Stefano Folli per “la Repubblica”
enrico letta durante il confronto con la meloni
Non è affare di tutti i giorni il caso di un ex presidente del Consiglio che attacca un altro ex premier quasi adombrando la violenza fisica contro di lui. Eppure è successo e qualcuno ne ha concluso che Conte è entrato fin troppo nei panni del capo-popolo: un ruolo che peraltro riesce a interpretare piuttosto bene, arroccato com' è nel suo fortilizio del Mezzogiorno, acclamato come il "papà del reddito di cittadinanza" nonché dell'assistenzialismo più ostentato.
Dal punto di vista elettorale non ha torto, visto che tutti i sondaggi - prima della ghigliottina dovuta alle strane leggi italiane - lo vedevano in rapida risalita. Ora, la zuffa con Renzi non andrebbe presa sul serio perché si tratta della classica scaramuccia in cui ognuno dei contendenti parla al proprio elettorato e cerca un avversario da bastonare. C'è da credere che vedremo altri episodi del genere nel corso di quest' ultima settimana prima del voto, magari con diversi protagonisti. Tuttavia la vicenda in questione va al di là del normale battibecco.
CONTE LETTA
Del resto, lo stesso Renzi è troppo smaliziato per non sapere che non si tira in ballo il responsabile dell'Interno per qualche battuta di cattivo gusto. Se lo ha fatto, se ha telefonato al ministro Lamorgese, non è tanto per le offese ricevute da Conte, quanto perché pensa già al dopo.
Vale a dire, a quello che accadrà da lunedì 27. Sul tavolo ci sono due ipotesi che riguardano il centrosinistra. Nella prima il Pd tenterà di riaprire rapidamente i canali di comunicazione con i 5S di Conte. E stavolta non saranno i pentastellati di Beppe Grillo o dell'ormai sconfitto Di Maio: saranno i nuovi fedeli dell'avvocato, finalmente a capo di un suo partito la cui consistenza valuteremo tra una settimana. Ma che con ogni probabilità avrà un peso tutt' altro che trascurabile nella trattativa.
controdibattito carlo calenda enrico letta giorgia meloni 3
La seconda ipotesi prevede invece un Pd indebolito dal risultato, mentre il binomio Calenda-Renzi si consolida con una percentuale soddisfacente, intorno al 10 per cento. In tal caso "Italia sul serio" potrebbe provare a essere il bastone nella ruota della bicicletta Pd-M5S: con l'ambizione di spostare verso il centro la politica dei democratici. Vero è che Calenda e Renzi continuano a evocare un governo di unità nazionale, non a caso citando Draghi in modi anche inappropriati. Ma questa sembra una posizione di bandiera, messa in campo per non svelare in campagna elettorale il vero obiettivo. Ossia la volontà di inserirsi nell'eventuale crisi del Pd per condizionarne le scelte, ma soprattutto per impedire che si saldi il nuovo patto con i 5S di Conte; ovvero per sfruttare lo spazio lasciato libero da una deriva populista del centrosinistra.
calenda letta
Ne deriva che Conte e Renzi sono incompatibili tra loro in tutti gli scenari post-elettorali. Entrambi guardano al Pd, ma da fronti opposti. Il litigio di oggi, così enfatizzato, serve a segnalare che ognuno coltiva un proprio disegno per il dopo. Non a caso Conte attacca spesso non tanto il Pd, quanto "l'attuale vertice del Pd": ossia Letta, la figura da mettere da parte per riprendere il dialogo con l'ala sinistra del partito. Mentre Calenda e Renzi non perdono occasione per definirsi quali riformatori incompatibili con i populisti ex "grillini".
MATTEO RENZI - ENRICO LETTA
Per cui non sembra plausibile la tesi di chi - ad esempio, Andrea Orlando - suggerisce di ritessere un filo sia con i 5S sia con i renziani. Ovviamente collocando il Pd come punto di equilibrio intorno a cui costruire una larga alleanza. Ma anche questa ha il sapore di un'illusione pre-elettorale.
Dopo il voto si dovrà scegliere una linea per il centrosinistra: o con i 5S o con gli altri. Al momento, se le percentuali saranno quelle che sembrano, Conte pare disporre delle carte migliori. Ma nulla è ancora stabilito. Non fino a quando gli italiani si saranno espressi, domenica prossima.
LETTA FRANCESCHINI 3 letta