Dario Salvatori per Dagospia
dario salvatori parlami d'amore
Sull’ultimo numero di “Donna” Paolo Conti si chiede se “E’ possibile sopravvivere se non si guarda il Festival di Sanremo?”. La domanda è retorica, anche perché ci sono altri 25 milioni di italiani che non guardano il Festival, magari guardano altro, vanno al ristorante, viaggiano, fanno l’amore. Nella metà degli anni Settanta l’appuntamento si era quasi dissolto, basta dare un’occhiata ai vincitori (Gilda, Homo Sapiens, Mino Vergnaghi, ecc.) e la stessa Rai non ci credeva più. Da tre serate, passò ad una serata, non si aspettavano nemmeno le premiazioni ed era il Tg della notte ad annunciare il vincitore, senza riproporre le immagini.
maneskin rush
Conti cita un pezzo di Andrea Laffranchi sul “Corriere della Sera”: “Sanremo è impermeabile al mondo esterno. Anche quello più frivolo delle mode e delle tendenze, non ci entra”. E’ vero che Laffranchi è l’unico bocconiano della sala stampa, ma nel microcosmo refenziale della gara le tendenze entrano eccome. Pure troppo. Fulminacci, Tananai, Colla zio, Rosa Chemical e altri cosa sono? Evergreen, standard, vintage? No, sono cantanti del momento, intercettati dagli ultimi tre direttori artistici impressionati dai loro milioni di like e di streaming, i quali, senza studio, gavetta e talento cercano un posto al sole. E non hanno timore di perdere i loro fans di provenienza. Prendete lo Stato Sociale, gruppo noto per il vasto uso del turpiloquio; poi è arrivato Claudio Baglioni, ha fatto un fischio, e loro erano già là.
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“Il turpiloquio? Noi? Macchè!”. Stesso discorso per i Maneskin. Gli si chiese di ripulire il testo. Rispose Victoria: “Abbiamo vent’anni ma non siamo mica stupidi.”. Testo ripulito. Visto che si proclamano rockers dovrebbero sapere che quando nel febbraio del 1967 i Rolling Stones vennero chiamati per la quinta volta all’”Ed Sullivan Show”, (davanti ad una platea di 140 milioni di telespettatori americani) il conduttore stesso pretese di purgare il testo di “Let’s spend the night together”, Mick Jagger lo rassicurò. Salvo poi cantare il brano in versione integrale. Cosa che non fece Lucio Dalla nel 1971 con la sua”4 marzo 1943” e cosa che non farà quest’anno Madame per il suo pezzo “Puttana”, immediatamente cambiato.
lo stato sociale
Non è nemmeno vero, come aggiunge Paolo Conti, che i testi delle canzoni degli ultimi anni ascoltate a Sanremo, potrebbero essere di oggi ma anche del 1980. Ma nemmeno per sogno. Lo scorso anno un vecchio leone come Massimo Ranieri portò in gara “Lettera di là dal mare” con un testo di Fabio Ilacqua (lui si un autore di tendenza, disciplinatamente fuori dal coro), l’autore di “Occidentali’s karma”, che confezionò la vittoria a Francesco Gabbani nel 2017. Quest’anno a rifare il make-up hanno pensato gli esagerati Cugini di Campagna con “Lettera 22” (una citazione vintage andava inserita), scritta per loro la Rappresentante di Lista, ovvero la coppia Veronica Lucchesi e Dario Mangiaracina.
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Per i cantanti, più che la vittoria o i piazzamenti, ciò che conta e mettere in piedi dei tour estivi, possibilmente decorosi e magari con mezzi speciali. Per tutti noi, ciò che vale la pena guardare non è al centro, ma ai margini. Ci sono incongruenze interessanti a vedere entrambi le parti. Per dirla con Roland Barthes: “Il vecchio binomio romantico del cuore e della testa non ha però realtà se non in un’iconografia di origine oppiacea in cui ci si sbarazza degli intellettuali mandandoli a occuparsi dell’emozione e dell’ineffabile.”
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