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    BIERHOFF SCOPRE L’ACQUA CALDA: "IN ITALIA NEGLI ANNI ‘90 I GIOCATORI SI PAGAVANO IN NERO" - L’EX BOMBER DI UDINESE E MILAN, ORA DIRIGENTE DELLA FEDERCALCIO TEDESCA, A 'T-ONLINE': “QUANDO SONO ARRIVATO NEL ’91 GIRAVANO TANTISSIMI SOLDI A NERO NELL’ECONOMIA DEL CALCIO. LA POLITICA POCO DOPO HA MESSO UN FRENO. OGGI IL PROBLEMA NON SONO I CAMPIONI SUPERPAGATI, MA LA MEDIOCRITÀ PAGATA TROPPO”


     
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    Da ilnapolista.it

     

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    Il direttore delle squadre nazionali della Federcalcio tedesca, la DFB, è Oliver Bierhoff, ex capocannoniere della Serie A e bomber del Milan scudettato di Zaccheroni. In un momento in cui la Germania si ritrova a vestire il ruolo di pioniere del calcio post-Covid Bierhoff affronta in una lunga intervista a T-online.de il tema tanto abusato della grande industria del pallone. Che deve cambiare, modificare i parametri di spesa, programmare il futuro. E ricorda il passato, quello italiano, in cui il calcio faceva molti dei suoi affari “a nero”.

     

    “Discutiamo già dal 1990 di commissioni per i trasferimenti troppo elevate, mi ricordo il dibattito sugli stipendi che prendevano in Italia Lothar Matthäus o Andreas Brehme. Quando sono arrivato io in Italia nel 1991, giravano tantissimi soldi a nero nell’economia del calcio. Ma la politica poco dopo ha messo un freno. La maggior parte dei salari dei calciatori è diminuita del 50% in pochissimo tempo. Eppure i giocatori erano contenti lo stesso”.

     

     

    Anche adesso che c’è la crisi, dice Bierhoff, “tutti vogliono solo ottenere un pezzo in più della torta. Invece dovremmo discutere di come ridurre le commissioni, gli stipendi o i consulenti, ad esempio. Ma avrebbe senso solo in termini a parità di concorrenza, con scelte a livello europeo”.

     

     

     

     

    Anche perché per la gente comune il calciatore è sempre di più un ricco spendaccione.

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    “Non penso che lo stipendio elevato sia il problema dei tifosi, per quanto paradossale possa sembrare. Messi, Cristiano Ronaldo o Jo Kimmich non sono il problema. Alla gente piacciono, comprano le loro maglie e vanno allo stadio grazie a questi giocatori. Il problema è la massa di mediocrità che nuota attorno a questa attrazione ed è “pagata in eccesso”.

     

    Bierhoff interverrebbe sulle “discrepanze finanziarie tra la Champions League e i campionati nazionali, a volte anche tra campionati nazionali. In Germania siamo più avanti dal punto di vista della redistribuzione sociale. Ma se i club hanno l’obiettivo di raggiungere la Champions League il rischio finanziario che si assumono è molto elevato”.

     

    Un pezzo dell’intervista riguarda i giovani e descrive molto bene l’attenzione alla programmazione che hanno in Germania.

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    “La formazione dei giovani talenti crescerà di importanza. Le conseguenze economiche della crisi sono enormi, quindi i club dovranno salvarsi così. Come DFB sto lavorando con le squadre nazionali e come direzione dell’Accademia per fare in modo che i migliori calciatori europei giocheranno in Germania tra cinque o dieci anni. E per fare questo puntiamo sempre di più sull’individualità nell’allenamento migliorando il coaching individuale, la promozione della creatività e la trasmissione di valori chiari. Negli ultimi anni ci siamo concentrati troppo sulla tattica”.

     

    “Per quanto paradossale possa sembrare, è stato utile per i giovani giocatori scendere dalla ruota del criceto del calcio competitivo per due o tre mesi. È importante come hanno utilizzato il tempo, allenandosi individualmente, sviluppando punti di forza ed eliminando le debolezze. Nell’allenamento tattico di gruppo, questo non è sempre così facile”.

     

    E per farlo l’approccio è scientifico:

     

    “Per esempio ora stiamo studiando il Liverpool: come fanno a vincere una partita ogni tre giorni con tensioni così elevate e uno stile di gioco così intenso? Ovviamente ci aiuta il buon rapporto con Jürgen Klopp e la nutrizionista del Liverpool Mona Nemmer. Possiamo utilizzare i fatti scientificamente provati per la nostra pratica quotidiana”.

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