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L’errore di valutazione su “The Interview” è stato anche degli analisti e degli agenti governativi americani. Bruce Bennett, specializzato sulla Corea del Nord, a giugno mandò una mail ufficiale a Michael Lynton della “Sony” approvando la versione della commedia che finisce con l’assassinio di Kim Jong-un: «Mitigare il finale potrebbe ridurre la risposta della Corea del Nord, ma credo che la storia sul collasso del regime di Kim e sulla nascita di un nuovo governo, potrebbe far riflettere davvero la Corea del Sud e la gente della Corea del Nord, una volta che arriverà il DVD. Personalmente preferisco lasciare questo finale». Lynton risponde che la sua visione è condivisa da altri alti consulenti. Chi ha hackerato le loro mail non deve aver gradito lo spirito di propaganda anti-Kim.
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Il giorno dopo Bennett scrive un’altra email, spiegando che Robert King, inviato speciale per i diritti umani in Corea del Nord, considera le minacce nordcoreane un tipico atto di bullismo senza conseguenza. Non è preoccupato e rimette la decisione finale alla “Sony”.
Lo studio, nonostante le rassicurazioni, era nervoso per il film e in particolare per la scena della morte del dittatore. A luglio Lynton scrive alla co-presidente Amy Pascal: «Non vogliamo vederlo morire, la scena di cui abbiamo bisogno è uno sguardo d’orrore mentre il fuoco si avvicina». Seth Rogen, attore e co-regista della commedia, non è affatto contento, ma a settembre perde la sua battaglia creativa e scrive alla Pascal: «Lo faremo meno sanguinoso. Attualmente ci sono quattro segni di ustione sul suo viso, ne togliamo tre, ne lasciamo uno. Riduciamo del 50% i capelli in fiamme. L’esplosione della testa non può essere più oscurata di così, altrimenti nemmeno si capisce che sta esplodendo. Può bastare?»
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Sei uno studio cinematografico, hai per le mani un film che non ti piace, che gli addetti ai lavori definiscono “disperatamente non divertente” (e la critica concorda) e la cui uscita è prevista per Natale, quando in sala va “The Hobbit”. Che fare? La cancellazione sembra una butta notizia, un danno, pare, da 100 milioni di dollari. Ma siamo onesti, una pessima commedia che nessuno avrebbe visto, sarebbe stata una perdita peggiore. Ritirandola, invece, la “Sony” ha l’opportunità di un gigantesco riposizionamento, l’ha reso un evento da non perdere.
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Dimostriamolo coi numeri: “The interview” è costato 44 milioni di dollari. Per non essere un flop, un film deve incassare il doppio del budget di produzione, e questa commedia non l’avrebbe mai recuperato. Le previsioni di incasso erano circa 73 milioni di dollari, con una perdita di 15. Aldilà del valore del progetto, le sale stanno morendo, a causa della crescita dello streaming e ti entità come “Netflix” e “Amazon”.
E questa potrebbe essere l’idea vincente. Se la Sony vuole averla vinta e sorprendere, deve proiettare il film a Natale, ma non al cinema, come “video on demand”. Questa sarebbe una vittoria sui terroristi e decreterebbe il primo blockbuster di internet.
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