Giorgio Romeo per “la Stampa”
Orchestrina Jazz
«Sono stato obbligato a dare al capo 50 dollari e al resto 10 di premio, con un risarcimento di 8 dollari alle mogli, altrimenti non sarei riuscito a ingaggiare nessuno». Con questa lettera, datata 28 febbraio 1805, il capitano dei Marines John Hall, racconta l'assunzione di una ventina di musicisti siciliani da far confluire nella «Marine Band», la banda favorita del presidente degli Stati Uniti.
Questo il cuore della ricerca del professor Francesco Martinelli, direttore dell' archivio Arrigo Polillo di Siena Jazz, recentemente presentata all'Università di Catania in un evento organizzato da Catania Jazz per promuovere l'apertura (in collaborazione col Centro Etneo Studi Musicali) di una scuola di musica a Picanello, quartiere popolare della città siciliana.
BUSTO DI THOMAS JEFFERSON REALIZZATO CON STAMPANTE TRE D
L'ERA JEFFERSON
«La musica è la passione della mia anima, ma il fato mi ha fatto nascere in un paese in uno stato di deplorevole barbarie». Il terzo presidente Stati Uniti, Thomas Jefferson, fu un grande appassionato di musica, ma il Paese da lui guidato a inizio Ottocento non poteva ancora vantare una banda militare moderna, come quelle delle nazioni europee. Sebbene quella dei Marines fosse definita «The President's Own», era formata secondo i canoni settecenteschi: con pifferi e tamburi. «Non sorprende dunque - spiega Martinelli - che nel 1803 il Presidente abbia chiesto al comandante dei Marines di reclutare dei musicisti per incrementarne il livello».
Venerando Pulizzi
In questo periodo gli Usa sono impegnati nella loro prima guerra «esterna»: quella contro i berberi nel Mediterraneo e si assicurano l'appoggio del Regno delle due Sicilie con l'uso dei porti siciliani. A Catania il capitano John Hall rimarrà molto colpito dal talento di alcuni musicisti locali decidendone l'ingaggio per la banda dei Marines.
IL VIAGGIO
Sulla fregata President s'imbarcheranno intere famiglie: il direttore Carusi con i suoi tre figli (Samuele di 10 anni, Ignazio di 9 e Gaetano di 8), Francesco Pulizzi col fratello Felice e i nipoti Venerando (12 anni) e Giacomo (10) oltre ai Sardo, Lauria, Di Mauro, Guarnaccia, Papa, Paternò e Signorello. «Sarà un viaggio molto avventuroso - spiega Martinelli - e i musicisti verranno perfino chiamati ai cannoni al largo di Tripoli».
Charlie Watts suona presso Ellington Jazz Club
L'arrivo a Washington non sarà meno turbolento, sia per le condizioni della città (all'epoca poco più di un accampamento militare) sia perché nel settembre 1805 il nuovo comandante dei Marines decide che Carusi non sarà più il direttore della banda. Nonostante questo nel 1806 gli italiani verranno integrati nella «Marine Band», ma molti ne usciranno ancor prima della scadenza del contratto.
LA NASCITA DEL JAZZ
Il musicista a fare la migliore carriera fu Venerando Pulizzi, che rimase nella banda per 21 anni e la diresse nel 1816 e dal 1818 al 1827. Ma cosa accadde a coloro che la lasciarono? «Gaetano Carusi - racconta ancora il docente - dopo un tentativo di rientro in Sicilia, trasformò un vecchio teatro nel "Carusi Saloon" di Washington e i suoi figli furono importanti clarinettisti. Uno di questi, Samuel, finì al centro di un celebre caso legale per il copyright del brano Old Arm Chair» .
iUMBRIA JAZZ mages
Come spiega Martinelli, nel corso dell'Ottocento le «Italian band» ebbero un ruolo molto importante. «Ad esempio il piemontese Conterno dirigeva la banda della flotta del Commodoro Matthew Perry durante la spedizione in Giappone del 1853 e suo figlio Luciano diresse la Banda della Marina».
Con l'arrivo della Ellery Band, poi, inizia la cosiddetta «invasione italiana», preludio alla nascita del jazz. «Durante la guerra di Secessione - conclude lo studioso - molti afroamericani furono arruolati dall'esercito nordista venendo a contatto con le bande militari e con strumenti come il tamburo rullante e la tromba». Il resto, e ciò che accadde a New Orleans, è storia.