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    È MORTO A ROMA VITTORIO SERMONTI, GRANDE SCRITTORE, REGISTA, ATTORE ED ESPERTO DI DANTE - AVEVA 87 ANNI - LA SUA ULTIMA OPERA, IL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO “SE AVESSERO”, È STATO NELLA CINQUINA DEL PREMIO STREGA 2016 - IL SUO ULTIMO TWEET POCHI GIORNI FA, IN CUI ANNUNCIAVA CHE SI SAREBBE PRESO UNA PAUSA DAI SUOI IMPEGNI


     
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    1 - È MORTO VITTORIO SERMONTI, L'INTELLETTUALE CHE CI FECE RISCOPRIRE DANTE

    vittorio sermonti vittorio sermonti

    Da www.repubblica.it

     

    È morto a Roma Vittorio Sermonti, grande scrittore, regista, attore ed esperto di Dante. Aveva 87 anni. La sua ultima opera, il romanzo autobiografico Se avessero, uscito a inizio anno, è stato nella cinquina del Premio Strega. Il suo ultimo tweet pochi giorni fa, in cui annunciava che si sarebbe preso una pausa dai suoi impegni.

     

    2 - LE MEMORIE (IN CAMICIA NERA) DI SERMONTI: “MI VOLEVO ARRUOLARE NELLA X MAS MA NON AVEVO ANCORA 16 ANNI E MI RIFIUTARONO. A QUEL TEMPO DI FASCISTI IN ITALIA CE N’ERANO IN CIRCOLAZIONE POCO MENO DI 45 MILIONI - ERO ISCRITTO AL PCI E MI DAVANO DEL FASCISTA PERCHE’ DICEVO DI AMARE LA PATRIA''

     

    Luigi Mascheroni per www.ilgiornale.it del 26 maggio 2016

      

    SERMONTI FASCISMO SERMONTI FASCISMO

    Dalla finestra dello studio di Vittorio Sermonti, all' ultimo piano di un' elegante palazzina del quartiere Fleming, a Roma, dove vive da 35 anni con la seconda moglie, Ludovica Ripa di Meana, quando la giornata è limpida si vede persino Palestrina, giù in fondo, appoggiata sul Monte Ginestro.

     

    E nel suo studio, stracarico di libri dietro il divanetto dove sono seduto si alza una parete dantesca, con Divine Commedie in quindici edizioni diverse, traduzioni in decine di lingue, commenti, studi e biografie parlando con Vittorio Sermonti, 86 anni, memoria stentorea e voce di ferro, s' intravede mezza storia di Italia, quella che lui ha sentito raccontare, ha sfiorato, vissuto, incrociato da comparsa o interpretato da protagonista:

     

    il tramonto del fascismo, la guerra, il dopoguerra, il boom, il grande cinema, la grande editoria, gli anni delle ideologie di piombo, gli uomini dalle idee preziose che ha incontrato negli anni, lui che è stato, ed è, scrittore, traduttore, giornalista, regista di radio, lettore.

    VITTORIO SERMONTI VITTORIO SERMONTI

     

    Vittorio Emanuele Orlando è stato suo padrino di nascita («anche se oggi i ragazzi pensano sia solo la via del Grand Hotel»), per la casa dei nonni ha visto passare da piccolo Luigi Pirandello e Enrico Cuccia, è cresciuto con Bassani, Garboli, Delfini, Pier Paolo Pasolini, Roberto Longhi, e da grande ha lavorato con Vittorio Gassman, Carmelo Bene e il grande Gianfranco Contini...

     

    Sesto di sette fra sorelle e fratelli Giuseppe Sermonti è genetista di fama mondiale, Rutilio Sermonti, morto l' anno scorso, è stato uno scrittore-ideologo della destra irriducibile con una vita così, prima o poi, devi fare i conti.

     

    E i conti con la sua storia personale e con la Storia con la S maiuscola li fa con il romanzo Se avessero (Garzanti). Il cui sottotitolo, terribile, è «Opera ultima».

    VITTORIO SERMONTI COVER VITTORIO SERMONTI COVER

     

    Quando ha pensato che fosse il tempo della sua ultima opera?

    «Ho cominciato a pensarlo quattro estati fa, sull' isola di Kythira, diciamo Citèra, in Grecia.

    Leggevo Vita e destino di Vasilij Grossman e quel libro strepitoso e terrificante mi ha attivato l' idea di un racconto in cui il sincronismo tra le vicende di me singolo individuo e gli avvenimenti della Storia esploda e si sbricioli. E mi sono detto: devo trovare un episodio attorno a cui fare ruotare tutta la mia vita, il ridicolo e il tragico dell' unica vita che mi è toccata. E l' episodio è quello in cui un ragazzino, il ragazzino che ero a 15-16 anni, è costretto con una certa brutalità a misurare il piccolo sé con la grande Storia».

     

    E da lì si sviluppa il racconto-ricordo, dal maggio 1945 fino agli anni Ottanta.

    «È un racconto spudoratamente autobiografico, ma non è una autobiografia. È qualcosa di meno, perché dentro non ci sono gli ultimi quarantacinque anni della mia vita, e qualcosa di più perché ci sono testimonianze e emozioni che appartengono alla storia d' Europa. Sincronismi in cui, appunto, si annida il ridicolo e il tragico dello stare al mondo».

     

    Il romanzo inizia, finisce e in fondo si svolge interamente nell' ingresso del «villinetto» di famiglia, in zona Fiera, a Milano, dove accade un episodio minaccioso e imbarazzante.

    SERMONTI SERMONTI

     

    «È il maggio 1945, guerra appena finita. Suonano alla porta, si presentano tre partigiani con i mitra di traverso sullo stomaco, e tutti noi, io quindicenne, i miei genitori, le mie sorelle, i miei fratelli, ci ritroviamo nel piccolo ingresso di casa aspettando gli eventi...

     

    Qualcuno aveva spifferato ai partigiani di aver visto entrare in casa, una sera, un uomo con la divisa da fascista. E effettivamente mio fratello maggiore era stato sottotenente di una delle divisioni della Rsi. E anche qualcos' altro... Quel giorno andò tutto liscio, perché mio fratello mostrò una tessera, posticcia, da anarchico, e si salvò, ci salvò.

     

    vittorio sermonti vittorio sermonti

    E io da allora, e per tutto il libro, mi chiedo cosa sarebbe successo a me, alla mia famiglia, alle persone che hanno incrociato le nostre vite, se avessero sparato a mio fratello».

     

    Se avessero è un bel titolo per un romanzo. Ma la sua risposta è terribile: non sarebbe successo niente.

    «Da quel lontano maggio ho preso in considerazione tutte le ipotesi, anche quella di morire io al posto di mio fratello e diventare così un eroe: i morti in guerra, imparai presto, erano oggetti eroici ed erotici, piacevano molto.

     

    E alla fine sono giunto alla conclusione che se avessero sparato a mio fratello sarebbe cambiato il mondo ma nessuno se ne sarebbe accorto. Tanto per citarmi, ripeto una frase del romanzo: Non contiamo niente, perché ognuno conta purtroppo tutto. Nulla sarebbe cambiato. Ecco una piccola verità».

     

    Una delle verità che il libro racconta è che la sua fu una famiglia fascista. Fascista suo padre, repubblichini i suoi fratelli, giovanissimo balilla lei stesso che si presenta in una scuola-caserma della X Mas «nel fermissimo intento di lasciarsi arruolare».

    vittorio sermonti marino sinibaldi e dino zoff vittorio sermonti marino sinibaldi e dino zoff

    «Ma non avevo compiuto 16 anni, e mi rifiutarono. Comunque il fatto che io come tutti gli italiani, o quasi, fossi e mi vantassi fascista, non fa notizia. Io sono cresciuto dentro una famiglia fascista, quella di mio padre, inoculata dentro una famiglia, quella di mia madre, di a-fascisti più che di antifascisti. Mi creda: la mia impressione di ragazzino era che a quel tempo di fascisti in Italia ce ne fossero in circolazione poco meno di 45 milioni...»

     

    Poi tutti sono diventati improvvisamente altro.

    «Salire sul carro del vincitore è quasi naturale. Non ho mai visto nessuno, in 87 anni di vita, salire sul carro del perdente. Comunque, alcuni hanno fatto la conversione in modo brusco e interessato, altri attraverso percorsi più complessi e generosi...

     

    RUTILIO SERMONTI RUTILIO SERMONTI

    Parlo anche di me? Il fascismo divenne sempre più difficile da sopportare durante la guerra: fame, freddo, bombe, almeno questo mi è sembrato di capire con la testa di un ragazzino, hanno reso la maggior parte degli italiani insofferenti al fascismo, fanatizzando gli altri pochi».

     

    Suo fratello è rimasto fascista. Repubblichino, fu tra i fondatori dell' Msi e poi fu accusato di essere il punto di riferimento di un' associazione clandestina neofascista...

    «Il suo fu un fascismo, come dire?, strutturale, che nasce con lui e si trascina fino alla sua morte. Ma voglio dire una cosa.

     

    È vero: sui vent' anni mi sono staccato da lui, praticamente non ci sentivamo più, e questo non solo e non tanto per ragioni ideologiche, ma per una radicale differenza nel fronteggiare l' avventura dello stare al mondo. Gli ho voluto bene come si vuole bene a un fratello maggiore: era biondo, bello, mi insegnava la botanica e l' anatomia, quando facevamo la guerra a cuscinate coi miei fratelli gemelli stavo sempre con lui, e vincevamo sempre. Anch' io salivo sul carro del vincitore...»

     

    Le manca?

    LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI

    «Mi manca da tantissimo tempo».

     

    Attorno al legame con suo fratello nel romanzo si intrecciano ricordi e riflessioni sui suoi amori giovanili e sull' Amore, sul sesso, sul rapporto padre-figlio, sul concetto di borghesia, sulla guerra.

    «E sulle guerre in generale, sulla scuola, sulle mie letture, Dante in primis ovviamente, passione che ho ereditato da mio padre, e poi sul teatro, sulla musica, sull' Italia... Ecco: l' amore d' Italia, altra cosa che mi ha insegnato mio padre.

     

    Poi nei decenni ad amare questa patria ti davano del fascista, anche se eri iscritto al Pci: io, in effetti, passai dalla parte del nemico, e nel '56, prima dei fatti di Ungheria, mi iscrissi al partito, dopo l' Ungheria me ne andai, anche se poi per anni e anni ho scritto sull' Unità. E sull' amicizia, sul mio Novecento...»

     

    E sulla scrittura. Che nel romanzo è complessa, curatissima, complicata persino.

    SERMONTI SERMONTI

    «La scrittura è tutto. Lo stile è tutto».

     

    È in finale allo Strega. Cosa pensa dei premi letterari?

    «Me lo chieda dopo».

     

    3 - VITTORIO SERMONTI: "CHE PENA PER MIO FRATELLO, IDEOLOGO DEI BRIGATISTI NERI"

    Caterina Pasolini per www.repubblica.it del 24 dicembre 2014

     

    "Tutto questo mi dà dolore e pena. È mio fratello, accusato di terrorismo. Un'intelligenza sprecata, rimasta ferma agli anni del fascismo. No, non vorrei proprio doverne parlare". Vittorio Sermonti, scrittore, dantista, è fratello di Rutilio, 94 anni, arrestato dai carabinieri con l'accusa di essere l'ideologo del gruppo neofascista Avanguardia Ordinovista. Scultore, avvocato e storico, dopo aver scelto la Repubblica di Salò, finita la guerra, Rutilio è tra i fondatori del Msi che abbandonerà ritenendolo troppo morbido con la Dc per passare qualche anno nelle fila di Rauti. Sempre fedele nei suoi saggi e nei suoi interventi, puntellati da accenni al duce e ai camerati, agli anni della sua gioventù.

    LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI LUDOVICA RIPA DI MEANA VITTORIO SERMONTI

     

    Se l'aspettava?

    "No. L'ultima volta che ci siamo visti è stato sette anni fa e la volta prima altri sei. Incontri rari, ma le sue idee politiche non sono mai state un segreto".

     

    Una lontananza per scelta?

    "I rapporti di consuetudine sono spariti da tempo ma non abbiamo mai veramente litigato. Semplicemente non ne potevo più di sentire le stesse stupidaggini".

     

    Troppo diversi?

    "Da giovane lui ha scelto la Repubblica Sociale, io mi sono iscritto anni dopo al Pci, ma sono rimasto un uomo abitato dal dubbio. Lui no, era ossessionato, fermo negli anni a quel mondo".

     

    Fermo al fascismo?

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    "Era un uomo intelligente, dotato, con capacità artistiche che purtroppo si è fermato ai suoi 24 anni e per altri settanta la sua intelligenza è rimasta immobile".

     

    Ha letto la costituzione scritta da suo fratello?

    "Ho reticenza a parlarne, mi costa fatica, mi sembra un cumulo di scemenze".

     

    Sta scrivendo un libro: "Se avessero sparato a mio fratello ".

    "Il titolo, provvisorio, richiama la mattina in cui i partigiani entrarono nella casa di Milano dove stava Rutilio, pronto ad affrontarli con spavalderia e furbizia. In realtà l'ho scritto nell'84, ma continuo a lavorarci, non mi sembra mai pronto. È la storia della mia vita dai 15 anni agli 84. Ed è una vita intrecciata a quella di mio fratello".

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