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    ERDOGAN E PUTIN SI SIEDONO AL TAVOLO DELLA LIBIA. E L'ITALIA FA LA PARTE DEL TACCHINO - LA STESSA ENI, CON GIACIMENTI DAL VALORE MILIARDARIO NEL PAESE, NEI DOCUMENTI PER GLI INVESTITORI È COSTRETTA A SCRIVERE CHE NEL MEDIO PERIODO IL PESO DI QUESTI IMPIANTI SARÀ RIDOTTO GRADUALMENTE, ANCHE IN VIRTÙ DEL ''RISCHIO E DELL'INCERTEZZA COSTITUITI DALLA SITUAZIONE GEOPOLITICA DEL PAESE''


     
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    Fausto Carioti per “Libero quotidiano

     

    PUTIN ERDOGAN PUTIN ERDOGAN

    Il segnale era arrivato il 4 ottobre, quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, con mossa da pirata, aveva inviato una nave-trivella, scortata dalla marina militare, in ricerca di idrocarburi al largo di Cipro, nella zona che Nicosia aveva dato in concessione all' Eni e alla francese Total. Quel giorno si era capito che il capo di Ankara non ha alcun rispetto per l' Italia e per il Cane a sei zampe, i cui giacimenti considera un possibile bottino. Era il secondo blitz turco in acque cipriote: nel febbraio del 2018 era accaduto un episodio identico, sempre con l' Eni tra le vittime.

     

    PUTIN ERDOGAN PUTIN ERDOGAN

    Si trattava comunque di antipasti in vista della partita più grande, quella della Libia. Lì, Erdogan ha deciso di giocare da protagonista, dichiarandosi pronto a inviare l' esercito in supporto di Fayez al Sarraj, premier del governo riconosciuto dall' Onu e anche dall' Italia, che però lo ha sempre appoggiato con scarsa convinzione. Erdogan agisce d' intesa con Vladimir Putin, il quale - nella totale assenza dell' Onu e approfittando dello scarso interesse di Donald Trump - vuole essere l' architetto dei nuovi assetti libici. Per questo, rifornisce di armi e mercenari Khalifa Haftar, maresciallo della Cirenaica e gran nemico di al Sarraj.

     

    Insieme, Putin ed Erdogan vogliono trasformare la Libia in un protettorato russo-ottomano, nel quale l' Italia rischia di svolgere il ruolo del tacchino nel pranzo di Natale. La minaccia principale è il flusso di profughi che potrebbe riversarsi sulle nostre coste nel caso in cui la Libia diventasse una nuova Siria. Ma il secondo pericolo riguarda le concessioni Eni in Tripolitania, che fanno gola ad Erdogan e alle aziende turche.

    al serraj haftar giuseppe conte al serraj haftar giuseppe conte

     

    URSULA NON PERVENUTA

    Il sultano e lo zar, dopo aver inaugurato insieme il gasdotto TurkStream, che attraverso il mar Nero porterà il metano russo in Turchia e in sud Europa, ieri hanno fatto un passo in avanti: l' accordo di tregua a tempo indeterminato che hanno preparato e offerto ai contendenti libici è stato firmato da Sarraj. Haftar ha preso tempo, ma dovrebbe siglarlo oggi: a Mosca gli uomini di Putin si dicono sicuri che si allineerà, perché per lui «è importante mantenere la Russia come alleato».

     

    L' Unione europea è tagliata fuori e la commissione di Ursula von der Leyen si sta rivelando inesistente sul piano diplomatico, come lo è stata quella di Jean-Claude Juncker. In parole povere, l' Italia dovrà cavarsela da sola. Questo spiega la rincorsa di Giuseppe Conte. Dopo la triste figura rimediata con Sarraj, rifiutatosi di incontrare il premier italiano a palazzo Chigi quando ha saputo che prima di lui era stato ricevuto Haftar, il capo del governo giallorosso è corso ad Ankara da Erdogan, cercando di ricucire il rapporto strappato dopo lo scippo turco al largo di Cipro. E anche per provare a capire quale spazio c' è per l' Italia e per l' Eni nella Libia progettata da Erdogan e Putin.

    EMMA MARCEGAGLIA CLAUDIO DESCALZI EMMA MARCEGAGLIA CLAUDIO DESCALZI

    Il rischio potenziale è enorme.

     

    L' Eni è presente in Libia dal 1959, cioè dai tempi di Enrico Mattei, che sulle ceneri del passato coloniale costruì l' amicizia con re Idris.

    La Libia rappresenta il 16% della produzione di idrocarburi del gruppo italiano, che è anche il miglior partner della Noc, la compagnia petrolifera statale. Sono libici circa un terzo del gas naturale prodotto dall' Eni e il 7% del metano importato dall' Italia, che arriva nel nostro Paese soprattutto attraverso il gasdotto GreenStream, che lo preleva dai giacimenti di Bahr Essalam e Wafa e lo porta a Gela, in Sicilia.

     

    Guardare altrove? Nelle ultime relazioni finanziarie dell' Eni, il Paese che fu governato da Muhammar Gheddafi è inserito tra quelli «maggiormente esposti al rischio geopolitico, come conseguenza storica del vasto movimento insurrezionale che ha interessato il Medio Oriente e l' Africa Settentrionale, noto come "Primavera Araba"».

     

    L' idea nel «medio periodo», cioè nel giro di pochi anni, è ridurre il peso dei giacimenti libici, anche perché - spiegano sempre i documenti Eni destinati agli investitori - «il management ritiene che la situazione geopolitica della Libia continuerà a costituire un fattore di rischio e d' incertezza».

     

    ENI LIBIA ENI LIBIA

    Al momento, però, la multinazionale italiana partecipa allo sfruttamento del gas e del petrolio libici con sei contratti, il primo dei quali è previsto scada nel 2038. Resta da capire se nella Libia di domani, che si avvia ad essere un protettorato russo-turco, l' Eni sarà ancora il partner privilegiato che è stato negli ultimi sessant' anni. L' incapacità del governo Conte autorizza a temere il peggio.

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