DAGONEWS
DI MAIO SULL AEREO PER PECHINO
Sgonfiata la bolla dell'insopportabile Tav con ammuina a 5 stelle, il governo si è ficcato nel ginepraio della Via della Seta, e la magra consolazione per il disgraziato popolo italiano è che stavolta si tratta di decisioni da cui davvero dipende il futuro del Paese.
Dall'elezione di Trump, e in particolare dall'inizio della sua guerra commerciale contro la Cina, il resto del mondo ogni giorno ha dovuto ballare sul filo di difficilissime scelte, a volte culturali, a volte economiche, sempre e comunque politiche.
L'ultima? Il pasticcio dei Boeing 737 Max, modello sfornato in gran fretta dal campione nazionale americano (primo esportatore degli Stati Uniti e da solo in grado di trainare o affondare Wall Street). Quale paese ha deciso per primo di tenerli a terra? Proprio lei, la Cina. E dietro di lei, piano piano, sono arrivati tutti gli altri, Unione Europea compresa, dopo un iniziale tentennamento. Tutti tranne gli USA, con la Boeing e la FAA (autorità federale per l'aviazione) che granitiche ribadiscono la fiducia nel modello. Così fiduciosi che hanno aggiornato di corsa il software.
LUIGI DI MAIO IN CINA CON MICHELE GERACI
Era dall'incidente della Lion Air dello scorso ottobre che si parlava di una ''manina'' tecnologica dietro lo schianto. Ci sono molti report di piloti di diverse compagnie aeree (alcuni oggi li pubblica il ''Corriere'') zeppi di lamentele sul software e sui problemi a ''tenere'' gli aerei quando il cervellone prendeva di prepotenza i comandi.
Ma se qualche anno fa finirono negli hangar tutti i Boeing 787 in attesa che il problema con le batterie al litio fosse risolto, stavolta si è scelto di continuare a volare, sulla pelle dei 150 morti al decollo del volo Ethiopian Airlines. Anche questa è una scelta politica, non poco condizionata da affari e pressioni: dopo il disastro Lion Air, il titolo Boeing aveva perso il 12%, ma nei mesi successivi grazie a un'opera di rimozione (mediatica) del problema, recuperò tutto con gli interessi.
LUIGI DI MAIO IN CINA
E di decisioni politiche se ne prendono ogni giorno anche in Italia. Sul piano geopolitico quella più bizzarra e significativa delle ultime 24 ore è la nomina di Marco Zanni come responsabile Esteri della Lega. Salvini, dopo molti scivoloni sul piano internazionale, ha capito che non può più improvvisare, e ha scelto un ex M5S per guidare un'area così importante. Ma come? Non c'era nessuno nel suo partito? Beh, uno che si intende di Cina, per esempio, ci sarebbe, e si chiama Michele Geraci. Solo che il sottosegretario agli Esteri in quota Carroccio è ormai stato ''incamerato'' da Di Maio, in un curioso scambio di coppie.
Non ha più bisogno di presentazioni il ''sinofilo'' Geraci, che accompagnò Luigino nel famigerato viaggio a Pechino (quello col volo in economica e poi però l'albergo a 5 stelle), in cui all'insaputa di Salvini, ma anche della Farnesina (Belloni e Moavero Milanesi) e del Quirinale, si impegnò col governo cinese alla firma del Memorandum of Understanding che Xi Jinping (o ''presidente Ping'', come lo chiamò il vicepremier) verrà a siglare in Italia tra il 21 e il 23 marzo, con tappa a Palermo organizzata proprio dal palermitano Geraci.
sergio mattarella luigi di maio
Si tratta di una prova di forza di cui si parlerà per mesi: il leader cinese che mostra agli Stati Uniti di essere in grado di ''scippare'' un alleato di primo piano, l'Italia, membro della Nato e primo Paese G7 a entrare nella ''Belt and Road Initiative''.
Salvini che non sa bene che pesci prendere, ha deciso che non parteciperà al pranzo in onore di Xi, su consiglio di Stefano Beltrame, il suo consigliere diplomatico che negli anni scorsi fu console a Shanghai, dove ebbe parecchio a che fare con Geraci e al quale aveva più volte manifestato perplessità sul progetto Via della Seta. Ma il sottosegretario ha dalla sua il sostegno di Di Maio ed è andato avanti a trattare con il governo cinese.
michele geraci matteo salvini
Come uscire da questo ennesimo pantano? La parola d'ordine, come con la Tav è: annacquare. Diluire. Rimandare. Ma la Cina ha minacciato: se il protocollo viene ''alleggerito'', salta tutto: la visita in pompa magna di Xi, la firma, e pure i buoni rapporti tra i governi. In queste ore si discute del controllo del porto di Trieste: i cinesi hanno già trattato con l'amministratore delegato di acquisirne la maggioranza. Anche quel deal sarebbe a rischio in caso di passo indietro del governo Conte.
Per ora sia il premier che il ministro Tria (altro amico di Pechino) hanno difeso il protocollo d'intesa, ma Mattarella e il suo staff stanno vagliando il documento, e giusto pochi minuti fa hanno fatto sapere che ''…gli accordi che il nostro Paese andrà a sottoscrivere conterranno regole più severe e stringenti rispetto a quelle indicate negli atti elaborati nei giorni scorsi dall'Unione Europea''. In pratica dà l'ok ricordando che anche dopo la firma si potranno mettere tutti i paletti che riterrà opportuni.
enzo moavero milanesi
Dal Colle sono come al solito contrariati: per mettere in piedi un meccanismo simile serviva l'esame del Consiglio dei Ministri, non bastava la visita un po' carbonara di un vicepremier che ha impegnato l'intero governo anche per portare a casa un risultato e dimostrare che quel viaggio aveva un senso.
In ogni caso, Mattarella potrà sollevare obiezioni su tutti i punti che vadano a toccare la sicurezza, l'indipendenza e l'integrità nazionale, visto che la Costituzione riserva al Presidente della Repubblica la difesa delle ultime due.
MARCO ZANNI MATTEO SALVINI CLAUDIO BORGHI
michele geraci sottosegretario allo sviluppo economico Marco Zanni michele geraci giuseppe conte giorgetti aquilanti