Giacomo Papi per “il Venerdì - la Repubblica”
duomo san babila de biasi
Era il migliore dei tempi, era il peggiore dei tempi, era l' epoca della libertà, era l' epoca della schiavitù, erano gli anni del piacere, erano gli anni dell' Aids, le BR uccidevano, il Telegatto nasceva, Sandy Marton cantava, il punk era morto, il post punk era vivo, il comunismo moriva, il consumismo esplodeva, ogni oggetto si trasformava in un marchio, anche Milano. Erano gli anni Ottanta, il calderone inventivo e insensato dove il Novecento finì e il Duemila incominciò a prendere forma.
Questo immenso casino è in mostra dal 20 dicembre alla Galleria Gruppo Credito Valtellinese, in corso Magenta a Milano. Reality '80. Il decennio degli effetti speciali è un «caleidoscopio visuale», come lo definiscono i curatori Cristina Quadrio Curzio, Leo Guerra, Mario Piazza e Valentino Catricalà, che raccoglie trecento oggetti d' arte, videoarte, videogioco, design, moda, musica, televisione, pubblicità, grafica, fanzine, fotografia, che marchiarono e, ancora oggi definiscono, l' immaginario del periodo. Il decennio scoccò come una sorpresa.
parigi sostituzione arco trionfo con sfera rossa
Nel giro di qualche anno i binari drittissimi su cui scorreva il Novecento si ribaltarono e aggrovigliarono, e la realtà si trasformò in uno show o, appunto, in un «reality» basato su «effetti speciali» (la definizione è di Umberto Eco). L' economia si trasformò in finanza, gli impiegati si misero a giocare in borsa e fu inventato lo spread. Il modello di produzione industriale - con i suoi luoghi e protagonisti immutabili: fabbriche, padroni, operai - esplose in un pulviscolo di merci che era indispensabile possedere per costruirsi un' identità. La lotta di classe si trasformò in lotta per il possesso di oggetti, dal lavoro si passava al consumo: orde di ragazzi poveri incominciarono a calare ogni sabato a Milano dalle periferie per rapinare le Timberland dai piedi dei ragazzi del centro.
occhiomagico per domus
Per la prima volta, le mode giovanili smisero di identificarsi in oggetti generici - jeans a zampa, gonne a fiori, eskimo, zoccoli olandesi - per esaurirsi nei marchi - le Timberland, i bomber, le borse Naj Oleari, le cinture El Charro, le calze Burlington a rombi. Per cercare di imporre un ordine all' universo esploso in frammenti, tutto incominciò a essere etichettato. Anche la musica che improvvisamente si affollò di new romantic, new wave, dark e discotecari. La pubblicità diventò centrale. Dice il curatore Leo Guerra: «Il pulsante start della mostra è la foto notturna del Duomo scattata da Mario De Biasi nel 1986 e trasformata in campagna pubblicitaria dall' Agenzia Marco Mignani Associati per lo spot dell' Amaro Ramazzotti». In «questa Milano da vivere, da amare, da godere Questa Milano da bere», la moda regnava e si offriva a chiunque.
Alla promessa dell' uguaglianza universale tra gli uomini si sostituiva quella dell' infinito consumo e accesso alle merci.
Non era facile orientarsi in quel caos.
nitsch
Chi si aspettava la rivoluzione, si vide arrivare i Duran Duran. Le merci si erano moltiplicate al punto da occupare l' intero paesaggio e da offuscarne la visione complessiva. Quasi nessuno comprese che quell' esplosione si accompagnava, e in un certo senso era determinata, dalla saldatura nuova tra arte e mercato che la mostra racconta, affiancando le opere d' arte create agli oggetti di consumo - caffettiere Alessi, fumetti, cinture, videogiochi, vignette, vinili - creati dagli stessi artisti e designer. Gli anni Ottanta furono, cioè, il decennio in cui si realizzò per la prima volta in Italia la compenetrazione tra arti applicate e arti visive che era stato il concetto cardine del Bauhaus negli anni Venti e Trenta in Germania. La barriera tra arte e mercato crollava.
Come cantava Sergio Caputo nel 1987 in Hemingway caffè latino, «abboffandosi di uova di lompo e chardonnay», ci interrogava sul «dilemma se il feticcio sia arte oppure no». In parallelo alla loro normale attività artistica, illustratori, designer e fotografi sconfinarono nei territori del fumetto, delle riviste, del prod design (il primo fu Alessi), della grafica e della moda. Questa continua commistione fu espressamente teorizzata nel manifesto dello Studio Alchimia di Alessandro Mendini, che tra il 1979 e il 1984 fu anche direttore di Domus, o dal design radical del gruppo Memphis di Ettore Sottsass e Michele de Lucchi, e praticata, tra gli altri, da fotografi come Maria Mulas e, appunto, De Biasi, o dalla videoarte di Mario Sasso e Mario Convertino, che realizzarono le sigle televisive di molti programmi Rai, tra cui Spazio sera e Mister Fantasy.
Fu un processo spontaneo, che non fece superstiti e coinvolse ogni sapere, ogni pratica, a cominciare dalla politica.
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Al centro di Reality '80 troneggia il modellino della piramide ideata da Filippo Panseca per il congresso del Psi del 1989 all' Ansaldo per celebrare il nuovo faraone, ma che derivava, in realtà, dalle sculture biodegradabili di solidi geometrici che lo stesso Panseca aveva realizzato negli anni Settanta alla Biennale di Venezia del 1974 o in piazza San Pietro a Roma.
Il craxismo incarnò la transizione dal lavoro al consumo, la mutazione della sfera pubblica, fino ad allora occupata dagli intellettuali e dalla politica, in una sfera compiutamente pubblicitaria. Il Psi fu il primo partito a commissionare un progetto di corporate identity come un' azienda, affidando la propria immagine alla grafica di Ettore Vitale e alle architetture di Panseca, perché aveva intuito che per occupare l' immaginario politico, più che idee, occorrevano simboli e slogan. Cedevano gli ancoraggi ai luoghi tradizionali del lavoro, quindi alla fabbrica che nella mostra non appare più il centro della produzione industriale, ma un luogo di sperimentazione artistica.
Dall' occupazione della Brown Boveri nel 1985 da parte di un gruppo di studenti del Politecnico nacquero artisti come Stefano Arienti, Corrado Levi e Pierluigi Pusole.
Per la contemplazione non c' era più spazio. Si trattava - e ancora si tratta - di non soccombere e divorare il possibile, come in Space Invaders e Pacman (a cui a Reality '80 si può giocare). Il nuovo fermentava dalla dissoluzione del vecchio.
Nel consumo è sempre implicita la morte, la decomposizione del vivo, l' imbalsamazione del sacro in reliquia. In una foto di Maria Mulas si vede Andy Warhol nella stessa galleria dove la mostra si svolge, nel 1987, insieme a due frati davanti The Last Supper Yellow, L' ultima cena di Leonardo ridotta a marchio e a merce.
salvo san giovanni degli eremitani
Fu l' unica mostra italiana di Warhol e la sua ultima in assoluto. In fondo al percorso - se si è sopravvissuti alle astronavi aliene, ai gadget nelle merendine, alle fibbie dei paninari, a Cipputi di Altan, Igort e Forattini, e al telegatto vinto da Mango, insomma a quell' incasinatissimo bailamme di cose che balenò negli anni Ottanta - si arriva davanti a quel che rimane del muro di Berlino che si sgretolò nel 1989 trascinando il Novecento nel crollo.
È il remade realizzato da Stefano Rauzi del cartone preparatorio su pvc del murale giallo che Keith Haring dipinse nel 1986 sul lato ovest del muro che separava la merce dal lavoro. Erano trascorsi soltanto due anni da quando lo stesso Haring aveva riempito di omini, cani, bambini a carponi il negozio Fiorucci di piazza San Babila, sempre a Milano.
SAN BABILA ANNI 80
A Milano la mostra Reality '80 esplora moda, design, musica, tv e arte del decennio più criticato del '900. Con una sola certezza: dopo non siamo più stati gli stessi per la prima volta cadde la barriera che separava opere d' arte e oggetti di consumo.