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    CI VOLEVA UNA MADRE PER FERMARE I CRIMINALI DELLA GANG “MARA SALVATRUCHA” - UNA DONNA SALVADOREGNA HA RICONOSCIUTO IL FIGLIO NEL VIDEO DELL’OMICIDIO DEL 18ENNE ALBERT DRENI, AVVENUTO A MILANO IL 3 LUGLIO SCORSO, E LO HA DENUNCIATO: LA POLIZIA LO HA ARRESTATO CON ALTRI SEI COMPAGNI


     
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    Elisabetta Andreis e Gianni Santucci per il “Corriere della Sera”

     

    GUERRA TRA GANG LATINOAMERICANE A MILANO GUERRA TRA GANG LATINOAMERICANE A MILANO

    Nel primo pomeriggio del 15 luglio scorso una donna salvadoregna cammina sul marciapiede assolato di via Fatabenefratelli. Entra nell' alto portone della questura e si trova davanti al corpo di guardia. «Devo raccontare alcune cose sul ragazzo morto ieri sera». Pochi minuti dopo, si siede in una stanza della Squadra mobile. E mette a verbale: «Questa mattina, in Internet, ho visto il video di un' aggressione avvenuta domenica 3 luglio presso una fermata del tram a Milano» (quel giorno Albert Dreni, albanese, 18 anni, un ragazzo tranquillo e perbene, era stato assalito da una gang di giovani sudamericani, quattro coltellate al petto, una gli aveva squarciato il cuore).

     

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    Di fronte agli investigatori, la donna è molto scossa, fa fatica a parlare. Ma continua: «Guardando quel video ho riconosciuto mio figlio (un ragazzino di 17 anni, nato in Salvador, ndr), all'interno del gruppo coinvolto nella lite ripresa dalle telecamere. Mio figlio, nel video, è quello con la maglia a maniche corte blu; è la persona che si vede entrare all' interno del tram ed insieme agli altri, poco dopo, riuscire e picchiare qualcuno».

     

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    Quel «qualcuno» è Albert, aggredito vicino alla discoteca «Lime Light», in via Castelbarco: morirà dopo 11 giorni di agonia. Ieri i poliziotti della seconda sezione della Squadra mobile hanno arrestato il figlio di quella donna, con altri 2 minorenni e 4 maggiorenni, giovani tra i 17 e i 22 anni, tutti «osservati»: aspiranti al pieno inserimento nella gang MS13. Ci sono storie di una persona sola, come il dramma umano di questa donna, la sua disperazione e il suo coraggio, che raccontano però fenomeni molto più ampi, in questo caso una delle grandi fratture dell' immigrazione.

     

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    A Milano, come a Genova, vivono migliaia di donne arrivate dal Salvador, dall' Ecuador, dal Perù, che hanno lavorato anni in Italia per dare un futuro migliore ai propri figli, e che spesso si sono ritrovate sole perché i padri se ne sono andati. Ogni giorno, dal momento in cui sono riuscite a farli venire in Italia, quelle donne vivono nel terrore latente che i loro figli si perdano nelle pandillas , i gruppi di strada che replicano quelli del Sud America e che a Milano hanno ormai una storia di sangue che conta sei morti in una decina d' anni (ieri è stato sequestrato anche un machete che sarebbe stato usato nel giugno 2015 nell' aggressione a un capotreno che rischiò di perdere il braccio).

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    Quel pomeriggio del 15 luglio, in questura, la donna aggiunge: «Dopo aver visto il video, ho chiesto a mio figlio se effettivamente fosse lui la persona coinvolta. Mi ha risposto di sì. Poi è uscito di casa». I poliziotti della Seconda sezione della Mobile, guidati dal dirigente Lorenzo Bucossi e dal funzionario Paolo Lisi, seguivano da oltre un mese quel ragazzino e i suoi compagni.

     

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    Nel corso dell' indagine, condotta dal pm Luca Poniz e dall' aggiunto Riccardo Targetti, hanno registrato una telefonata che racconta la sofferenza anche di una seconda madre (pure il suo ragazzo ha 17 anni). La signora, salvadoregna, viene convocata dalla polizia e il 19 luglio chiede concitata al figlio: «Devo andare adesso in questura. Non sarà per quel ragazzo?» Lui nega: «No, io non c' ero lì». Ieri è stato arrestato anche lui, su richiesta del pm Maria Saracino, della Procura presso il Tribunale per i minorenni, coordinata da Ciro Cascone.

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    I primi due accusati dell' omicidio sono stati già fermati un paio di settimane fa. Quella sera del 3 luglio la violenza del gruppo, erano quasi in 20, esplose feroce e immotivata. Prima si scatenò contro un giovane salvadoregno: «Mi hanno accerchiato e uno di loro - questa è la testimonianza della vittima alla polizia - si è avvicinato con atteggiamento aggressivo e mi ha detto: "guarda che oggi ho sete di sangue e voglio ammazzare qualcuno", poi mi ha chiesto se fossi della "13" o della "18" (gang rivali, ndr ), ma io non appartengo a nessuna banda».

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    Lo accoltellarono lo stesso, con un taglierino. Uscì dall' ospedale con 120 punti. Poi il gruppo si spostò ad attaccar briga su un tram e incrociò Albert Dreni, ucciso mentre cercava di difendere un amico. Aveva da poco trovato lavoro in un vivaio alle porte di Milano.

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