluni, come i 12 giardinieri di Wideville, castello alle porte di Parigi abitato per oltre un decennio da Louise de la Vallière, prima favorita di Louis XIV, sono stanziali, ovvero si occupano dei 300 acri di terreno coltivato a fiori ed essenze rare e si incaricano di avvertire il signor Garavani quando, verso metà maggio, le allées vengono inondate dal milione di boccioli che è la produzione media annuale e che le maitre des lieux, il padron di casa, non vuole perdersi per nulla al mondo perchè "ci sono molte cose nella vita, ma non si possono ignorare le rose".
Altri dipendenti, come gli undici membri dell'equipaggio del TM Blue One, yacht di 152 piedi che da maggio il signor Garavani raggiunge ogni fine settimana con volo privato su un Challenger da 14 posti, oppure il maggiordomo inglese Michael Kelly, sono itineranti: ne precedono di qualche giorno l'arrivo, e predispongono acquisti, organizzano il turn around degli ospiti e si incaricano di seguire fino all'ultimo dettaglio la mise en place del soggiorno, fosse anche la verifica della fornitura di té bianco o l'acquisto della cioccolata Christian Constant che è l'unico vizio per il quale il signor Garavani deroghi dalla dieta alimentare moderata che si è sempre imposto.
"Nobody, and I mean nobody, lives better than mr Valentino" ebbe una volta a sospirare Oprah Winfrey dopo una visita in Italia. E il sindaco di Roma-candidato in pectore del Partito Democratico Walter Veltroni, che gli ha organizzato una tre giorni di celebrazioni per i 45 anni di attività dal 6 all'8 luglio nei tre luoghi più belli dell'urbe, dall'Ara Pacis al Tempio di Venere, ha pubblicamente concesso che a Roma vi siano due sole celebrità mondiali: il Papa e Valentino.
In realtà, gli anni di attività di Valentino sarebbero 47, e voci maligne sostengono che abbia procrastinato i festeggiamenti per ottenere dal Campidoglio tutte le location che desiderava. Sostengono anche, le voci maligne, che i festeggiamenti e la grandiosa sfilata del 7 luglio siano il pas d'adieu del grande couturier. Ma ha alcuna importanza, qualche voce maligna, in questo fasto assoluto e voluto? Da palazzo Mignanelli, sede storica della maison a due passi da piazza di Spagna, Valentino continua a dominare Roma, e l'azienda che porta il suo nome, pur avendola ceduta da quasi dieci anni, con sommo sconcerto dei proprietari che si sono succeduti in questi due lustri e a cui stanno per affiancarsi gli inglesi del fondo Permira.
Disegnare abiti "che rendano belle le donne, perchè la moda è tutta qui" è la sua prima attività, quella che gli permette di vivere nell'unica dimensione che conosce e che ha perseguito fin da bambino, a Voghera. Possedere case ("mi dicono che sono troppe. Ma troppe per chi? Fosse per me continuerei ad acquistarne" dice Valentino a Capital) è la seconda e, forse, ora, la prediletta.
Oltre al castello di Wideville, acquistato nel 1995, ristrutturato senza badare a spese dall'architetto Henri Samuel e di un valore stimato in 150 milioni di euro, Valentino possiede uno chalet a Gastaad, Gifferhorn, ma anche un palazzetto vittoriano in Holland Park, a Londra, con giardino digradante nei communal gardens, stimato 15 milioni di sterline e arredato con commodes in tartaruga provenienti dal palazzo Pavlos , un'incantevole collezione di bone china del XVIII secolo (la cosiddetta Blue Room, in cui mensole e ripiani sono stati studiati e decorati per dare l'illusione dell'avorio scolpito) e una rarissima serie di sedie settecentesche acquistate dai Rothschild.
Quando è a New York, Valentino vive in un appartamento vicino al Frick Museum tappezzato di quadri d'arte moderna e contemporanea (ha notoriamente una predilezione per Basquiat, a cui ha dedicato una recente collezione, de Koonings, Damien Hirst e Andy Warhol). Poi, naturalmente, c'è lo yacht con i suoi cinque saloni e la grande villa sull'Appia Antica arredata da Renzo Mongiardino. Negli ultimi dieci anni, Valentino ha ceduto solo la villa di Capri, preferendole le estati in barca. Detesta gli hotel, teme sempre che siano cheap, con i rubinetti d'oro e immonde piscine di forma stravagante. Valentino acquista, restaura, amplia. Passatempi costosi. Che però sa come offrirsi.
Valentino Clemente Ludovico Garavani, 75 anni compiuti lo scorso 11 maggio, non è solo il genio della couture che tutti sanno, l'uomo a cui la storia dovrà un punto di rosso (il famoso rosso Valentino, formato da un 100% di magenta, 100% di giallo e 10% di nero) ma soprattutto un uomo ricco, ricchissimo. Forse il più ricco stilista italiano dopo Giorgio Armani, e ricco quanto lo sarebbe stato Gianni Versace se la cattiva gestione seguita alla sua morte non avesse imposto l'alienazione di buona parte del patrimonio per salvare l'azienda.
Ricco lo era già, grazie all'attentissima gestione del socio ed ex partner per 12 anni, Giancarlo Giammetti che a palazzo Mignanelli ha un ufficio tre volte più grande del suo perché, dice, "Valentino deve solo disegnare. Io intimidire". Ricchissimo lo è diventato nel 1998, quando accettò di vendere il proprio impero per 300 milioni di dollari, circa 540 miliardi di lire dell'epoca, a totale beneficio suo e del socio storico Giancarlo Giammetti a un uomo convinto di poter creare il polo del lusso italiano grazie alla lucidità della propria visione strategica.
L'uomo in questione, Maurizio Romiti, era talmente convinto di queste sue capacità da garantire ai signori Giammetti e Garavani, titolari del marchio, delle attività e di un centinaio di licenze sparse per il mondo che nell'entusiasmo del momento forse non vennero soppesate e valutate una per una, non solo i 540 miliardi pattuiti, ma anche una serie di collaterali che si sarebbero protratti fino al 2005 e che Goldman Sachs controllò venissero controfirmati e accettati fino all'ultima clausola.
Nessuno ha mai potuto verificare quel contratto con la stessa attenzione che si suppone Romitino gli diede. Fonti vicine alla trattativa parlano però di un contratto di consulenza da 15 miliardi l'anno (a cui, con ogni probabilità, vennero aggiunti emolumenti adeguati al suo ruolo di direttore creativo), ma anche dell'uso illimitato di aerei privati valido in tutto il mondo, di una copertura di vigilanza a difesa di privacy e incolumità sua e di Giammetti 24 ore su 24 e di un appannaggio di 60mila dollari l'anno per spese di vestiario.
Un capolavoro. Quando, nella primavera del 2002, l'HdP già in crisi cedette la Valentino spa gravata da perdite per 50 milioni di dollari al gruppo Marzotto per circa 200 milioni di dollari, a Valdagno dovettero ri-sottoscrivere quei favolosi bonus digrignando i denti ma senza fiatare. E, come verificato da Capital con i vertici della Marzotto, i collaterali da fiaba ci sono ancora tutti, o quasi, in questo 2007.
A partire dall'aereo. Giammetti, raffinatissima mente finanziaria sotto i capelli candidi e vaporosi, ha sempre considerato il glamour personale del fondatore come un elemento imprescindibile del valore di un marchio di moda, tanto che negli anni dei Romiti ebbe a commentare acidamente come "certi uomini di business abbiano una visione molto antica della moda, e credono si svolga tutta attorno a una sfilata con qualche modella, cioè belle ragazze che vorrebbero conoscere".
Adesso che nella sede di Roma stanno per insediarsi i nuovi soci inglesi di Permira, Valentino e Giammetti possono dirsi ancora più ricchi. Ma per il couturier, il denaro è un accidente sgradevole di cui non si parla, ma decisamente utile per procurarsi l'unica droga di cui abbia bisogno: "bellezza, bellezza, bellezza". Negli anni dello Studio 54 in cui coca ed alcol circolavano quasi più di oggi, Valentino si ritirava all'una, massimo una e mezza di notte, dedicando il tempo libero, e la mente lucidissima, all'acquisto di quadri, mobili e soprattutto oggetti. Oggetti unici, perfetti, e per i quali ogni tanto entra in competizione con Giammetti.
Trova insopportabile parlare con una persona trascurata o sciatta, e può entrare in crisi, interrompendosi, se scopre di avere una macchietta sul polsino o una piega sul pantalone che non sia quella centrale, a piombo. Il butler, Michael Kelly, ha avuto modo di raccontare più volte come "mr Valentino" percepisca un soprammobile spostato in una stanza anche dopo non avervi messo piede per mesi. "Oh, è che curo ogni dettaglio oltre il limite", commenta adesso. Gli ospiti di Valentino sanno che ogni loro piccolo desiderio, ogni gusto o idiosincrasia, sarà stato valutato e annotato prima del loro arrivo, in modo che mai abbiano a incomodarsi.
"Un vero ospite deve dedicare tempo e passione alla cura del ricevere, deve dedicarvisi con vero affetto", sorride, gli occhi chiari, la pelle lucida di chi ama il sole a sufficienza da respingerne gli effetti nefasti con creme e sieri. Non si ricordano défaillances, nei ricevimenti di Valentino. Lui, alla domanda di un piccolo disastro casalingo indimenticabile, racconta serio di quando "durante un pranzo in Holland Park, si bloccò il montacarichi che portava l'insalata dalla cucina all'office accanto alla sala da pranzo". E alla espressione interdetta dell'interlocutrice, sorride ancora, civettuolo: "Ma dopotutto, non fu gravissimo", prima di rispondere alla chiamata di Carlos de Souza che ha "assoluto bisogno" di chiedergli una conferma sulla risposta da dare a un tecnico incaricato di montare le luci della presentazione della collezione uomo 2008.
Carlos de Souza, come la pr Daniela Giardina, Georgina Brandolini d'Adda, le socialites Naty Abascal e Rosario di Bulgaria e Bruce Hoeksema, ex modello, attualmente designer di gioielli e accessori e partner di Valentino dal 1982, costituiscono la grande famiglia allargata del couturier. Una piccola tribù che fra amori, liti e riconciliazioni come in ogni grande famiglia, trascorre insieme gran parte del tempo, di lavoro e di vacanza.
Ma le collere di Valentino sanno essere terribili: quando Carlos lasciò il gruppo, quasi vent'anni fa, per sposarsi con la socialite brasiliana Charlene Shorto de Ganay, il couturier non gli parlò per lungo tempo e ci vollero tutte le doti di diplomazia di Giammetti per sancire una riconciliazione che, di fatto, avvenne solo con la nascita del primo figlio di Carlos, Sean, a cui è seguito Anthony.
Di entrambi, ora adolescenti, Valentino e Giammetti sono i padrini e si dice nutrano nei loro confronti un affetto simile a quello che Versace provava per la nipote, Allegra. Solo da qualche tempo, Valentino ha avuto modo di dolersi pubblicamente di non avere figli né eredi diretti. Qualche volta, ha raccontato, gli sarebbe piaciuto adottarne uno. Ha sempre evitato. In compenso, ama circondarsi di giovani: naturalmente giovani carini, chic e impeccabili. Gli piace Gwyneth Paltrow. Keira Knightley, sottile, con gli zigomi alti, l'aria distinguée che predilige. Paris Hilton, invece, non gli piace affatto. Non gli piace tutta la famiglia, per essere sinceri. Lo si è sentito mormorare: "Questi Hilton. Non hanno niente".
LETTERA
...Caro Roberto,
quello che non si sa perché nessuno l'ha scritto è che alla cena post-proiezione del docu-(quasi) film su Valentino, al Guggenheim, organizzato da Franca Sozzani e Vanity Fair, nel buio più pesto e nella fame più nera per mancanza di cibo (quelle vulgarité) si sono rischiati i ricoveri, perché era disponibile solo polenta con funghi (poca) e crespelle con i funghi (pochissimi). I tanti allergici sono stati visti scappare verso le più vicine osterie...
Laura, Milano
Dagospia 03 Settembre 2008