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Sara Grattoggi per “la Repubblica”
«Nel trentatreesimo giorno successivo alla partenza da Cadice arrivai nel mare indiano, dove trovai molte isole con innumerevoli abitanti […] di cui presi possesso in nome del nostro felicissimo re». Così scriveva Cristoforo Colombo nella lettera in cui annunciava ai reali di Spagna la scoperta del Nuovo Mondo.
Una missiva che, come il suo estensore, ma cinquecento anni dopo, ha viaggiato dall’Europa all’America e ritorno. Per riapprodare finalmente, come accadrà nei prossimi giorni, alla biblioteca Riccardiana di Firenze, dove era custodita prima di essere trafugata (ancora non si sa da chi) e sostituita con un falso.
È la straordinaria storia dell’incunabolo che contiene la relazione del primo viaggio di Cristoforo Colombo, ritrovato dopo quattro anni di indagini internazionali nella biblioteca del Congresso di Washington. Il quale Congresso, una volta appurata la provenienza illecita, l’ha restituito.
Non si tratta, in realtà, dell’originale scritto in spagnolo da Colombo, ma di una traduzione in latino, stampata a Roma in 16 o 18 copie da Stephan Plannck nel 1493. Comunque, un documento di eccezionale pregio storico-archivistico, del valore di un milione di euro.
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Ben più alto, quindi, dei 400 mila dollari con cui un privato (di cui non è nota l’identità) l’aveva acquistato all’asta negli Stati Uniti nel 1992. Nel 1990 la lettera era stata, infatti, venduta in Svizzera a una casa d’asta del settore e così era volata oltreoceano. Dove, dopo la morte del privato, è stata donata alla biblioteca del Congresso.
A svelare la storia di questo eccellente recupero, è stato ieri il comandante dei carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale, Mariano Mossa, insieme al ministro per i Beni culturali, Dario Franceschini, e all’ambasciatore Usa in Italia, John R. Phillips.
Le indagini che hanno portato al ritrovamento della lettera, coordinate da Tiziana Cugini della procura di Roma, sono partite dalla Biblioteca nazionale della capitale. E sono ancora in corso. Perché in realtà le lettere rubate e sostituite con sofisticate riproduzioni sono due, anche se la seconda non è ancora stata rintracciata.
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A scoperchiare il vaso, racconta il generale Mossa, è stata, infatti, una denuncia di furto di antichi volumi partita dalla Biblioteca nazionale di Roma nel 2012. Nulla a che fare con Colombo, ma è indagando fra quegli scaffali che gli investigatori si sono accorti che la copia della lettera del navigatore custodita dalla biblioteca romana poteva essere falsa.
Così, sono partiti i controlli anche sulla copia di Firenze, che hanno permesso di accertare — grazie agli esami condotti dagli esperti del Racis — come entrambe le lettere, molto simili, fossero false: «Riproduzioni fotografiche moderne stampate su carta antica» ha spiegato Mossa.
Per arrivare al recupero, i carabinieri hanno lavorato a stretto contatto con l’Homeland Security Investigation di Wilmington, negli Usa, ma fondamentale è stata anche la conoscenza dei meccanismi illeciti nel traffico di beni librari acquisita in altre indagini, come quella che ha riguardato Massimo De Caro, l’ex direttore infedele responsabile del saccheggio della biblioteca dei Girolamini di Napoli.
Il ritorno della preziosa “Epistola de insulis nuper inventis” in Italia, hanno sottolineato Franceschini e Phillips, è «un fatto simbolico che segna l’amicizia e la totale collaborazione che c’è tra i due Paesi». Resta ancora da capire, invece, chi abbia trafugato e falsificato le lettere.
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Ma anche un altro punto non è chiaro: quando e come sono avvenuti i furti di Roma e Firenze? Il direttore della Riccardiana, Fulvio Stacchetti, è convinto che ladri e falsari non abbiano agito nella sala manoscritti della sua biblioteca: «La nostra lettera è stata consultata pochissime volte e sempre in modo sorvegliato» ha assicurato.
Ricordando però un periodo di quasi un anno, fra il 18 luglio 1950 e il 5 aprile del 1951, in cui il volume che contiene la lettera — una Miscellanea che comprende in tutto 42 incunaboli — fu inviato a Roma, a disposizione della Biblioteca nazionale. Cosa sia avvenuto non si sa, ripete Stacchetti (e gli investigatori non si sbilanciano), «l’unica certezza è che la copia restituita dagli Stati Uniti è certamente quella autentica».
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