Francesco De Dominicis per "Libero Quotidiano"
BANCA POPOLARE DI VICENZA
Per anni ci hanno raccontato che il sistema bancario italiano era solido, decisamente più in salute rispetto agli altri Stati europei. E giù con dotte analisi e precise statistiche secondo le quali l’Italia è il Paese che meno di tutti, nell’Unione europea, ha speso denaro pubblico per salvare le «sue» banche.
Pochi decimali di pil rispetto alla Germania che ha cacciato 3-400 miliardi di euro per salvare i suoi istituti. Tutto questo, ovviamente, senza tener conto di alcune differenze strutturali, a cominciare dal fatto che le banche tedesche sono in buona parte in mano allo Stato o ai land e per questa ragione gli aumenti di capitale (fatti anche da noi) lì sono pesati sulle tasche dei cittadini.
banca marche
Esigenze di comunicazione che calpestano financo il buon senso. «Tutto a posto» è stato il mantra ripetuto a raffica da governi, banchieri e autorità di vigilanza. Capaci di far finta di nulla (o l’esatto contrario) di fronte alle «vicende» del Monte dei paschi di Siena, tanto per citare il caso più clamoroso di un istituto che nel 2008 fu autorizzato dalla Banca d’Italia a comprarne un altro (Antonveneta) a oltre 9 miliardi e oggi l’intero gruppo capitalizza circa 1,5 miliardi. Vabbé è la crisi, si dirà. E infatti il 22 novembre hanno rischiato il fallimento altre quattro banchette - Marche, Chieti, Ferrara ed Etruria - salvate azzerando in una notte il valore di azioni e obbligazioni.
CARICHIETI
Ma non ci siamo fatti mancare nulla. Nemmeno la succosa storia del credito del Nord Est dove sono stati letteralmente stracciati gli investimenti di oltre 200mila aziende e famiglie. Ieri è venuto alla luce il doloroso dettaglio della banca Popolare di Vicenza, il cui valore è di fatto passato da 4 miliardi e mezzo di a meno di 600 milioni. Mettetevi seduti comodi e fatevi due conti: vuol dire l’87 per cento in meno del valore.
Era l’11 aprile del 2011 e l’assemblea della PopVicenza aveva indicato il valore delle azioni in 48 euro ciascuna. Lunedì il cda dell’istituto ha fissato il diritto di recesso - nell’ambito del processo di trasformazione in spa e di quotazione in Borsa - a 6,3 euro, cifra che porta il valore complessivo della capitalizzazione a 592 milioni: di fatto significa l’87 per cento di un investimento buttato al vento, percentuale che sale al 90 per cento per chi ha sottoscritto gli aumenti di capitale lanciati a 62,5 euro nel biennio 2013-2014, periodo nel quale già erano emersi i «pasticci».
LOGO ANTONVENETA
La «rasoiata» ai titoli della Popolare di Vicenza rispecchia quanto accaduto nella vicina Montebelluna, dove Veneto Banca prima ha ridotto il valore delle sue azioni da 39,5 a 30,5 euro (-22,8%) per poi fissare un prezzo di recesso a 7,3 euro ad azione. Se si considera che i soci di Veneto Banca sono circa 88 mila, il danno provocato dal tracollo dei titoli dei due istituti - specchio delle perdite emerse negli ultimi due esercizi e della mala gestio delle precedenti gestioni - peserà, come accennato, sulle tasche di oltre 200 mila famiglie e imprese, molte delle quali spinte negli anni passati a sottoscrivere i titoli per poter accedere a finanziamenti e mutui o senza avere profili di rischio adeguati per titoli di capitale illiquidi.
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Il tema è noto: il risparmio tradito. Ieri l’Abi ha ufficialmente chiesto alla Consob di introdurre prospetti chiari e semplici, ammettendo - nella sostanza - che finora la trasparenza in banca è stata una chimera. Per mettere (davvero) la parola fine alle fregature allo sportello non servono nuove regole né altri documenti, ma sanzioni (dure): ai banchieri, provate a toccare lo stipendio e poi la smetteranno di rifilare bufale.