COSI VERI E COSI FALSI IL LATO OSCURO DEL VIDEO
Francesco Malfetano per “il Messaggero”
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Da qualche giorno circola sul web un video in cui Mark Zuckerberg sostiene di avere in mente un piano diabolico per i suoi social network. Vale a dire utilizzare Facebook, Instagram e WhatsApp per raccogliere i dati dei suoi iscritti e poi usare queste informazioni per controllarli. Una prospettiva inquietante per gli utenti che, nonostante le immagini siano molto realistiche, si è però rivelata assolutamente falsa.
Il filmato infatti è un falso d'autore che appartiene alla categoria dei deepfake, ovvero quei video taroccati realizzati usando l'intelligenza artificiale di cui si parla già da un po' di tempo.
IL SORRISO
il deep fake della gioconda
Inizialmente collegate al fenomeno del revenge porn e dei falsi video pornografici con protagoniste alcune star di Hollywood - Scarlett Johansson e Kim Kardashian sono due delle vittime più note - queste contraffazioni si sono diffuse in ogni settore man mano che la tecnologia veniva affinata. Ad esempio Samsung di recente ha dimostrato di poter addirittura animare qualsiasi foto.
Grazie a un algoritmo sviluppato ad hoc e per il momento ancora non reso noto, l'azienda coreana ha dato vita al quadro della Monna Lisa. La donna ora può voltarsi, annuire e, al contrario di quanto dipinto da Leonardo, finalmente sorridere sul serio.
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I software come questo sono ormai sempre più diffusi e rendono semplicissimo realizzare deepfake. Basta un computer di media potenza, uno di quelli utilizzati per il gaming ad esempio, per utilizzare FakeApp. Si tratta di un'applicazione scritta in Java che utilizzando il deep learning - una serie molto articolata di processi di apprendimento automatizzato - in pochi click consente di modificare un volto raffigurato in un video, sostituendolo con il viso di un'altra persona.
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La Stanford University invece, insieme al Max Planck Institute for Informatics, alla Princeton University e ad Adobe Research si è spinta oltre. I ricercatori hanno sviluppato il software VoCo che consente di trasformare non solo i dettagli relativi al volto delle persone ma soprattutto di cambiare in maniera inattaccabile il senso delle loro parole.
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Partendo da un video del soggetto da modificare, il programma realizza un modello 3D della parte inferiore del volto che tiene conto anche delle espressioni facciali e del tono della voce. A questo punto basta scrivere all'interno di VoCo quali parole far pronunciare al falso personaggio e il gioco è fatto.
I BERSAGLI
In pratica è possibile attribuire a chiunque dichiarazioni anche controverse. Per questo uno dei risvolti più allarmanti dei deepfake riguarda i politici. Già nel 2017 un software per la creazione di video fasulli era stato dedicato interamente all'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama.
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Circa un mese fa invece è iniziata a circolare sul web una clip di 30 secondi che ritraeva Nancy Pelosi, speaker della Camera dei rappresentanti degli Usa, apparentemente ubriaca mentre teneva un discorso davanti alle telecamere. Una manipolazione - condivisa anche da Donald Trump sui social - che ha aperto una vera e propria discussione politica. Non solo perché i legislatori di Washington temono che i deepfake possano prendersi la scena nel corso della campagna elettorale del 2020, ma soprattutto perché Facebook non ha voluto ritirare il video della donna dalla sua piattaforma, limitandosi a specificare che si trattava di un falso.
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LA TARGHETTA
Posizione discutibile che il social ha deciso di tenere anche riguardo al video che coinvolge il suo fondatore. Secondo Hoax Alert, società che fa parte del servizio di fact checking utilizzato da Facebook, il falso filmato resterà online ma sarà taggato come satirico dato che «contiene una critica socio-politica». In pratica resterà visibile ma avrà una targhetta che avvisa della non autenticità del filmato.
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Una soluzione che però, soprattutto nel caso di video realizzati per influenzare gli spettatori, potrebbe risultare tardiva. Vittime dei deepfake quindi rischiano di essere gli utenti, a meno che questi non riescano a rivedere la vecchia idea per cui le immagini non mentono mai. «Credo solo a quello che vedo» infatti, non sembra essere più un buon criterio. Almeno online.
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