Guido Andruetto per il Venerdì – la Repubblica
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STORIA di questi ultimi anni. Le ragazze sono arrivate finalmente negli skatepark,
per fare quello che fino a poco tempo fa facevano soltanto i ragazzi: skateare. Possibilmente tutto il giorno. Chi frequenta gli skatepark urbani o le piazze dove si ritrovano gli skater, sa che l’ambiente è sempre stato rigorosamente maschile e che le poche ragazze che si sono avvicinate alle tavole non sono mai state accolte con particolare entusiasmo.
«Ma adesso sta cambiando tutto» dice Matteo Maresi, skater milanese della vecchia guardia, che ora lavora nel campo del marketing e ha una compagna appassionata di skate e due figli, un ragazzo e una ragazza, che praticano anche loro. «Non so se sia corretto parlare di cambio di paradigma in una scena che è ancora estremamente chiusa rispetto alla presenza delle donne. Eppure credo che lo skateboard mostri chiaramente come le ragazze stiano trasformando la società, comprese le culture underground».
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Un contributo, in questa direzione, lo ha dato Carolina Amell, grafica e fotografa di Barcellona, che ha realizzato una serie di ritratti e interviste in giro per il mondo alle ragazze dello skate, poi raccolti nel ricco volume fotografico Skate Like a Girl appena pubblicato da Prestel Pub (pp. 241, euro 42).
Il numero delle ragazze e delle donne che si divertono sulle strade o partecipano a contest e campionati è in forte crescita: mamme, modelle, artiste, ingegnere, infermiere, studentesse, di età ed estrazione sociale anche molto diverse. «Tante gareggiano a livello professionistico, altre lo fanno per puro divertimento» spiega Amell, «ma ad accomunarle è lo skate come stile di vita. Un’idea di libertà, la voglia di inseguire i propri sogni. Nello skate si cade e ci si rialza per riprovare ancora».
TUTTE SU INSTAGRAM
I social hanno amplificato il fenomeno creando community che scavalcano i confini nazionali. Con lo stesso entusiasmo si vedono ragazze sullo skate al Parco Lambro di Milano così come a New York, Berlino, Osaka o Johannesburg. Tutte sono presenti su Instagram. Cassandre Lemoine è una giovane parigina di 23 anni, amante dello skate e del surf.
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Spesso va ad allenarsi davanti al Louvre, accanto alla piramide di vetro di Ieoh Ming Pei. «Ho iniziato a fare longboard cinque anni fa con alcuni miei amici, poi a forza di tentativi e di pratica sono passata al freestyle, oggi gareggio e ho anche degli sponsor che mi supportano.
Vivo questa passione intensamente e la condivido con gli altri. È una cosa che mi rende felice, anche se mi ci è voluto un po’ per forzare un ambiente maschile. Alle altre ragazze dico: solo noi decidiamo che cosa si può o non si può fare. Non bisogna aver timore dello sguardo delle altre persone. Sei una ragazza? E allora? Vai sullo skate, cadi, rialzati, ce la farai se ci credi. Ho lividi dappertutto, ma quando riesco a fare un trick il dolore mi passa, più vado sullo skate e più mi sento meglio».
Anche per Júlia Amá, un’ex nuotatrice professionista e ingegnera meccanica, originaria del Brasile ma trapiantata a Venice in California, lo skate è stato un modo per affermare la propria identità e per vincere un suo senso di inadeguatezza. «Adesso quando vado in skate verso la spiaggia con una tazza di caffè in mano mi capita di ripensare a quando ho iniziato» dice Júlia.
«Allora non conoscevo nessuna ragazza che facesse skateboard; c’era solo un amico di famiglia, un ragazzo, che aveva un longboard. Lui mi ha introdotta nell’ambiente, ma è stata dura, quante cadute sul cemento, quanti dolori. Per un po’ non ho insistito troppo, poi due anni fa ho cominciato ad uscire con un ragazzo che ha sempre fatto questo sport. Gli ho chiesto di portarmi allo skatepark di Pasadena, a un’ora da casa, per insegnarmi i suoi trucchi, in un contesto più defilato: a Venice ero intimidita da tutto. Ricordo la sensazione che ho provato il primo giorno a Pasadena: nausea, ansia, incertezza e molta paura. Mi tremavano le gambe e il cuore batteva all’impazzata».
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La storia di Wafa Heboul è invece quella di una ragazza cresciuta ad Agadir, in Marocco, che ha iniziato ad andare in skate negli anni del liceo. «Ero nel pieno della confusione adolescenziale» ricorda «avevo un’energia pazzesca che volevo incanalare da qualche parte. Ho provato con diversi sport. Il basket non mi piaceva e il calcio mi ha stufato abbastanza in fretta. Poi grazie a un’amica sono passata allo skate e adesso sono dieci anni che lo pratichiamo insieme.
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Lo skateboard ha reso la nostra amicizia più forte e mi ha fatto conoscere un sacco di persone fantastiche. Spesso mi chiedono com’è per una ragazza fare skate in Marocco. Sinceramente non so che cosa rispondere. Non ho altri termini di paragone. La cosa che so è che con il tempo sono diventata immune ai commenti altrui. Lo skate rafforza il mio carattere. Mi ha insegnato a essere coraggiosa e a fare quello che mi piace anche in un posto dove la gente pensa che lo skate sia roba da ragazzi.
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Oggi c’è una comunità di skater qui nella mia città, a Taghazout, e per questo ho inventato un marchio che è anche una piattaforma: Zoutland. Una specie di vetrina per chi fa questo sport qui. All’inizio non pensavo certamente che un giorno avrei potuto trasformare lo skate in uno degli interessi principali della mia vita, ci sono state delle volte in cui ho mollato per un po’ a causa della scuola o del lavoro, ma con la tenacia ho raggiunto il mio sogno».
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A Hossegor, in Francia, venti chilometri a nord di Biarritz, vive Carla Di Mambro, una skater di 26 anni. Anche per lei la timidezza è stata il principale ostacolo da superare quando si è avvicinata le prime volte a questo sport. «Vengo da Parigi e nella zona in cui abitavo c’erano pochissime ragazze che frequentavano lo skatepark. Ricordo la sensazione di disagio nel vedere tutti gli occhi puntati su di me. Però ero determinata a imparare.
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Quando col mio ragazzo mi sono trasferita a Hossegor la mia visione dello skateboard è cambiata completamente grazie alla mentalità che c’è qui, dove la cultura della tavola è molto valorizzata. Tutta la mia apprensione è svanita strada facendo, ma è stato importante anche l’aiuto del mio ragazzo. Se dovessi consigliare a una mia coetanea indecisa come approcciarsi a questo sport, le direi di farsi accompagnare da qualcuno, perché è molto più divertente e rassicurante se non si è da sole. Ma la cosa fondamentale è divertirsi, sempre. Perché solo se ti diverti riesci a progredire davvero».
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