ANIS AMRI
Carlo Bonini per la Repubblica
Il cadavere di Anis Amri, le sue ultime quarantotto ore da vivo, sono lo spartiacque che divide la conclusione di una caccia all’uomo dall’urgenza di venire rapidamente a capo delle molte domande che squaderna la notte di Sesto. Una in cima alle altre. È finita qui? Vediamo.
IL GIURAMENTO ALL’ISIS
Con studiata sincronia, nello stesso momento in cui l’immagine del corpo sull’asfalto di Amri faceva il giro del mondo, lo Stato Islamico diffondeva un video di poco più di due minuti senza data né ora, con il suo giuramento di fedeltà e Berlino a fare da quinta. Un format che abbiamo imparato a conoscere. Con cui si celebra la fine di un martire, se ne rivendica l’appartenenza, si invita all’emulazione con un formulario di morte che pesca nella retorica dei “crociati”, dei “mangiatori di maiale”, delle campagne di bombardamenti aerei sulla Siria.
ANIS AMRI
Immagini e suoni che nulla di nuovo dicono sul piano della propaganda ma che lasciano aperto il dubbio sulla dimensione solitaria o meno del giovane tunisino. Detta altrimenti, il video potrebbe certamente essere l’ultimo messaggio in bottiglia e a futura memoria di una monade votata al martirio e in cerca di un riconoscimento postumo, ma anche l’indizio di un legame meno virtuale con la casa madre del Terrore.
I CONTANTI E I PANTALONI
E tuttavia, le evidenze restituite dal corpo di Anis sembrano raccontare la fuga disperata di un solitario. Il ragazzo era infagottato in tre paia di pantaloni, calzati l’uno sull’altro. E, indosso, nascondeva mille e cinque euro in contanti. Diciotto banconote da 50, cinque da 20 e una da 5.
Tagli da “bancomat”. Come se, nella fuga, avesse dato fondo alla disponibilità di prelievo per poi disfarsi di ogni carta di credito che potesse segnalarne la presenza lungo la via scelta per la fuga e dunque mettere chi gli dava la caccia sulle sue tracce. Non esattamente, dunque, il modo di procedere di chi può contare su una rete di sostegno.
I TELEFONI
anis amri dopo l attentato a berlino 3
Anche i telefoni cellulari (uno ritrovato nella cabina di guida del tir della strage) e le schede sim, per dirla con due diverse e qualificate fonti investigative italiane e al netto di un’attività di “sviluppo” tecnico dei dati che contengono ancora in corso, sarebbero rimasti «sostanzialmente silenti». Una circostanza che confermerebbe come non ci sarebbe stato nulla di preordinato né nella strage, né nella fuga che ne è seguita.
LE TELECAMERE
Nessuno, del resto, sembrerebbe aver accompagnato Anis nella sua fuga da Berlino. O, almeno, questo sarebbe vero per quel che concerne l’ultimo tratto del suo viaggio. Quello da Chambery a Milano. Le immagini delle telecamere che lo vedono scendere alla stazione di Torino alle 20 e 18 minuti del 22 dicembre dal treno partito poco dopo le 17 e 15 di quello stesso pomeriggio da Chambery non lo pmagonstiraa. E lo stesso vale per il suo arrivo a Milano. Intorno all’1 del mattino della notte tra mercoledì 22 e giovedì 23.
Del resto, che Anis abbia viaggiato da solo sarebbe dimostrato da un’altra circostanza. L’unica ritenuta al momento plausibile dai nostri investigatori nello spiegare le ragioni per le quali il ragazzo, a un certo punto, avrebbe deciso di scendere a Torino dal treno che lo portava da Chambery a Milano e per il quale aveva acquistato in contanti un biglietto nella stazione francese.
anis amri dopo l attentato a berlino 2
Dice infatti una qualificata fonte investigativa della nostra Antiterrorismo: «C’è un solo motivo per cui Amri può aver deciso di cambiare treno a Torino. Qualcosa che accade all’improvviso o la presenza di qualcuno. Che devono averlo spaventato. Magari un agente della polfer in controllo di routine negli scompartimenti. Piuttosto che la paranoia di sentirsi osservato o riconosciuto, dal momento che il 22 è il giorno in cui le sue foto segnaletiche vengono diffuse su ogni piattaforma digitale e dai siti di informazione di tutta Europa. Ma se questo che ipotizziamo è vero, allora non può che esser vera anche una successiva deduzione. Che su quel treno proveniente dalla Francia Amri poteva contare solo su se stesso. Dunque, era solo».
LE TRE ORE A TORINO
anis amri dopo l attentato a berlino 1
Per capire se l’intuizione sia o meno corretta sarà necessario che venga completato l’esame delle immagini delle telecamere della stazione di Torino dove Anis resta quasi tre ore e dove acquista, ancora una volta in contanti, il biglietto del treno regionale su cui sale alle 23.05 della sera di giovedì e da cui scenderà a Milano intorno all’1 del mattino. Ancora la fonte dell’Antiterrorismo: «Stiamo verificando se Amri abbia utilizzato quelle tre ore per cercare un rifugio a Torino o se quel lasso di tempo lo abbia utilizzato semplicemente per cercare un contatto a Milano».
Anche in questo caso, quale che sia la risposta, le mosse dello stragista di Breitscheidplatz sembrano indicare un uomo in balia di una fuga dall’itinerario e le protezioni sicuramente non pianificate. Le uniche, anche in questo caso, in grado di spiegare il girovagare a piedi e apparentemente senza méta di Anis nel suo ultimo tratto da vivo. Dunque?
LA COMUNITÀ DI SESTO
IL CAMION GUIDATO DA ANIS AMRI NEL MERCATO DI BERLINO
Dunque – ed è l’ipotesi più concreta su cui si stanno muovendo i nostri inquirenti – è ragionevole concludere che, arrivato a Milano, Amri, privo di un indirizzo certo alla cui porta bussare, decida di trascorrere la notte spostandosi in cerca di qualcuno che all’interno della storica comunità maghrebina della città non si tiri indietro nel dargli ricovero. E per ragioni che non necessariamente hanno a che fare con l’islamismo, ma molto potrebbero avere a che fare con la rete dello spaccio di stupefacenti.
La circostanza che Amri abbia trascorso quattro anni nelle nostre carceri dividendo la sua cella quasi sempre con compagni nordafricani non è infatti neutra. In quei quattro anni – questo è il ragionamento – avrebbe potuto allacciare legami o amicizie cui, giovedì notte, nel momento del massimo bisogno, avrebbe deciso di fare appello. Ragione per la quale, da ieri, la nostra Antiterrorismo sta esaminando decine di nomi di ex detenuti che hanno condiviso il carcere con Amri per verificare dove siano oggi e dove fossero nella notte di giovedì.
IL CAMION GUIDATO DA ANIS AMRI NEL MERCATO DI BERLINO
LA VENDETTA
Naturalmente, c’è un secondo scenario investigativo. Quello, al momento, coltivato con minore convinzione, ma non per questo del tutto peregrino o comunque da scartare a priori. Che, nella sua disperazione e nella decisione irreversibile del martirio, testimoniata del resto dal suo video affidato all’Isis, Amri avesse battezzato l’Italia e Milano come la fine corsa della sua giovane vita e proscenio lugubre della vendetta contro un Paese che aveva imparato ad odiare e nelle cui galere si era sentito umiliato. Detto altrimenti, che si preparasse a versare altro sangue di Natale. Questa volta, il nostro.
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