Dagoreport
MARCO AGNOLETTI
Ai tempi in cui la cattività forzata a Palazzo Vecchio iniziava a lasciare solchi profondi e nevrosi evidentissime, Marco Agnoletti difendeva con le unghie il piccolo podere che gli era rimasto. Gli altri a Roma, con il Presidente del Consiglio, tra una visita a Obama e una a Bruxelles.
Lui a Firenze, con il suo clone di provincia, Dario Nardella tra sagre paesane, nastri da tagliare e piste ciclabili da inaugurare. Erano tempi foschi per l’ambiziosissimo “Agno”, scalzato proprio a un passo dalla gloria, dalla sua antitesi umana e professionale, Filippo Sensi, dopo aver tirato la carretta per anni al servizio del ducetto di Rignano.
Troppo provinciale, dicevano. Troppo arrogante. Troppo sicuro di sé. Troppo simile a Renzi che, lasciata la fascia tricolore, assurgeva a Macron de’ noantri e voleva liberarsi dai segni distintivi che nella sua scalata iniziale lontana dai riflettori gli erano stati utili. Uno di questi era Marco Agnoletti, nemico giurato di Matteo Lotti, specchio riflesso di Matteuccio, ispiratore di Leopolde e rottamazioni a sua volta rottamato sulla via di Palazzo Chigi.
matteo renzi marco agnoletti
Il vento ora è cambiato e dopo il tragico referendum che ha costretto Renzi a ripartire dal via, nel Monòpoli delle caselle da ridistribuire, è stato di nuovo il turno di Agnoletti, l’altissima acciuga- anzi l’astice- come da soprannome, che quando muove le chele sa stringere la preda, mena fendenti (non solo metaforici) come un 5Stelle qualsiasi e nuota da sempre, tra una telefonata e un aperitivo, nel neo-servilismo della stampa italiana senza più altro santo a cui votarsi che il potere per il potere.
L’altra sera, al numero 87 di Via de Tritone, davanti all’arrivo romano prossimo venturo di Marco Agnoletti, si sono sdraiati proprio tutti. Mentre Claudio Santamaria e Francesca Barra davano spettacolo tra lingue in bocca e appitonamenti, a festeggiare il compleanno, ma sarebbe meglio dire l’incoronazione di Agnoletti, c’erano proprio tutti.
BARRA SANTAMARIA
marco agnoletti
In un’era diversa, negli anni ’80, quando la lottizzazione aveva il buon gusto di essere almeno tripartita, un simile spettacolo di acritico appecoronamento a un solo partito sarebbe stato impensabile. Dietro i loro vestiti grigio topo di dubbia foggia, i democristiani, ma persino i socialisti, per non dire degli alteri comunisti, sapevano essere più discreti perché certe cose si fanno e si sono sempre fatte, ma non si mostrano.
mario orfeo con tinta renziana
Invece, quasi a dar ragione ai populisti che ogni giorno gridano allo scandalo, gli amici degli amici, senza pudore per il loro ruolo sulla carta imparziale, erano tutti lì. Grati per essere stati invitati.
Pronti e sull’attenti per il giorno dopo a confezionare telegiornali su misura nell’illusione anacronistica di “guidare” le masse come ai tempi trinariciuti delle bandiere rosse o dei vox populi di Giorgio Medail su Mediaset.
marco agnoletti dario nardella
“Agno”, comunque, era in brodo di giuggiole. Pontificava con boria sugli scenari a venire, abbracciava chiunque, prometteva sanzioni per i non allineati, osservava il laicissimo miracolo di aver portato a pochi metri l’uno dall’altro, tre quarti di servizio pubblico (pagato da tutti gli italiani, ma sotto la reggenza Renzi, come sappiamo, è un dettaglio), Mario Orfeo e Antonio Campo dall’Orto, Enrico Mentana (in quota La7), Gerardo Greco, mezzo giornalismo italiano (dal Corriere della Sera, al Messaggero, al Fatto Quotidiano) eccetera, eccetera, eccetera.
Una dimostrazione di forza che segnava anche l’indirizzo del nuovo corso e dimostrava ancora una volta di più come chi è chiamato a gestire l’occupazione degli spazi informativi si spalleggi reciprocamente marcando una distanza abissale dal paese reale. Per quanti Fabio Fazio contrattualizzati potranno venire, questi aperitivi tra gli amici degli amici, questo «siamo tutti dalla stessa parte e sulla stessa barca» non producono contratti con gli italiani.
MARCO AGNOLETTI A SINISTRA CON RENZI
Ma le elezioni sono vicine e ad “Agno”- che anche da Firenze i suoi rapporti ha saputo curarli con un uso compulsivo del telefono, sembrano volere tutti bene. È un affetto che nasce dal timore di rappresaglie perché- dicono- il ragazzone che voleva fare il giornalista e si è ritrovato portavoce, non solo mena le mani volentieri (ne sa qualcosa Tommaso Galligani dell’Ansa spintonato in occasione della consegna delle chiavi della città di Firenze al regista Ron Howard al grido di ''Siamo a casa mia e quindi decido io dove mi mettete'') ma sa essere molto vendicativo.
Matteo Renzi Mario Orfeo
Quel giorno a Palazzo Vecchio con il povero Galligani (Agnoletti dovette scusarsi a metà, perché i renziani ad ammettere di aver perso la testa faticano il doppio: «Ho sbagliato, ho mancato di rispetto a un giornalista che cercava di svolgere il suo lavoro. Tutto questo però senza violenza») c’era anche un operatore della Rai.
I tempi cambiano e ora, con Sensi e Anzaldi in disgrazia, a girare il film dell’azienda pubblica di stato nei prossimi mesi sarà proprio Agnoletti. Con la segreta speranza che la pellicola non si spezzi e alla fine, invece che in una sala elegante, non si finisca per proiettare il film del ritorno del ducetto in un cinema di terza visione a Peretola.
MICHELE ANZALDI filippo sensi