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    'PRENDEREI A CALCI IN CULO QUEI TENNISTI CHE PENSANO DI AVERE INVENTATO IL MONDO: STAI A GIOCARE CON UNA PALLA, IN MUTANDE. TE RENDI CONTO?''. UN PANATTA SCATENATO - IL "MATTO CALMO” BORG, WIMBLEDON E I TROFEI PERSI : “IL TENNIS?UNO SPORT PER NEVROTICI, L’HA INVENTATO IL DIAVOLO – IO SCIUPAFEMMINE? MA DE CHE?” - "LOREDANA BERTE QUANDO STAVAMO INSIEME MI PRESENTO’ UNO SCIROCCATO VESTITO DA MARZIANO: ERA RENATO ZERO – UN ALTRO COME ME? SPERO NASCA PRESTO. COSÌ FINITE DI CHIEDERMELO”


     
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    Gaia Piccardi per il Corriere della Sera

     

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    « Ti confesso un segreto: non abbiamo mai vinto la Coppa Davis. Parliamo d' altro?». Dietro la nuvola della sigaretta («Guai a te se scrivi che è l' ennesima: non ne fumo neanche un pacchetto al giorno...»), sotto il ciuffo morbido che pare appena atterrato da una di quelle veroniche che mandavano in sollucchero le folle, occhieggia l' ironia soave dell' uomo chiamato tennis, il figlio di Ascenzio custode del Tc Parioli diventato Adriano Panatta nella ruggente - e irripetibile - estate 1976, quella del triplete : Roma, Parigi, la Davis.

     

    Quarant' anni trascorsi a raccontare che sì, la squadra italiana capitanata dal c.t.

    Pietrangeli nel crepuscolare Cile ostaggio della dittatura ci voleva andare e che no, le roventi polemiche e la melina del governo Andreotti non avevano spento gli entusiasmi di quel gruppo di venticinquenni in piena tempesta ormonale; che sì, la maglietta rossa indossata nel doppio con Bertolucci era una provocazione diretta a Pinochet e che no, nella bolla di terra rossa di Santiago gli orrori del colpo di Stato non erano penetrati. Però, se da otto lustri gli chiediamo le stesse cose è anche un po' colpa di questo totem arrotondato dal tempo («Ho perso sette chili, vado avanti»), fedele da 66 anni al ricordo di sé e alla seria leggerezza con cui ha risposto, con la fedele Wip di legno nel pugno destro baciato dagli dei, una per una, alle domande della vita.

    PANATTA BERTOLUCCI PANATTA BERTOLUCCI

     

    Bevuto il caffè, scaldati i ricordi, si gioca. Ed è piacevolissimo scambiare da fondo con quel che resta dell' icona anni Settanta, per nulla scalfita dalle rughe intorno agli occhi. Batto io. Servizio in slice: Bjorn Borg. Risposta piatta: «Un matto calmo. Serissimo quando giocava, un pazzo totale fuori. Ci stiamo simpatici, senza sapere perché, da quando lo battevo al Roland Garros. Mi diverto a insultarlo: Bjorn, non sei mai stato capace... E lui ride, ride moltissimo».

     

    Dritto incrociato: Loredana Bertè. Qui, lui scende a rete: «È il '72 o il '73, non ricordo. Stiamo insieme. Vieni, ti presento un amico, mi dice. Arriviamo in Cinquecento a Piazza Venezia. Sotto il balcone del Duce c' è uno sciroccato vestito da marziano: stivali, tuta, mantello... È Renato Zero». Panatta è l' unico uomo di cui la Bertè, nella sua dolorosa e feroce e disperata biografia, parli bene. Si stupisce. «Davvero? Mi fa piacere. Loredana con me è sempre stata carina». Tentativo di passante: confessa, la leggenda di sciupafemmine era vera? La volée di Adriano è un ricamo: «Ma de che ?».

     

    PANATTA PIETRANGELI PANATTA PIETRANGELI

    I nipoti, la noia e Villaggio Vive a Treviso con la nuova compagna, però il tennis rimane il primo amore. Va ancora in campo, con adulti e bambini («Li preferisco: non sono guasti come noi»), e sarebbe disposto a mollare tutto a un cenno di Adrianino, 5 anni, primo figlio di Rubina bella come mamma Rosaria: «Alla racchetta preferisce la mini-moto. Il suo idolo è Valentino Rossi, altro che il nonno...». Dice di non avere paura di nulla, tranne che dello spleen della noia. «Con Paolo Villaggio siamo grandi amici: oltre che essere un uomo di cultura mostruosa e intelligenza straordinaria, sa sempre sorprendermi». Ecco perché l' unico tennista per cui è disposto a spendere qualche ora davanti alla tv è quel genio di Roger Federer, dono della Svizzera all' umanità secondo solo al cioccolato:

     

    panatta loredana berte panatta loredana berte

    «Il tennis non fa bene, l' ha inventato il diavolo. Facci caso: è uno sport per nevrotici. Federer è, semplicemente, quello che gioca meglio di tutti. Alla mia età, sa ancora stupirmi. Mi piace che sia un bravo ragazzo, uno che quando ti incontra saluta, e mi piace la sua amicizia con Rafa Nadal». Del tennis italiano attuale parla prima malvolentieri («Finché ero direttore tecnico della Federazione sapevo, ora ho perso i contatti»), poi non lo fermi più. «Sento un' enfasi immotivata per vittorie rare e normali. Io avevo l' esempio di Belardinelli, un maestro, e a Formia lavoravo con gente che di tennis ne capiva. Oggi vedo moltissimi bambini impostati come Nadal, uno che gioca difficile. Sbagliatissimo: ai giovani vanno insegnate le cose facili. Il nostro bagaglio tecnico non è quello degli spagnoli: è un fatto di cultura».

     

    Se gli chiedi che fine hanno fatto coppe e trofei, strizza gli occhi come controsole. Poi ride di gusto: «Non ho più niente. Roma? Persa. Parigi? Persa...». E la Coppa Davis, premesso che non l' avete mai vinta? «Mah, ho visto che Bertolucci a casa ce l' ha...». La tua? «Boh». L' idea di diventare un uomo-vetrinetta con un salotto-museo lo fa inorridire: «Piuttosto la morte!».

    loredana berte panatta mia martini loredana berte panatta mia martini

     

    Proprio per non correre il rischio di trovare la quotidianità stucchevole, da quella buona forchetta che è ha assaggiato anche la politica: consigliere comunale nella giunta Rutelli (1997). «Vedere Roma ridotta così, fa male. È vero che è una città difficilissima da governare: solo il Tuscolano è grande come Firenze, cento comuni, una provincia sconfinata... Se non fossi stato all' estero, per il sindaco avrei votato Giachetti, che è un amico. La Raggi? Il problema è che non mi convince più nessuno, figurarsi i 5 Stelle. Non li capisco e non credo nella Rete».

     

    Wimbledon e altri rimpianti Rifaresti tutto? «No». Sbuffa fuori fumo e qualche rimpianto. «Avrei dato più importanza a Wimbledon. L' ho sempre considerato uno scherzo: non lo è. Nel '79 ho perso ai quarti con Du Pré e non me lo perdono: la più grande cazzata della mia vita. Avrei potuto vincere di più, certo, però fa parte del mio essere: non potevo essere serio come Lendl, sennò mi sparavo».

     

    La follia più grande? «Correre in offshore». Hai più amato o sei più stato amato? «Amare è un parolone. Se succede 2-3 volte nella vita, è già tanto. Ho molto voluto bene, ecco. Sono protettivo con le donne, anche nell' amicizia». Cosa odi? «La mancanza di rispetto. E chi si prende troppo sul serio». L' hai mai fatto? «Non è nel mio carattere, impazzirei. Certi tennisti che si credono di avere inventato il mondo li prenderei a calci nel culo. Stai a giocare con una palla, in mutande. Ma te rendi conto?». Adriano, ma quando ne rinasce un altro come te? «Spero presto. Così la smettete di chiedermelo».

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