Quirino Conti per Dagospia
karl lagerfeld
Di successioni autentiche, tangibili, da brividi e palpitazioni, irrimediabilmente accompagnate da sospetti e mormorazioni, al mondo ne sono rimaste poche. Anzi, forse solo due: quella papale, avvolta dai fumi dell’incenso e risolta sotto i contorcimenti muscolari dei nudi michelangioleschi nella Sistina, e – in questa modernità appassionata di leggerezza, crudeltà, cuochi e tatuaggi – quella stilistica di Karl Lagerfeld.
accessori chanel karl lagerfeld retrospective bonn 2015 (ph david ertl)
Dal momento che, pure se gli stilisti (come confessava Giancarlo Giammetti) si cambiano come le idee, nel caso del grande teutonico-sui-tacchi la sua prolungatissima presenza nella Moda apre la questione di chi possa legittimamente raccogliere la sua eredità. Anche e probabilmente perché, dimenticate le sue innumerevoli consulenze mercenarie sparse qua e là per il globo, per Chanel e Fendi si è trattato di un’autentica incarnazione. Una specie di Kenosis dal suo sublime stato di onnipotente, onnisciente, onnivoro fino alla determinazione di un bottone o di un tacco. Con quali risultati?
carla bruni
Spesso eccezionali, qualche volta terribili, come era il suo aspetto. (Indimenticabili restano alcune immagini che lo ritraggono in frenetica conversazione con Suzy Menkes: lui bardato da par suo, l’altra – titanico prodigio del settore – con il suo rullo compressore al colmo della testa, come se nulla fosse.) Un fenomeno di durata e di autopromozione unico nel suo genere.
Ci vorrà tempo per dipanare l’immensa produzione di Lagerfeld ed esprimere un giudizio storicizzato. Resta per ora l’impressione di un’intelligenza estrema e di collezioni al limite del mirabile e del mostruoso. Ma il problema adesso è un altro: chi, dopo di lui? Da Chanel hanno affrettato una lacrimosa legittimità di convenienza: naturalmente, la sua eterna assistente-vestale. Per Fendi c’è maggior discrezione, per il momento.
karl lagerfeld
Rimane il fatto che a Parigi il primo passo autonomo della sua delfina designata (la collezione Chanel Resort, presentata venerdì al Grand Palais) rivela tutto il duro cinismo di un ambiente avido e senza idealità. Dunque erano questo, Karl Lagerfeld e la sua Chanel? E con tale cecità se lo sono tenuto in seno per così tanti anni, al punto di riassumere uno stile ormai coincidente con l’opulenta civiltà occidentale in poche ovvietà malfatte e peggio presentate?
stella tennant chanel fw 2013 14
Certo, con la presunzione tutta francese di chi pensa di farla sempre franca; o forse con l’illusione che il tempo sanerà molte ferite. Ma c’è anche da chiedersi se questa sia una stagione solo per basiliche e monumenti, una stagione di superlativi – ultra, iper, mega –, vista la megalomania, appunto, con la quale si va periodicamente a presentare il proprio prodotto (al Grand Palais per Chanel, all’incomparabile Palais El Badi di Marrakech per Dior). O forse queste collezioni, che di per sé dovrebbero essere soltanto integrative, diventano il pretesto per portare a zonzo per il pianeta la Crème de la crème della stampa di settore e le star più disponibili sul mercato?
chanel haute couture ss 2015 by karl lagerfeld
È insomma paragonabile quanto si è visto l’altro giorno da Chanel con la straordinaria storia di un marchio che, pressoché in liquidazione nel 1983, in oltre trent’anni di collaborazione continuativa è diventato il logo dei loghi grazie alla maestria di un indiscusso genio dello Stile? E anche ammettendo che, morto un papa, semplicemente se ne faccia un altro, e che l’importante sia non lasciare vuoto il posto, una volenterosa assistente può davvero sostituire due tremende linguacce come Mademoiselle e il Kaiser?
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