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    DAL CAMPO LARGO AL "CAMPO VAGO" – DA QUALCHE GIORNO, SI INSISTE SUL FATTO CHE NEL PD, IN CASO DI PESANTE SCONFITTA, SI APRIREBBE SUBITO IL CLASSICO "PROCESSO AL SEGRETARIO" LETTA. NON SAREBBE UNA NOVITÀ. I CAPI D'ACCUSA SONO PRONTI, QUALCHE CANDIDATO ALLA SUCCESSIONE GIÀ S' INTRAVEDE. NON CI SI CHIEDE, INVECE, DI COSA DOVREBBE DIVENTARE SEGRETARIO: CIOÈ DI CHE TIPO DI PARTITO E CON QUALE OBIETTIVO E PROGRAMMA POLITICO, VISTO CHE IL PD…


     
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    FEDERICO GEREMICCA per la Stampa

     

    ENRICO LETTA ENRICO LETTA

    Succede sempre così, che alla fine l'argine cede e vien giù di tutto. La metafora - attualissima in questi tempi di disastri meteoambientali - fotografa alla perfezione l'evoluzione dei rapporti in quello che si è soliti definire (con ottimistica approssimazione) "centrosinistra". Questa campagna elettorale sta infatti allargando a dismisura il solco tra le forze che dovrebbero farne parte: e ieri ha fatto sensazione leggere su La Stampa il giudizio espresso sulla questione dal segretario del Partito democratico.

     

    Senza troppi giri di parole, Enrico Letta ha infatti confessato il suo attuale punto di vista: l'obiettivo «del terzo polo e di Conte è quello di sconfiggere il Pd e di prenderne il posto». Nemici, insomma. In un Paese normale, una simile affermazione rappresenterebbe la pietra tombale su ogni ipotesi di alleanza presente e futura. In Italia, invece, può perfino passare così, sotto silenzio: come fosse una polemica tra mille altre.

    letta letta

     

     È una sottovalutazione incomprensibile, perché il punto di vista del leader democratico segnala l'evidente accelerazione di almeno due processi che paiono - al momento - inarrestabili. Il primo riguarda la disintegrazione del centrosinistra così come è stato fino ad ora conosciuto; il secondo, invece, segnala l'isolamento (crescente e in parte sorprendente) in cui sta scivolando il Pd di Enrico Letta.

     

    Quando una coalizione offre un simile spettacolo di sé nel pieno di una delicatissima prova elettorale, è evidente che molto fuoco già covava sotto la cenere e che molti errori sono stati fatti. Calenda, Renzi e Conte hanno naturalmente la loro quota - alta - di responsabilità: ma Enrico Letta non può certo dirsi estraneo alla disfatta che - al momento - si ipotizza possa maturare nelle urne.

     

    CONTE LETTA CONTE LETTA

    Ora, per esempio, sappiamo cos' era il lungamente vagheggiato "campo largo": una vaghezza, quasi un escamotage linguistico, per coprire le fortissime tensioni che rendevano - di fatto - impossibile una larga alleanza. Aver provato fino all'ultimo a tenere assieme il diavolo e l'acqua santa è stato - come implicitamente ammette ora lo stesso Letta - un errore. Qualcuno ritiene che se si fosse messo mano per tempo ad una nuova legge elettorale, la storia adesso sarebbe forse diversa: eppure, ridurre le difficoltà di oggi ad una mera questione tecnica, di regole, rappresenterebbe un altro errore, che finirebbe per coprire la vera questione di fondo.

     

    letta conte calenda letta conte calenda

    Da qualche giorno, si insiste sul fatto che nel Pd - in caso di pesante sconfitta - si aprirebbe subito il classico "processo al segretario". Non sarebbe una novità. I capi d'accusa sono pronti, qualche candidato alla successione già s' intravede e la scelta di un nuovo leader fa senz' altro legittimamente parte delle ipotesi in campo. Non ci si chiede, invece, di cosa dovrebbe diventare segretario: cioè di che tipo di partito e con quale obiettivo e programma politico, visto che il Pd - alla vigilia del suo quindicesimo compleanno - mostra la corda, fatica a tenere una rotta e somiglia sempre più a quell'amalgama non riuscita che qualcuno lamentava già anni fa.

     

    Al di là dell'eventuale scelta di un nuovo leader - e perfino a prescindere dal risultato elettorale - l'interrogativo, insomma, dovrebbe essere: cos' è oggi il Pd?

    letta meme letta meme

     

    A chi intende parlare? Con chi vuole allearsi? Diciamo che da anni non è più così chiaro, e che perfino l'avvio di questa campagna elettorale - con l'oscillare tra rischio democratico, agenda Draghi e allarme fascismo - trasmette una sensazione di grande indeterminatezza. Si può certamente dire che il Pd non è più quello che era alla nascita e che la scissione subita cinque anni fa - ai tempi della segreteria Renzi - ne ha molto attenuato il profilo di forza di sinistra. Si è trasformato in una sorta di nuova e più moderna Democrazia cristiana, si identifica col potere, garantisce stabilità, rassicura le cancellerie europee e spesso appare come il più tenace difensore dell'esistente. È questa la rotta che si intende seguire? Ed anche in futuro considererà sostanzialmente indifferente governare con Conte o con Draghi?

     

    Dalla vocazione maggioritaria al governare con chi ci sta, molta acqua è passata sotto i ponti: e assieme all'acqua, anche molti elettori sono andati altrove. Il 18, 7% ottenuto dal Pd di Renzi alle ultime elezioni politiche (2018) rappresenta il peggior risultato di sempre: oggi non si è poi così lontani da quella soglia. Ritracciare una rotta (o confermare l'attuale) appare indispensabile al di là dell'esito elettorale. Dalla pandemia alla guerra, infatti, tutto va velocemente cambiando. Le risposte dei movimenti sovranisti e populisti sembrano oggettivamente insufficienti: ma se prevalgono, vuol dire che le alternative lo appaiono ancor di più. Forse è questo il problema, in fondo. Un problema che l'eventuale scelta di un nuovo segretario da sola non risolverà.

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