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    “HOLLYWOOD”, LA FABBRICA DEI CULI INFRANTI - GLI ANNI RUGGENTI DEL CINEMA AMERICANO NELLA NUOVA SERIE DI RYAN MURPHY SU NETFLIX: UN VIAGGIO NEL BABILONIA DEGLI STUDIOS RACCONTATO DA CHI, DEL SOGNO, HA VISTO SOLTANTO LE BRICIOLE – C’È IL BELLOCCIO SPOSATO CHE LASCIA IL PAESELLO E, IN ATTESA DI SFONDARE, FA IL GIGOLÒ – E POI C'È ARCHIE COLEMAN CHE SCRIVE SCENEGGIATURE IMPECCABILI, MA HA DUE DIFETTI: È NERO E OMOSESSUALE… - VIDEO


     
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    Matteo Sacchi per “il Giornale”

     

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    Giovani attori che cercano di emergere, comparse che si accalcano ai cancelli degli studios, vecchie glorie del cinema muto che provano a dare un senso alla loro vita bruciata nel tentativo di emergere e poi rimaste fuori dai giochi quando il sonoro ha cambiato tutto. Sbandati che provano a campare di espedienti ma sognano - pur senza arte né parte - di fare gli sceneggiatori e che sono difficili da distinguere dai veri sceneggiatori i quali, dopo essere stati buttati fuori dagli studios, campano esattamente come gli sbandati.

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    Insomma, ecco gli anni ruggenti della capitale del cinema a Stelle e Strisce, ovvero quelli successivi alla Seconda guerra mondiale, ma raccontati dal basso, cioè con gli occhi di chi, del sogno, ha visto soltanto le briciole. Ed è meglio il lato oscuro e sporco, anche se a tratti divertente.

     

    È questo che troverete in Hollywood la nuova serie Netflix creata da Ryan Murphy (showrunner con alle spalle titoli come Nip/Tuck, Glee, American Horror Story e Pose). Ad esempio c' è Jack Castello (interpretato da David Corenswet), veterano di guerra, da poco sposato e con la moglie incinta, per di più di due pupi in un colpo solo. Lui ha una dote: è bellissimo.

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    Sin da quando era ragazzo, visto che di altre doti non ne aveva, gliel' hanno sempre rinfacciato. Però con garbo: «Almeno sei bello». Alla fine, tornato dalla guerra, ha deciso che «bello» è la parola giusta per il cinema, e ha lasciato il suo paesello nell' America profonda. Scoprirà che negli studios occorre sfoderare altre doti, ma intanto si arrangia facendo il gigolo.

     

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    C' è una pompa di benzina dove vanno a rifornirsi le annoiate mogli dei dirigenti delle majors, e le signore non hanno bisogno soltanto di gasolio... Ma alla fine può capitare che la pompa di benzina sia il posto giusto dove incontrare chi è capace di guardare oltre e farti entrare dove volevi, anche se dalla porta sul retro.

     

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    E poi c' è Archie Coleman.

    Scrive sceneggiature impeccabili, ma ha due difetti: è nero e omosessuale. Oggi sarebbero caratteristiche che aprono molte porte, all' epoca le chiudevano tutte. Archie incontra un timido ragazzo che viene dall' Illinois che si chiama Roy Harold Fitzgerald... Il suo nome non vi dice niente? Beh, in seguito si farà chiamare Rock Hudson.

     

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    Non riveliamo troppo della trama che parte dalla realtà della Hollywood di allora per crearne una ucronica, perché rovinerebbe il divertimento allo spettatore. Cerchiamo invece di rendere l' ordito. La serie poteva facilmente virare verso tinte fosche in stile Dalia Nera o L.A. Confidential di James Ellroy, invece mette in risalto il lato folle e vitale di un luogo che è stato Dreamland, ma per produrre sogni ha pescato nel torbido. Ne esce il lato umano di tutti i personaggi, i vincenti e i perdenti.

     

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    C' è il marcio, ma anche il giocoso. Ci sono star di allora che vengono riscoperte con bei camei narrativi, come Anna May Wong, grande talento condannato a ruoli stereotipati in quanto di origine cinese, pur essendo una grande attrice (e uno dei personaggi più malinconici della serie). Viene a tratti da pensare a Perché corre Sammy, splendido romanzo di Budd Schulberg (lo sceneggiatore di Fronte del porto), di pochi anni precedente l' ambientazione della serie (la prima edizione è del 1941) e che descrive anch' esso, da dentro, la Hollywood ruggente.

     

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    Di quella putredine vitale, oggi che cosa è rimasto? Poco. Il politicamente corretto ha sanificato molto (se non tutto), però ha anche creato un regime di creatività irregimentata, usando una sorta di manuale Cencelli delle provocazioni, sempre ben calibrate. In Hollywood, ad esempio, i momenti meno buoni sono proprio quelli in cui la provocazione sembra esibita più pensando all' oggi che a come fu lo ieri. E infatti per raccontare il passato deve giocare a ribaltarlo.

     

    Lo si vede soprattutto nel finale ucronico che rende tutto più digeribile... e si conclude con dei premi Oscar giusti assegnati con decenni di anticipo. E ciò a sua volta anticipa, moralizzando, di decenni quelle libertà che abbiamo conquistato oggi.

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    La cosa più genuina è invece il rimpianto di un certo cinismo hollywoodiano dove, per dare corpo ai sogni, ci si sporcava le mani e si rischiava. Pagandone però poi anche il prezzo... Che spesso era salato. E questo un finale che mette tutto a posto non dovrebbe cancellarlo. Però, ammettiamolo, Hollywood ha sempre preferito l' happy end, anche se posticcio.

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