Da www.occhidellaguerra.it
Il 2019 , secondo molti esperti, sarà caratterizzato dall’incertezza. Incertezza politica, ma soprattutto economica, che, secondo gli analisti di Agi, sarà dovuta in particolare a sette grandi “osservati speciali” dell’anno che sta arrivando.
brexit
Brexit
La Brexit rappresenta sicuramente uno dei grandi nodi da sciogliere di questo 2019. E il 29 marzo potrebbe essere l’epilogo di due anni e mezzo di trattative serrate, di crisi politiche e di grandi incertezze che Theresa May non è riuscita ancora a definire. L’accordo raggiunto fra Londra e Bruxelles attesta la volontà di entrambe le parti di giungere a una conclusione negoziata evitando lo sparacchio del “no-deal“. Ma i dubbi restano, sia in sede europea che in sede britannica. E il voto di gennaio del Parlamento del Regno Unito sarà decisivo.
Il governo conta su una maggioranza risicata e inaffidabile. La premier si regge sui voti del Partito unionista dell’Irlanda del Nord, il Dup, che con i suoi 10 rappresentanti rappresenta l’ago della bilancia. Il problema è che sono proprio loro i primi a respingere l’accordo sulla Brexit siglato fra Gran Bretagna e Unione europea. Troppe le incertezze sulla condizione futura dell’Irlanda del Nord. E il regime del backstop accordato con Bruxelles lascia troppi dubbi sulla sovranità di Londra in Ulster. Il Dup non vuole che ci siano condizioni diverse fra Irlanda del Nord e le altre parti del Regno. E vuole avere chiarezza sulla questione doganale e sul confine con la Repubblica d’Irlanda.
LONDRA - MANIFESTANTI CONTRARI ALLA BREXIT
E a queste incertezze nord-irlandesi, si aggiungono i ribelli conservatori, in particolare quelli legati all’ala più oltranzista della Brexit. Il piano concordati fra Londra e Bruxelles non convince i brexiters più intransigenti. E quindi il governo si trova tra i fuochi dei sostenitori della hard Brexit e chi invece vorrebbe un nuovo referendum. Una situazione incandescente e con scenari imprevedibili. In attesa che alle 23:00 del 29 marzo, il Regno Unito non farà più formalmente parte della Ue. Forse.
Bce: fine del Qe e del regno di Draghi
draghi euro
Dal 1° gennaio 2019, la Banca centrale europea metterà fine al Quantitative Easing, il programma di acquisti netti di bond avviato nel 2015. Grazie a questo sistema, la Bce ha accumulato 2.600 miliardi di titoli del debito pubblico e di corporate bond. La Bce ha assicurato che la sua politica non cambierà in maniera netta. Come riporta Rai News, “il consiglio direttivo intende infatti ‘continuare a reinvestire, per intero, i principali pagamenti derivanti dalla maturazione dei titoli’ acquistati nell’ambito del programma ‘per un periodo di tempo prolungato’ oltre la data in cui prenderà il via il rialzo dei tassi di interesse e “in ogni caso per il tempo necessario a mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio grado di accomodamento monetario'”. E l’aumento dei tassi d’interesse non inizierà prima dell’estate.
MARIO DRAGHI ALLA BCE
Nel frattempo, il 2019 sarà anche caratterizzato dalla corsa al successore di Mario Draghi. A ottobre del 2019 scadrà il mandato dell’italiano, in carica dal 2011. E la sensazione è che al suo posto ci saranno o un tedesco o un francese, con Berlino e Parigi che già iniziano a spartirsi i posti di potere in Europa in attesa delle elezioni di maggio, che potrebbero investire come un uragano la composizione dell’Europarlamento.
Elezioni europee
Tra il 23 e il 26 maggio 2019 i cittadini dell’Unione europea saranno chiamati a votare per eleggere i propri rappresentanti al Parlamento europeo. Saranno 705 i deputati eletti nel 2019. E secondo le analisi e i risultati delle elezioni avvenute di recente nei vari Stati membri dell’Ue, la prossima legislatura sarà caratterizzata da una forte componente euro-critica.
Le elezioni europee di maggio 2019 saranno probabilmente una data spartiacque per il futuro dell’Unione europea. Mai come questa volta i partiti euro-scettici appaiono in ascesa. E mai come questa volta, i movimenti più profondamente europeisti appaiono in netto calo. C’è una perdita di consenso che caratterizza tutti i leader più europeisti, da Emmanuel Macron ad Angela Merkel. Mentre i sovranisti sembrano in grado non solo di rappresentare la terza (se non la seconda) forza del Parlamento europeo, ma anche di bilanciare verso “destra” anche il Partito popolare europeo.
Dall’esito della contesa emergerà la composizione del Parlamento europeo dei prossimi cinque anni. E il futuro dell’Eurozona dipenderà anche da questo voto, che potrebbe essere davvero decisivo per le sorti dell’impalcatura europea.
Cina-Usa: sarà guerra commerciale?
La tregua commerciale concordata fra Stati Uniti e Cina a Buenos Aires, nel corso del G-20, durerà 90 giorni. L’obiettivo di Donald Trump e Xi Jinping è quello di arrivare in tre mesi a un accordo-quadro che eviti l’esplosione di un conflitto commerciale su vasta scala.
Lo scorso 10 dicembre, tra Pechino e Washington c’è stata una telefonata importante. Il segretario al Tesoro americano Steven Mnuchin, il rappresentante al Commercio, Robert Lighthizer, e il vice premier cinese, Liu He, hanno dato il via ai negoziati per la pace commerciale.
Nella lunga conversazione telefonica, gli Stati Uniti hanno confermato che il primo gennaio non ci sarà il rialzo dei dazi al 25% ipotizzato su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi. Da parte cinese, invece, si è affermata la disponibilità a rivedere il piano industriale Made in China 2025.
Nel frattempo, Pechino e Washington hanno continuato la loro guerra a colpi di arresti, minacce e tweet. L’ultimo episodio, quello dell’arresto di Meng Wanzhou, direttore finanziario di Huawei e figlia del fondatore Ren Zhengfei. L’accusa è di aver violato e contribuito a violare le sanzioni contro l’Iran. Qualche giorno dopo, Meng è stata rilasciata, ma la Cina ha arrestato un diplomatico del Canada, forse per ritorsione . E le trattative sulla pace commerciale sembra molto lunghe e non prive di incertezze.
PRIMO GIORNO DI MARIO DRAGHI ALLA GUIDA DELLA BCE
La guerra fra Trump e la Fed sui tassi
Nel 2018, la Federal Reserve ha ritoccato per ben quattro volte i tassi d’interesse per una strategia di “normalizzazione” della sua politica monetaria. Una piano che Trump considera totalmente nefasto, a tal punto che ha avviato una vera e propria campagna mediatica contro la banca centrale americana, accusata dal leader della Casa Bianca di essere “l’unico problema dell’economia” degli Stati Uniti. Parole pesanti che gettano un’ombra su tutto il futuro monetario americano.
Per adesso, la Fed ha dichiarato che nel 2019 sono previsti due rialzi dei tassi d’interesse. Una marcia indietro rispetto ai tre previsti da Jerome Powell. Ma i mercati hanno comunque reagito male: una serie di crolli di Wall Street, con ripercussioni gravi sugli altri listini mondiali, rafforzati dalla paura di un rallentamento dell’economia mondiale.
Il prezzo del petrolio
Sul futuro dell’economia pesano anche i grandi dubbi sul prezzo del petrolio. Il valore del barile di greggio è sceso in maniera vertiginosa: da ottobre a dicembre si registra un calo del 30%. Sui prezzi pesano in particolare tre fattori: l’eccesso di rifornimenti, le incertezze sull’economia globale, la volontà degli Stati Uniti di mantenere i prezzi bassi per agevolare l’economia interna e colpire i Paesi esportatori rivali.
trump xi
I Paesi Opec e quelli loro alleati ma esterni all’organizzazione (in particolare la Russia) hanno deciso un taglio della produzione. Ma l’Arabia Saudita è profondamente indebolita dal caso Khashoggi e Mohamed bin Salman sa che per sopravvivere può contare solo sulla Casa Bianca. E sulla Russia, che però ha interessi contrapposti a quelli americani.
I mercati dubitano delle capacità di Opec+ di incidere veramente sui prezzi. Inoltre, a novembre è iniziato il blocco Usa delle esportazioni di petrolio iraniano. Ad alcuni Paesi, come l’Italia, è stata concessa un’esenzione di sei mesi, sulle sanzioni. Ma nel 2019 scade: e dagli Stati Uniti hanno già detto che non ci sarà alcuna proroga. Secondo gli esperti, il prezzo continuerà a scendere:e i rischi sull’economia globale sono enormi.
L’economia globale rallenta
Tutti i principali osservatori economici ritengono che nel 2019 possa esserci un nuovo rallentamento dell’economia. Le incertezze descritte sopra potrebbero colpire in manierasensibile la crescita di alcuni Paesi, facendo crollare anche le poche certezze post-crisi.
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Il Fondo monetario internazionale ha già stimato una crescita globale del 3,7%. Il Fmi ha rivisto al ribasso le sue previsioni, visto che pochi mesi prima si parla di un 3,9%. Altri analisti addirittura prevedono una crescita globale del 2,9%: e i più pessimisti credono che le mine vaganti descritte in precedenza possano anche far crollare le già magre previsioni.
I mercati danno già segnali di tensione. Le borse temono in particolare lo spettro della recessione sull’Europa. E l’Italia non è esclusa da questo gioco, visto che è già sotto la lente d’ingrandimento di molte agenzia di rating.
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