Viviana Mazza per il “Corriere della Sera”
AMANPOUR
Il cartello sulla porta dell’ufficio di Christiane Amanpour a Londra dice: «Prohibit entrence with weapon» («Proibito entrare armati», in inglese sgrammaticato). Viene dall’Afghanistan, dono di John F. Burns del New York Times , il decano dei corrispondenti di guerra. Con incedere militare, pantaloni e giacca con le spalline di pelle, la corrispondente-internazionale-in-capo della Cnn avanza nell’ open space , gira la chiave nella porta, ci appende dietro un completo Armani (ha una festa dopo il lavoro) e appoggia il «lunch box» salutista (pollo e verdure) accanto al computer. Infine si siede dietro la scrivania e annuncia, cordiale ma perentoria, che abbiamo 15 minuti. Poi possiamo seguirla alla riunione di preparazione del suo programma Amanpour .
Da ragazza Christiane — nata in Inghilterra, studi universitari in America ma cresciuta a Teheran da padre musulmano iraniano e madre cattolica britannica («Io sono un’immigrata», precisa) — voleva fare il dottore. D’altronde «un medico del pronto soccorso è spesso come un giornalista al fronte. Non è uguale, loro hanno delle vite in mano, ma noi abbiamo la verità, la guerra e la pace».
mattarella alla cnn con la amanpour
Ora dopo tanti anni, spera di aver conquistato la fiducia della gente, un po’ come un medico con i pazienti. «Una volta mi dispiaceva quasi quando giovani come te mi dicevano di avermi vista in tv dall’età di due anni. Pensavo: sono davvero così vecchia? Ma la gente è cresciuta con me, si è creato un livello di familiarità, e spero che si rendano conto che quel che ho dato loro è una buona parte della mia vita, lasciando la mia famiglia e andando nei posti più pericolosi del mondo per raccontare la storia: questo per me è l’essenza del giornalismo».
Le verità scomode
Se la guerra del Golfo nel 1990 proiettò sia lei che la Cnn sulla scena mondiale, è la guerra in Bosnia a costituire un termine di paragone ricorrente quando Amanpour parla delle crisi attuali. «Sono cresciuta cattolica, con una madre molto forte e molto chiara su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. E quando mi sono trovata in Bosnia, ho capito che si trattava di uno scontro tra il Male e le vittime. Ero giovane allora, ma sapevo che stavo dicendo la verità e che la verità era scomoda: i serbi, che appoggiavano i serbo-bosniaci, stavano facendo una pulizia etnica. Era una verità scomoda per l’alleanza occidentale che non voleva intervenire, perciò lasciavano che sembrasse che tutte le parti fossero ugualmente responsabili.
MATTARELLA AMANPOUR
Ed era una verità che non piaceva alla Russia e alla Serbia che ci accusavano di essere di parte. Adesso stiamo vedendo la stessa cosa, anche se in modo diverso perché non c’è una pulizia etnica, ma c’è un grosso Paese che inghiotte un piccolo Paese: è quello che la Russia ha fatto in Crimea e in Ucraina orientale».
Lontana dalla famiglia
Diciassette anni fa, a 40 anni, Amanpour si è sposata in Italia (con rito cattolico e subito dopo ebraico) con James Rubin, assistente del segretario di Stato Usa ai tempi di Clinton. A Oprah ha raccontato che, dopo aver raggiunto il successo professionale, è scattata nella sua mente la decisione di volere «una qualche felicità e soddisfazione personale» e nel giro di sei mesi, ha conosciuto Jamie. «È vero — conferma — quando ho aperto la mia mente, è arrivata l’opportunità. Forse, se lo avessi fatto due o tre anni prima le cose sarebbero andate diversamente ma non ero pronta».
christiane amanpour
Incinta del figlio Darius, all’inizio diceva che tutto sarebbe rimasto uguale, che l’avrebbe portato con sé al fronte. «Cose che si dicono, falsa spacconeria… O forse lo pensavo veramente? Non so come avrei potuto, vado nei posti peggiori...». La consapevolezza che la maternità stava cambiando tutto è arrivata quando Darius aveva 18 mesi e lei, dopo l’11 settembre, era stata costretta a partire. «È stata un’agonia, un dolore straziante. Sono stata via per tre mesi, ma ogni due settimane tornavo, anche solo per poco».
Può una corrispondente di guerra essere una buona madre? Fu la domanda dei tabloid inglesi quando Alex Crawford di Sky News , madre di 4 figli, entrò a Tripoli con i ribelli anti-Gheddafi. «Non viene mai posta agli uomini. Eppure le preoccupazioni delle donne e degli uomini di questa generazione sono le stesse. La mia risposta è sì, una corrispondente di guerra può essere una buona madre. La maternità, certo, ha cambiato le mie priorità e sono diventata molto più attenta nel calcolare i rischi. Viaggio ancora, ma adesso non andrei in Siria per esempio. Mio marito ha lasciato il dipartimento di Stato quando nostro figlio è nato, ha passato molti mesi a casa con lui». È importante, spiega, anche avere una mamma che lavora. «Mio figlio vede che abbiamo in carico la maggior parte delle faccende domestiche e quindi lavoriamo il doppio!»
AMANPOUR JAMES RUBIN
L’uniforme da lavoro
Più tardi, in riunione si parla di tutto, da Putin a Bill Cosby, ma Amanpour trova il tempo di complimentarsi con una giovane collega per la «bellissima camicetta». Il Financial Times due anni fa l’ha intervistata sul suo look, spiegando che Christiane è una delle poche donne «abbastanza sicure della propria intelligenza e posizione da parlare senza problemi di abbigliamento». «Ho sempre avuto un mio stile che chiamo il mio uniforme da lavoro. La regola è apparire presentabile ed essere pratica. Nessuno mi ha mai criticata per aver parlato di moda, ma so che le molte donne patiscono un doppio standard. Non importa quanto sei competente, il modo in cui sei vestita può essere la prima cosa di cui scrive la stampa. Prendi Amal Clooney: è un’avvocata di successo, ma si discute assai più del suo look che dei suoi casi».
AMANPOUR JAMES RUBIN
Con la sua caratteristica giacca Beretta da caccia, Amanpour è apparsa nei panni di se stessa anche su «Gilmore Girls», per consigliare alla protagonista, aspirante giornalista: «Entra in campo, mostra quel che hai, e il resto verrà da sé». Il suo tweet più popolare? È su suo padre, Mohammed, che a ottobre ha compiuto 100 anni. «Ma uso Twitter con giudizio e non parlo sempre di me. Anzi, lo faccio raramente».
AMANPOUR JAMES RUBIN