Paola De Carolis per il "Corriere della Sera"
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Che diritto ha un serial killer di raccontare la propria storia? È la domanda che si pongono i parenti e gli amici delle vittime di un noto assassino britannico alla vigilia della pubblicazione della sua autobiografia. Il mostro in questione è Dennis Nilsen, il cosiddetto assassino di Muswell Hill, dal nome del tranquillo quartiere residenziale londinese dove tra il 1978 e il 1983 abitò e freddò almeno 12 giovani uomini, tra cui un ragazzo di 14 anni.
Morto nel 2018, Nilsen ha lasciato 6.000 pagine scritte a macchina a Mark Austin, un grafico di 54 anni, padre di due figli, che lo aveva conosciuto attraverso un scambio epistolare cominciato «per curiosità» e che era andato a trovarlo in carcere una settantina di volte. Austin ha trovato un editore e il libro, intitolato History of a Drowning Boy , Storia di un ragazzo annegato, esce questa settimana. Non si tratta di un volume di facile lettura. «Se lo avessi conosciuto bene, probabilmente non gli avrei fatto un graffio», scrive Nilsen della sua prima e giovanissima vittima. «Ma era l'interazione con un corpo maschile passivo che desideravo sino ad arrivare a oltrepassare il confine della logica e della moralità».
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Dal carcere Nilsen aveva a lungo cercato di far pubblicare l'autobiografia ma era stato bloccato negli anni 90 dal ministero degli Interni grazie alla legge che impedisce ai detenuti di trarre profitto dai propri crimini. Non si era arreso e aveva continuato a combattere per vie legali arrivando anche alla Corte europea per i diritti dell'uomo, senza successo. Con la sua morte l'ostacolo ha cessato di esistere. Austin ha assicurato che i proventi per rispetto verranno donati in beneficienza.
il libro di dennis nilsen
Al Sunday Times , diversi parenti delle vittime hanno espresso costernazione. «È come se continuasse a beffarsi di noi dall'oltretomba», ha detto in forma anonima uno di loro. «È uno schiaffo in faccia. Il libro avrebbe dovuto morire con lui». Nilsen sceglieva le sue vittime al pub, le attirava a casa sua, le ammazzava strangolandole e annegandole nella vasca da bagno, spesso seviziandole sessualmente. Seguiva dopo un perverso rituale durante il quale le lavava e rivestiva. Si disfaceva dei cadaveri facendoli a pezzi, bollendoli sui fornelli, bruciando i resti nel giardino di casa o gettandoli nel gabinetto.
È per via degli intasamenti alle tubature - denunciati da lui stesso così come da altri inquilini del palazzo - che venne scoperto il suo truce operato, raccontato tra l'altro di recente anche da una fiction televisiva. Nel libro Nilsen ricorda di essere stato molestato da piccolo dal nonno, una violenza che lo portò a desiderare la morte. Ripercorre gli omicidi senza risparmiare particolari, con logica fredda e coerente. Non nasconde di aver notato la somiglianza tra la carne umana e animale e di aver meditato di darla in pasto al suo cane. L'autobiografia svela inoltre reati che non erano noti ai tempi del processo nonché abusi sessuali nei confronti di un subordinato nel periodo in cui si trovava con l'esercito negli Emirati Arabi Uniti.
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Qual è, allora, l'utilità della pubblicazione? Secondo Mark Pettigrew, criminologo che ha scritto l'introduzione del libro e che nell'arco degli anni ha intervistato Nilsen diverse volte, la possibilità di studiare la mente di un serial killer, «di arrivare al perché delle sue azioni», rende l'autobiografia un documento importante. «La realtà - precisa - è che i serial killer sono all'apparenza persone normali». Nilsen, ad esempio, provava grande affetto per gli animali, in cella ascoltava la radio della Bbc e la domenica leggeva l'Observer . «Riescono a navigare la vita di tutti i giorni senza destare sospetti».
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