MAURIZIO BELPIETRO
Maurizio Belpietro per “Libero quotidiano”
Secondo il Grande dizionario Hoepli della lingua italiana, «timido» è l’aggettivo che definisce chi è incline a intimorirsi e a spaventarsi, chi mostra poca risolutezza o coraggio. Stessa definizione la dà il Devoto Oli, altro grande dizionario: incline a impressionarsi o impaurirsi. Come possa dunque il presidente del Consiglio definire timide ma incoraggianti - cioè una cosa e il suo contrario - le rilevazioni Istat in materia di occupazione è un piccolo mistero linguistico.
Anche perché i dati del nostro istituto di statistica sulla disoccupazione non sono né timidi né incoraggianti ma pessimi, che, tanto per restare al significato delle parole secondo la lingua italiana, vuol dire cattivi. Del resto come definire percentuali che danno in risalita i senza lavoro, cresciuti dello 0,2 per cento rispetto al mese precedente per un totale del 12,7 per cento, pari al 3,5 per cento in più da quando Renzi sta a Palazzo Chigi?
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Peggiori ancora sono le cifre che riguardano i giovani che non hanno un impiego, i quali rappresentano il 44,2per cento del totale, il livello più alto mai registrato da quando nel 1977 si è cominciato a tenere conto dell’andamento della disoccupazione giovanile. Tradotta in numeri concreti, la radiografia dell’Istat dice che nell’ultimo anno 85 mila persone hanno perso il lavoro,mentre circa tre giovani su quattro non hanno un’occupazione, perché al dato del 44,2per cento vanno aggiunti gli inattivi, ossia chi studia o semplicemente è talmente scoraggiato da non iscriversi neppure nelle liste di collocamento.
RENZI HOUSE OF CARDS
In totale il numero di inattivi fra i 15 e i 64 anni fa la cifra tonda di 14 milioni, cioè un italiano su quattro, neonati e pensionati compresi. Definire dunque timido o incoraggiante un simile risultato è una pietosa bugia. La statistica semmai dà conto di un disastro che ancora non vede la fine. Altro che JobsAct o decontribuzione. Allo stato attuale dei fatti le misure del governo non funzionano, per lo meno non sul fronte dell’occupazione. Può darsi che per valutare l’impatto delle nuove leggi serva più tempo, ma i primi mesi di esercizio delle recenti normative paiono dimostrare che non sono riuscite a fermare la recessione.
RENZI FORTE DEI MARMI
Certo, per quanto riguarda il piano per il lavoro è presto per tirare le somme, perché l’entrata in vigore delle regole porta la data del primo di marzo di quest’anno, ma la decontribuzione, cioè lo sgravio su quanto il datore di lavoro paga agli enti previdenziali sui neo assunti, è in funzione dall’inizio dell’anno e dunque ci sono sei mesi buoni per un bilancio. Purtroppo, finora non si nota alcun miglioramento e nessun segno di inversione di tendenza. Dunque, mentre a marzo, di fronte ai dati riguardanti la trasformazione di contratti a tempo determinato in quelli a tempo indeterminato, il presidente del Consiglio cantava vittoria, ora è meglio che lasci da parte gli squilli di trombe e di trombette, raccontando agli italiani la verità. Anche perché per dichiarare l’Italia fuori dai guai non basta un pelo di Pil in più.
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Infatti, se da un lato è vero che quest’anno probabilmente la Produzione industriale avrà il segno più davanti, dall’altro non si può non vedere che l’aumento è frutto di una serie di circostanze molto favorevoli. Lasciamo perdere per un attimo l’intervento della Bce e di Mario Draghi e concentriamoci su due fattori importanti come la caduta del prezzo del greggio e il deprezzamento dell’Euro.
Il primo ha avuto un effetto benefico sui consumi, perché ha inciso direttamente sull’inflazione, contenendola, mentre il secondo ha inciso un po’ sul potere d’acquisto, ma ha dato una spinta alle esportazioni, rendendo più competitivi le merci pagate in valuta europea. Tradotto, si spende di meno a importare prodotti petroliferi, si spende di più per il resto, tuttavia lo svantaggio è compensato da migliori vendite all’estero. Secondo il capo economista della banca francese Natixis (citato dal blog Phastidio.net) l’Italia da tutto ciò ha avuto un beneficio pari all’1,2 per cento del Prodotto interno lordo, ovvero più di quanto il Pil dovrebbe crescere quest’anno.
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Che vuol dire? Significa una sola cosa: che se non ci fossero stati euro e petrolio bassi probabilmente il nostro paese anche nel 2015 avrebbe avuto un’economia in calo. Né Jobs act né decontribuzione ma nemmeno il taglio dell’Irap avrebbero prodotto il miracolo.
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Conclusione: o Renzi cambia lavoro e si dedica ad altro o cambia musica.Per far salire il Pil come è noto bisogna che le aziende lavorino.Ovvero che siano incentivate a produrre.Dunque si devono rimuovere gli ostacoli che impediscono alle imprese di crescere o di venire in Italia. In poche parole: burocrazia, giustizia, fisco. Per quanto riguarda le imposte non c’è solo il taglio delle tasse,ma anche la certezza del sistema fiscale, che in Italia invece è più ballerino di Don Lurio eCarla Fracci. Si può fare o è chiedere troppo?