Estratto dell'articolo di Niccolò Carratelli per “La Stampa”
GIUSEPPE CONTE ENRICO LETTA MEME
Giuseppe Conte aspetta cinque ore dalla chiusura dei seggi per commentare un risultato elettorale già tristemente chiaro dopo cinque minuti. «Niente domande, solo una dichiarazione», dicono dal suo staff prima che il presidente del Movimento 5 stelle si materializzi nella sala stampa della sede di via di Campo Marzio.
Volto teso, Conte non prova nemmeno a nascondere la delusione per un risultato «assolutamente non soddisfacente», anche se «in linea con la serie storica sui territori del Movimento». La solita debolezza a livello locale, tanto che Conte annuncia che «da domani avremo i coordinatori territoriali, che ci mancano, per intavolare un dialogo con i territori molto più serrato».
Un limite reale, ma non sufficiente a spiegare quella che a tutti sembra una frenata nel progetto politico di Conte: M5s come lista sotto al 10% nel Lazio, fermo al 4% in Lombardia, quasi non pervenuto. Ma l’ex premier si è appuntato altri numeri, quelli degli ultimi sondaggi a livello nazionale, «poco fa ne è uscito uno che ci vede in continua crescita». Quindi, non è il caso di drammatizzare, nessuno si azzardi a «suonare campane a morto per il Movimento – avverte il presidente – non esagererei la portata di queste elezioni, che rimane circoscritta sul piano territoriale».
CONTE LETTA
Poi torna sulle polemiche per la mancata alleanza col Pd, che aveva decretato la sconfitta prima ancora di votare: «I risultati ci dicono che la somma algebrica non ci avrebbe portato da nessuna parte – spiega – un’accozzaglia e un cartello elettorale non ci avrebbero portato da nessuna parte».
Insomma, i dem non provino a scaricare sull’ M5s la responsabilità di queste due pesanti sconfitte, perché non è accettabile «ascoltare il redivivo Letta rendere dichiarazioni entusiastiche, sembra stappare bottiglie di champagne sulla performance del Pd – ironizza Conte – francamente, se guardiamo al Lazio, dove c’è un candidato indicato da Letta e Calenda, che consegnano la Regione al centrodestra, avrei poco da festeggiare».
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Sul futuro nessuno vuole sbilanciarsi, ma «il Pd dovrà comunque scegliere cosa essere, se stare con noi o con Calenda e Renzi», è l’avvertimento, accompagnato dalla considerazione che, «se noi siamo andati male, il Terzo polo è andato peggio, sia a Roma che a Milano». Insomma, si fa a gara a chi ha perso meno.
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