Marco Molendini per Dagospia
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Planò dal Bronx nell'Italia dei primi anni Cinquanta, Ivy Nicholson. Alta, occhi verdi, l'aria languida e intraprendente fece strage di sarti (allora non si chiamavano ancora stilisti), principi e intellettuali. A chiamarla era stato Emilio Pucci, la invitò a Capri per la sua boutique alla Canzone del mare e Ivy spopolò dovunque. Girava nelle case di moda, a via Veneto, a via Margutta.
Alla sua corte aristocratici della prima dolce vita come Pepito Pignatelli, Dado Ruspoli, Franco Mancinelli, intellettuali come Longanesi e Moravia, perfino registi come Luchino Visconti che la prese per Senso e Citto Maselli per Gli sbandati. Una meteora che faceva girare la testa. Poi Ivy prese il volo per la dolce Francia, la Parigi di Christian Dior e Givenchy, finì sulle copertine di Harper's Bazar, Elle, Vogue: la prima top model di fama mondiale.
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Corteggiatissima, si divertiva senza misura. Amava la bella vita, gli ozi e vizi, gli uomini dal sangue blù (alla fine ne ha sposato uno, il visconte Regis DePoleon), la pittura. Poi, dopo una decina d'anni d'Europa, tornò a casa ancora bella e affermata, cittadina della New York glamour venne pescata da Andy Warhol che la scritturò nella sua Factory e la usò per molti dei suoi film sperimentali e azzardati, Batman Dracula, il selvaggio John and Ivy, lo sterminato Fours (25 ore di filmato), l'eroticissimo Couch. Erano ancora gli anni 60, quelli sempre glamour ma sfrenati, ribelli, anche pieni di insidie.
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E Ivy ne pagò le conseguenze, perdendo le coordinate della sua vita in una discesa agli inferi, fra alcol e droghe, durata un bel po' di anni. Letteralmente scomparsa, inghiottita nella città che non dorme mai, finché un giorno, alla fine degli anni 80, un fotografo non si incuriosisce per una bag lady, una barbona, che vive su un marciapiedi di San Francisco.
Il suo viso segnato rivela un'antica bellezza, sia pure devastata. Il fotografo scatta delle immagini, le porta in redazione al San Francisco Chronicle e qualcuno riconosce quella donna perduta. Un giornalista corre a cercarla, la ritrova seduta accanto a un falò e con un carrello di supermarket dove conserva una cartellina con delle vecchie foto e una scatola di latta con una pellicola: moda e cinema, la sua storia. Ivy Nicholson viene ritrovata così.
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Ma la vita ormai è in gran parte passata. Non le resta che vivere di ricordi. Non è più una ragazza strepitosa, è una donna segnata dalla vita. Ma si riprende, va in giro partecipando ai concerti della band del figlio Gunther, anche l'altro figlio Darius (avuto da Regis DePoleon) ha una band rock, The Aristocats Eurotrash, un gruppo formato da principi, conti, comunque nobili. Gira un film warholiano di 45 minuti dal titolo significativo, The dead life. Va a vivere nel Montana.
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L'ho ritrovata qualche mese fa, trasferita a Los Angeles in una casa ricovero: «Non posso più camminare», mi ha raccontato con la sua voce roca ma vivace. L'avevo chiamata per un libro, che poi ho finito di scrivere, sulle mie passioni, Roma, il jazz, il mio caro amico Pepito Pignatelli, e lei si era come risvegliata, felice di ricordare i tempi perduti. Eravamo rimasti che le avrei spedito il libro appena uscito. E' morta prima, a 88 anni vissuti intensamente e liberamente. Anche troppo. A darne notizia ieri su Facebook il figlio Darius.
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